In ascolto dell’Abracadabra definitivo

La parola inflazionata perde il suo atavico potere

di Roberto Beretta
giornalista

Beretta 01Basta la parola

Abracadabra. Se esiste una parola quant’altre mai «potente» è questa, fin dalla nostra infanzia: la parola magica per eccellenza, il verbo che basta pronunciare perché una cosa si faccia per incanto…

Peccato che nel nostro caso ciò sia soltanto un affare da illusionista, o addirittura da ciarlatano. Per il Creatore all’origine invece non è stato così: «E Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu».
Basta la parola, come sosteneva un antico slogan pubblicitario. Infatti ecco il sogno di tantissimi uomini, non solo dei grandi retori o imbonitori della storia: avere una parola efficace, ovvero la capacità - se non di creare dal nulla soltanto coll'atto del dire - almeno di convincere con un bel discorso, di argomentare oralmente con successo le proprie ragioni, magari di trascinare dietro di sé le folle grazie a una commovente perorazione o un’appassionata predica.
«Parole e idee possono cambiare il mondo», sostiene il maestro sognatore de L’attimo fuggente; ma già Buddha riteneva che «le parole hanno il potere di distruggere e di creare». Legioni di avvocati e giornalisti, predicatori e politici, commercianti e professori, pastori di ogni religione e venditori porta a porta, truffatori e poeti, ma anche semplici utenti o cittadini sarebbero disposti a sottoscrivere affermazioni del genere, sottolineando la capacità indubbia di una buona loquela nel raggiungere il proprio fine come e spesso meglio di altre facoltà umane più «pratiche»; di prevalere sugli altri e vincere, insomma, con la sola virtù del ben parlare.
«La forza dell’uomo è nella lingua»: pare ammonisse - ovviamente in geroglifico - il saggio egizio Ptahhotep; che poi è la traduzione del detto biblico passato alla sapienza popolare «Ne uccide più la lingua (la penna) che la spada»... In effetti - e chi non lo sa? - le parole possono far male: quando offendono, minacciano, denigrano, disprezzano, calunniano, imbrogliano, mentono; ma pure quando polemizzano o accusano per giusta causa, denunciano, colpiscono, gridano per farsi sentire. Esse hanno effetto sullo spirito e spesso anche sul corpo; restano infisse nei meandri della memoria come spine che feriscono persino a distanza di molti anni, soprattutto quando sono state pronunciate da persone care. 

Beretta 02Vizio strutturale

A queste conseguenze ovviamente si riferiscono in primis le raccomandazioni di uomini mistici e spirituali di ogni cultura, da san Francesco agli indiani Sioux, quando consigliano di tenere a freno la favella, mettendo il morso alla bocca quasi si trattasse di un puledro difficile da governare. Non è comunque l’unico pericolo delle parole: tra i possibili rischi c’è anche il discorrere vano, quello che definiamo «a vanvera», e che oggi - con la proliferazione dei cosiddetti social, tra un tweet banalotto e un commento buttato lì su Fb - è diventato un vero vizio generale. «Non faccio male a nessuno», si obietta; già: ma l’affollamento delle parole finisce a far da tappeto inconscio alla vita quotidiana, riempiendola comunque di rumori di fondo e distrazione.
E proprio questa indigestione sembra aver raggiunto il troppopieno, un livello che ormai rischia di sottrarre alla parola il suo stesso potere e l’autorevolezza. Se tutti chiacchierano, a chi attribuiremo infatti la fiducia? Perché, sì, esiste pure un lato B del discorso. Non per nulla il cittadino sollecita spesso «Fatti e non parole» al politico verboso che promette, promette e non mantiene; mentre «Parole, parole, parole, soltanto parole tra noi» canta la donna in crisi di rapporto amoroso.
La parola è uno strumento potentissimo, eppure anche un mezzo estremamente fragile. Il flatus vocis, la semplice emissione di un suono modulato in vocali e consonanti è sempre stata considerata evento labile e passeggero per eccellenza, insufficiente a fondare una certezza; tanto che chiunque sta per concludere un affare non si fida degli esercizi verbali del venditore bensì invita a mettere nero su bianco (e peraltro pur sempre di parole si tratta...).
Proprio sul crinale di questa ambivalenza di potere e debolezza si colloca peraltro la scelta divina di inviare la sua Parola sulla terra: «In principio il Verbo era Dio... - esordisce non a caso il Vangelo di Giovanni -. E Il Verbo si fece carne». Ebbene, di tutte le infinite e grandiose prerogative che aveva per manifestarsi in forma umana e «venire ad abitare in mezzo a noi», il Padre ha scelto proprio la Parola: forse la forma di comunicazione, anzi di somiglianza che più avvicina il Creatore alla creatura. Un Verbo che è poi il suo Figlio in persona, ovvero l'immagine più perfetta e conforme a se stesso.
Ma, anche qui, si tratta non di un verbo magico e onnipotente (come pure avrebbe potuto essere, trattandosi di Dio), l’abracadabra definitivo che poteva cambiare le cose senza il minimo sforzo, grazie a una salvezza ottenuta a sola apertura di bocca; bensì di una Parola a misura d’uomo, assunta cioè in quella commistione di fascino («Tu solo hai parole di vita eterna»; «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?» ) e di fragilità, di inaudito potere («Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»; «Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno») e nello stesso tempo di estrema delicatezza e misericordia («Di’ soltanto una parola...»), che costituiscono la caratteristica appunto dell’umano discorrere.

Un lessico per pensare

Se persino Dio ha dunque accettato di mutare la logica del «basta la parola» per scendere al nostro livello e sottomettersi a chiedere - rischiando di non ottenerla - una fiducia «sulla parola», forse percorrendo la medesima via la nostra usurata, presuntuosa ovvero banalizzata comunicazione può tornare al suo potere originario: non quello ipnotico e inebriante (ma vuoto) del venditore di fumo, e nemmeno la vana occupazione del silenzio tanto per riempirne i vuoti angosciosi, ma la forza nuda dell'umile aderenza al vero, senza tradimenti né illusorie magie. Anche per i professionisti della parola, è questo il solo abracadabra che tiene nel tempo.
Anche la Chiesa ha i suoi problemi di vocabolario. Non sempre infatti dal pulpito si spaccia pura «parola di Dio», anzi capita spesso di ascoltare frasi fatte e locuzioni in gergo clericale. Roberto Beretta, proprio il sottoscritto, ne ha addirittura redatto un lessico, a metà tra l’ironico e il critico, nel suo «Il nuovo piccolo ecclesialese illustrato», ristampato di recente da Àncora in edizione riveduta e corretta. Per sorridere, ma anche per pensarci su.