Fioretto cappuccino 

Come e perché frate Masseo non recitò l’atto di dolore                     

Rubrica in Convento Fioretti 01 dida disegno di Cesare Giorgi Masseo e BernardoFrate Masseo era un frate del convento di Cesena. In realtà non era ancora frate del tutto, ma solo aspirante, una sorta di “oblato” in attesa di entrare a pieno diritto a osservare la regola di san Francesco.

Tuttavia vestiva già il saio cappuccino e prendeva parte alla vita di comunità con gli altri frati. I Superiori erano alquanto restii ad ammetterlo al noviziato, l’anno in cui si apprendono i rudimenti della vita religiosa, perché lo giudicavano troppo ingenuo, un “sempliciotto”. Inoltre la statura, che rasentava quella di un nano, non deponeva a suo favore, come se essa fosse una misura delle capacità intellettive. Frate Masseo aveva però - questo sì - la testa più dura del mulo del convento, e aspettava con pazienza che il giorno dell’entrata in noviziato arrivasse, come infatti avvenne qualche tempo più tardi. Nel frattempo egli si dedicava, assieme a un altro confratello, alla questua nelle campagne e sulle colline del territorio di Cesena, ed era da tutti ben accolto, perché portava nelle case un vento di quella allegra semplicità che, al contrario, in convento costituiva un ostacolo alla sua ammissione alla vita francescana.
Erano tempi, quelli, in cui i frati questuanti di campagna andavano di casa in casa con tanto di mulo e biroccio e frate Masseo, fornito di gambe corte, non poteva seguire a piedi l’andatura dell’animale, così che egli si accomodava sul carro mentre un altro frate camminava a fianco del mulo tenendolo per la cavezza. Ma poi, si sa come vanno le cose, anche i frati questuanti si motorizzarono, e il mulo cedette il posto a un furgone a tre ruote cabinato, un Ercolino Guzzi, di circa 200 cc di cilindrata, perché un mezzo meccanico più piccolo, con il carico raccolto nella questua, non sarebbe riuscito a salire la ripida salita che conduceva al convento. Frate Masseo non aveva la patente di guida, e doveva accontentarsi di sedere accanto al frate “guidatore” recitando il rosario, perché non si sa mai... La cabina era alquanto ridotta nelle dimensioni, e prevedeva il guidatore al centro, sicché entrarci in due non era un problema da poco. Fortuna voleva che frate Masseo, oltre che piccolo, fosse anche minuto, un “fratèn znén” (un “fratino piccolo”), sicché, dove avrebbe dovuto starci uno solo, poteva infilarsi anche lui, costringendo il suo compagno a guidare spostato a sinistra.
Un giorno si mise in strada con frate Bernardo alla guida del motocarro, diretto verso la zona montuosa di Sarsina per la questua del grano. La strada su quei monti, non ancora asfaltata, era tortuosa, e sia a destra che a sinistra si intervallavano scarpate da fare paura, addirittura dei profondi burroni pieni di sassi, con qualche cespuglio che spuntava qua e là. Frate Masseo si fidava quasi ciecamente del suo autista, nonostante che frate Bernardo, sicuro di sé, prendesse le curve alquanto allegramente. Troppo allegramente…

Rubrica in Convento Fioretti 02 dida Fra Masseo con il suo biroccio da questua foto archivio provincialeFu così che in una curva a sinistra, dove la ghiaia era più abbondante, la sterzata del manubrio non riuscì a far seguire al furgone il tracciato della strada. Frate Bernardo azionò i freni con quanto forza possedeva, ma inutilmente. Furgone e frati andarono diritti verso il ciglio di destra e… oltre. Il furgone cominciò a capovolgersi più volte lungo la scarpata con i due frati a bordo sballottati contro le lamiere. Finalmente arrivarono in fondo e qui il motocarro si arrestò definitivamente con le ruote in aria. Grazie alle fortunose e provvisorie fermate, non era successo nulla di grave agli occupanti, se non qualche graffio superficiale e qualche ammaccatura di poco conto. Il motocarro invece risultava ormai inservibile, non tanto per risalire, cosa impraticabile, ma per continuare a girare per i campi fino a raggiungere eventualmente un’altra strada.
I due frati intanto erano usciti dalla cabina, svincolandosi l’uno dall’altro, perché i continui ribaltamenti li avevano ridotti a un unico ammasso di fatto di due teste, di quattro mani e di quattro piedi. Si ricomposero l’abito e strinsero il cordone, rimettendo al suo posto ciò che rimaneva della corona del rosario che portavano appesa al cordone. Mentre frate Bernardo già pensava a come avrebbe potuto raccontare l’accaduto al padre Guardiano, frate Masseo non riusciva a trattenere i suoi proverbiali scoppi di risate, rivedendo nella sua mente le capriole a cui era stato costretto. Alzando un braccio si batteva la fronte con la mano, e ripeteva: «Oh, povero me!». E giù un’altra risata. Ci volle del buono e del bello per risalire la scarpata a piedi con sandali malandati, e riguadagnare la strada. Dopo alquanto tempo passò la corriera di linea, diretta a Cesena, e alzarono la mano per chiedere un passaggio. La corriera si fermò, e all’autista, vedendoli conciati in quel modo, fu sufficiente gettare un fugace sguardo in fondo alla scarpata per comprendere l’accaduto. Li prese su senza neppure esigere il costo del biglietto.

A frate Bernardo e a frate Masseo il viaggio sembrò trascorrere troppo presto. Nella mente di frate Bernardo si accavallavano pensieri cupi. Come avrebbe reagito il padre Guardiano? E poi, chi dei confratelli lo avrebbe risparmiato dal canzonarlo, lui sempre così spavaldo e sicuro di sé? Quando il frate che aprì la porta li vide, si meravigliò che fossero di ritorno così presto e senza il motocarro: «Beh, l’Ercolino dov’è finito?». «Si è fermato e noi siamo stati costretti a tornare a piedi», rispose prontamente frate Bernardo, senza perdersi in superflui particolari.
I due si presentarono al padre Guardiano, al quale descrissero per filo e per segno la loro disavventura. Il padre Guardiano li ascoltò lisciandosi ogni tanto la barba e il suo primo istinto fu quello di far loro una rampogna, ma poi si trattenne pensando che una lavata di testa non avrebbe rimesso in strada il
motocarro e che, se ai due frati fosse andata peggio, la perdita sarebbe stata maggiore. Vedendoli solo con qualche escoriazione superficiale, concluse: «Almeno avete la testa dura. Ora si vedrà come recuperare il motocarro e farlo riparare. Un’altra volta, però, dovete stare più attenti!». Dentro di sé frate Masseo pensò: «Dovete stare più attenti… Mica guidavo io!». L’accaduto divenne oggetto di commenti scherzosi, perché, quando le cose si risolvono per il meglio, ci si può ridere sopra. I frati chiedevano a frate Masseo che cosa avesse provato nel rotolare giù per la scarpata e se avesse avuto paura di morire. Lui rispondeva che non gli sembrava mai di arrivare in fondo e temeva, con tutti quei capovolgimenti, di rompersi il collo. Il padre Guardiano fece pure lui una domanda: «Frate Masseo, hai recitato almeno l’atto di dolore?». Frate Masseo non ci pensò più di tanto e rispose: «E se non fossi morto? E poi che dolore? Io non sentivo altro che quello delle ammaccature!». I frati finsero di scandalizzarsi con un «Ohhhhhhh» prolungato, perché con quel piccolo frate ci si divertiva così. In realtà si stavano accorgendo come frate Masseo, un «frate sempliciotto», ne sapesse una più del diavolo. E di loro.