Dopo le prime due interviste fatte al Festival Francescano di Rimini nel settembre scorso e pubblicate nel numero di gennaio-febbraio, eccone altre cinque: la prof.ssa Beatrice Buscaroli, critico d’arte di fama internazionale, alla quale è toccato il compito di aprire le conferenze del Festival; Davide Rondoni, poeta e scrittore, protagonista del sabato mattina; suor Elena Bosetti, biblista a cui era affidata la riflessione della domenica mattina; padre Giovanni Salonia, psicoterapeuta. Concludiamo con le impressioni e l’augurio di mons. Francesco Labiasi, il vescovo di Rimini, che davvero francescanamente ci ha accolti e seguiti: lo ringraziamo in modo particolare.

Saverio Orselli

Connessi all’idea di Dio

Rubrica Festival Francescano 01BEATRICE BUSCAROLI

Il titolo del Festival Liberi nella gioia quale significato assume nel mondo artistico?È possibile fare arte mettendo insieme libertà e gioia o sono solo possibili conseguenze dell’atto creativo?
Penso che sia possibile mettere insieme libertà e gioia. Per molto tempo si è circoscritto il confine della libertà, ma ormai da due secoli gli artisti sono liberi, anche se forse la libertà coincide con meno gioia di una volta.

Ritengo che anche nell’arte antica la commissione sacra - nel senso proprio del soggetto sacro - potesse consentire una rappresentazione di gioia superiore a quanto non si faccia adesso.

La Vera Letizia presentata da san Francesco a frate Leone è sconcertante e capace di scombinare i piani: è un messaggio che ha un senso per il nostro mondo dell’arte?
Penso che abbia un senso per tutto il nostro mondo, anche se - come ho cercato di spiegare nel mio intervento - la rappresentazione di questo va al di là del rappresentabile. È un sentimento che in fondo unisce diverse energie e diversi punti di vista, ma proprio la stessa rappresentazione di tante cose insieme spinge a dire che finisce con il non essere rappresentabile. Vorrei spiegarmi meglio, anche se è difficile. Credo che il messaggio della Vera Letizia non sia davvero rappresentabile, se non nella Cappella nera realizzata a Houston in Texas da Mark Rothko, che ho presentato nell’incontro e di cui mi sono ricordata improvvisamente qualche giorno fa, mentre preparavo questo difficile incontro. In quei quattordici dipinti fatti di sfumature di nero è rappresentato il non rappresentabile, si tratta di un’astrazione in cui esiste un pensiero.

Rubrica Festival Francescano 02  (Ivano Puccetti)L’arte contemporanea, di cui lei è profondamente esperta, a un profano può sembrare lontana dall’idea di letizia: è un’impressione che condivide o esiste una lettura diversa?
Anche se può sembrare una risposta banale, io credo che tutto il mondo contemporaneo sia distante dal concetto di letizia. L’arte, da quasi un secolo, è diventata in sé la rappresentazione di altro, dal disagio sociale, all’aspetto più drammatico del vivere. Ci sono stati artisti anche nel Novecento che hanno rappresentato una forza di vivere che è già in sé un qualcosa di legato alla letizia, ma non è possibile rispondere in modo completo a questa domanda senza fare un discorso molto lungo e articolato sulle tecniche, sui media e sul significato che hanno la pittura e l’arte figurativa. Io credo che con la pittura si possa ancora rappresentare tutto, ma non so quanti artisti siano lieti; questo però dipende da altri fattori.

Esiste uno spazio espressivo che si possa definire francescano nell’arte contemporanea?
È davvero difficile rispondere a questa domanda, anche se certe espressioni dell’arte contemporanea sono più vicine all’animo e alla spiritualità francescana che non ad altre. La stessa privazione di decori, di ornamenti, di eccessi può richiamare la semplicità. Però, al giorno d’oggi, la lezione di Francesco in sé andrebbe riattualizzata, perché questo tipo di letizia, che è l’espressione di una fede enorme, credo sia oggi molto difficile da coltivare e sviluppare. In questo senso credo sia importante, come in questa occasione o come mi è capitato di fare al Meeting, mostrare ai giovani, anche attraverso l’arte, come in qualche modo siamo sempre connessi con quella che oggi chiamiamo semplicemente spiritualità, ma che non è altro che l’idea di Dio e la necessità di Dio. Penso a un Malevič che parla di Dio nel suo Quadro nero o allo stesso Rothko, che ricordavo prima, e non posso non riflettere sull’importanza di aiutare la gente, anche mostrando queste opere, a scoprirne la spiritualità e, in un certo senso, ad avvicinarsi a Dio.

 

 

Letizia nei luoghi del sapere

Rubrica Festival Francescano 03  (Ivano Puccetti)DAVIDE RONDONI

Nel 2011, concludendo un intervento sugli scontri di piazza, scrisse che «sarebbe bello pensare che la responsabilità non coincide con la rinuncia alla letizia», eppure nel sentire comune sembra che responsabilità e letizia siano molto distanti, anche se vengono riconosciute unite in papa Francesco: come fare per aiutare i giovani a cogliere questo legame?
Essere lieti e responsabili. L’unico modo per aiutare i giovani non è fare discorsi, ma far vedere che nella vita è possibile questo: una responsabilità nella letizia.Anche perché è una scoperta che si fa vivendo e non tanto ragionando. Quindi non credo ci siano delle strategie particolari da seguire, se non quella di far vedere una vita adulta - drammatica, complicata, anche peccaminosa, perché siamo così tutti - però lieta e responsabile.

