Così l’amaro mi fu cambiato in dolce

La via della condivisione trasforma in forza le nostre debolezze

a cura di Dino Dozzi

Rubrica Parole francescane 01 - dida Francesco abbraccia il lebbroso- sentiero francescano della pacewww.hotelfratesole.comSi potrebbe parlare di “conversione”, termine più frequente nella Bibbia e nella spiritualità cristiana.

Preferiamo mantenere la terminologia “dall’amaro al dolce”, che Francesco usa per descrivere il suo cambiamento radicale: da una logica autocentrata ad una evangelica; dalla ricerca della felicità identificata nella potenza alla scoperta della fragilità; dal sapore amaro e insoddisfatto dell’egoistica gloria personale alla dolcezza piena di un’esistenza che è entrata con umile misericordia nella fragilità degli altri, riscoprendo così la preziosità anche della propria.

Quando scocca la scintilla

La lampadina che s’accende nella mente, la scintilla che ti scalda il cuore, l’incontro che ti cambia la vita, l’intuizione che provoca la grande scelta: i biografi di ieri e di oggi è questo che cercano nel loro personaggio. È quanto hanno fatto anche Tommaso da Celano e Bonaventura da Bagnoregio, che individuano tale inizio o nell’apertura del libro dei vangeli con il brano dell’invio dei discepoli in missione o nelle parole del Crocifisso di San Damiano che invita Francesco a “riparare la sua chiesa che è in rovina”. Sono racconti che sottolineano l’importanza fondamentale che avranno il Vangelo, il Crocifisso e la Chiesa nella vita di Francesco.
Ma ecco la cosa che fa meraviglia: quando è lui, Francesco, alla fine della vita a ricordare e ripresentare l’inizio della sua vita evangelica, fa riferimento solo all’incontro con i lebbrosi:
«Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato (conversum fuit) in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo» (Test 1-3: FF 110).
L’inizio del “fare penitenza”, del vivere evangelicamente, è da lui identificato con il passaggio dall’amarezza del vedere i lebbrosi alla dolcezza dell’usare con loro misericordia. L’amarezza precedente fa certo riferimento al fastidio che provava vedendoli, ma forse anche e ancor più al senso di colpa, di disagio e di vergogna che provava di fronte a tale suo fastidio, di fronte al suo sfuggire quegli esseri indifesi, così in contrasto con i suoi sogni di forza, di potenza e di successo. La fragilità fisica dei lebbrosi evidenziava la fragilità interiore di Francesco, l’inconsistenza dei suoi sogni di gloria, la non verità di una vita egoisticamente autocentrata ed escludente la malattia e la sofferenza di tanti.

Rubrica Parole francescane 02 L’incontro che trasforma

Francesco riconosce ora che “il Signore stesso mi condusse tra loro”. Da solo non ce l’avrebbe fatta a superare il baratro tra i suoi sogni di gloria e quei poveretti. Ma poi, condotto tra loro, “usai con essi misericordia”: come suggerisce la parola stessa, donò a quei miseri il suo cuore, si mise nei loro panni, vide e sentì il mondo e la vita dal loro punto di vista. E fu una rivoluzione interiore. Quella realtà di fragilità, di emarginazione, di sofferenza che prima gli appariva amara, troppo in contrasto con il suo desiderio di potenza vittoriosa, la fa fraternamente sua, gli diventa famigliare, la sente dolce dentro e fuori, completamente.
Fu un incontro trasformante. Non dei lebbrosi, ma di Francesco. I lebbrosi rimasero tali, malati, sofferenti ed emarginati come prima. Fu Francesco a ritrovarsi cambiato nella mente, nel cuore, nei sogni, nella vita. Il suo ideale di cavaliere forte, vittorioso e glorioso si dissolve come nebbia al sole, sostituito dall’umile, dolce, misericordiosa accoglienza della fragilità propria e degli altri. Il modello umano solitario e vincente viene sostituito dal modello fraterno ed empaticamente solidale con gli ultimi. I valori si invertono: la vera povertà era quella di prima, egoistica e peccaminosa; la vera ricchezza è quella di ora, calda e fraterna. Bisognerebbe qui aprire un capitolo di ossimori: potenza debole quella di prima, fragilità forte quella di ora; gloria amara quella sognata prima tra i cavalieri, emarginazione dolce quella vissuta ora tra i lebbrosi.
Come ben nota fra Pietro Maranesi, quando Francesco viveva nell’autocentratura del cavaliere la sua esistenza era dominata da un sapore amaro, insoddisfatto, incompleto; nel momento invece che si era regalato agli ultimi entrando con umiltà e pazienza nella loro fragilità, ebbe in dono il gusto della vita, la dolcezza che lo rendeva finalmente “soddisfatto”, nell’anima e nel corpo. Nelle parole di Francesco riecheggia ancora la sorpresa che lo colse in quell’apparente contraddittorietà prodotta dall’incontro con i lebbrosi: ottenne la dolcezza dell’intera sua esistenza proprio quando smise di cercarla nei sogni di potenza e gloria, per entrare nella fragilità degli altri. Trovò la vita quando accettò di perderla. Si liberò della sua fragilità angosciata, quando abbracciò la fragilità degli altri. Tutti i concetti centrali dell’identità francescana quali minorità, povertà, semplicità non sono altro che la traduzione di questa esperienza iniziale, dalla quale Francesco ottenne la verità sulla sua persona e la via per raggiunger la vita vera. È la scoperta del tesoro nascosto nella povertà del suo terreno: non doveva fuggire la terra ma scavare in essa per trovarvi la perla preziosa.
Questa scoperta di Francesco d’Assisi riprende quella di un altro grande, Paolo di Tarso, che in 2Cor 12,7-10 presenta la cosa più preziosa che Dio gli ha rivelato. Alla sua insistenza di venir liberato da quella “spina nella carne” che sentiva debilitante e umiliante, Dio risponde che quella spina è la sua fortuna, perché lui, Dio, può esprimere la sua potenza solo quando l’uomo accetta la sua debolezza e la mette umilmente a servizio di Dio. Paolo scopre così che “quando sono debole è allora che sono forte!”.

Io vi darò ristoro

Alla spina nella carne di Paolo corrispondono i lebbrosi di Francesco: l’incontro con la fragilità diventa la grande occasione per scoprire la via della vita. L’umile accettazione della propria inadeguatezza diventa la grande condizione di una vita riuscita, pienamente realizzata. L’amarezza del peccato tiene viva la ricerca di strade diverse per trovare una vera e piena realizzazione. Può nascere l’esigenza di un cambiamento di direzione, una conversione, che Francesco descrive come passaggio dall’amaro al dolce.
Una conversione, quella di Francesco, che non è caratterizzata dai divieti e dagli obblighi, ma che passa attraverso il gusto, accogliendo l’invito di Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,28-30).
Lui, che ha preso su di sé i nostri peccati e i nostri dolori, indica a tutti la via della condivisione, e usa il simbolo del giogo che distribuisce il peso della vita, togliendo stanchezza, dando ristoro, trasformando il peso dei nostri limiti e dei nostri peccati in leggerezza provvidenziale e l’amaro della nostra indifferenza peccaminosa in dolcezza fraterna. Francesco testimonia che condivisione fa rima con conversione e con realizzazione.