Nel pensare a questa domanda sorridevo, perché capita raramente di poter ricordare a un poeta un suo “cinguettio”: in gennaio dello scorso anno scriveva: «La letizia è una faccenda dura, primaria, francescana. Si perfeziona quando svaniscono i motivi di compiacimento. Allora emerge. Pura. Sua». Dove c’è bisogno oggi di questa letizia e dove vorrebbe vedere i francescani più presenti per testimoniarla?
Non sta certo a me dire dove i francescani debbano essere più presenti, perché lo sono già tanto e stanno facendo un grande lavoro e portano una grande testimonianza. Mi sembra che oggi tra i punti più in questione ci siano i luoghi della cultura. Penso all’università, ai luoghi del sapere, ai luoghi della trasmissione del sapere, alle case editrici, ai giornali. Lì, secondo me, rischia di prevalere una cultura del risentimento o di un nichilismo gaio che è tutt’altro che lieto.

La vera letizia presentata da san Francesco a frate Leone è sconcertante e capace di scombinare i piani: è un messaggio che il nostro mondo è disposto ad accettare? Le viene in mente qualche suggerimento per diffonderlo?
Suggerimenti per diffonderlo non ne ho, se non fare come faceva san Francesco, cioè viverne e parlarne. Non c’è molto altro da fare. Parlarne può essere fatto anche attraverso un “cinguettio” ogni tanto, ma non è sicuramente quello il parlare che conta di più. Credo che in questo momento non sia un caso che la parola gioia stia tornando fuori in molti titoli di concerti, di tour, di libri. Evidentemente se ne parla, perché se ne sente insieme l’esigenza e la mancanza e, probabilmente, in qualche figura - penso ad esempio a papa Francesco - si vede. Questo sicuramente fa venire il sospetto che allora è possibile. Scombina vedere che qualcuno contento c’è, in un’epoca dell’ansia e del risentimento: questo è sempre un segno chiaro.

 

 

Il sorriso dei poveri crocefissi

SUOR ELENA BOSETTI

Nel 2010 quando le chiesi quale effetto le facesse un Festival Francescano, la sua risposta fu piena di gioia e, quest’anno, in cui siamo arrivati alla letizia, il titolo Liberi nella gioia, quale impressione le provoca?
Come si fa a non essere strafelici parlando di Festival Francescano e di gioia! Io sono stata invitata come biblista e quindi farò vedere che la gioia viene da lontano e da vicino, perché sgorga dal cuore di Dio. E poi vorrei far vedere la gioia con cui Gesù e Francesco danzano insieme.

Rubrica Festival Francescano 04 (Ivano Pucetti)Nella sua esperienza di docente, ha incrociato qualche esperienza di letizia francescana che le è rimasta nel ricordo?
Devo dire che ho avuto diversi studenti e anche studentesse - anche se sono di più i primi, insegnando alla Gregoriana - che hanno voluto lavorare con me proprio sulle Fonti Francescane, perché io sono una appassionata del francescanesimo da sempre. E quindi, ad esempio, ricordo come un giovane del Brasile ha voluto fare una tesi di licenza sulla Prima lettera di Pietro e Francesco, mettendo in luce tanti collegamenti interessanti. Poi ricordo tanti sviluppi, tante richieste di approfondimenti. Lo stile della letizia francescana l’ho incontrata molte volte nella leggerezza, nella semplicità, nella gioia delle cose semplici. La gioia tessuta di ferialità, quella che nel Nuovo Testamento canta anzitutto al femminile, perché Maria canta, e con lei tutto il Nuovo Testamento, con il giubilo della madre. A Nazareth c’era gioia semplice che diventerà poi letizia francescana.

La vera letizia presentata da san Francesco a frate Leone è sconcertante e capace di scombinare i piani: è un messaggio che il nostro mondo è disposto ad accettare? Le viene in mente qualche suggerimento per diffonderlo?
Mi viene in mente come si parla oggi delle passioni tristi. Mi viene quasi da piangere a pensare a quella di Francesco che è una passione - guardiamo alle stigmate - ma è come la passione del Cristo, con ferite luminose. E quindi io auguro di attraversare il dolore e la sofferenza con questa gioia interiore, che viene proprio dal Cristo crocifisso e risorto, perché di crocifissi ne abbiamo tanti, ma quella di Francesco è una gioia che, appunto, ha incontrato il crocifisso risorto, perciò può essere “perfetta letizia” nella tribolazione, perfetta letizia nell’umiltà. E qui, se permetti, io ho in mente alcuni crocifissi opera di artisti francescani. Ne ho visto uno vicino a Ragusa, ma ne avevo visto anche a Nemi, dove solo l’artista riesce a ottenere simili risultati: se guardi quei crocifissi da un lato vedi tutto il dramma del “Dio mio perché mi hai abbandonato?”, vedi tutta l’angoscia, poi fai il giro dall’altra parte e questo stesso crocifisso sorride… c’è il sorriso! E allora le due cose vanno insieme: gli artisti e Francesco ce l’hanno fatto vedere.

 

La vera letizia di donare tutto

PADRE GIOVANNI SALONIA

Il titolo del Festival, Liberi nella gioia, per un cappuccino psicoterapeuta, quale significato assume?
Prendendo le mosse proprio dalla grande intuizione di Francesco, direi che il cammino di ogni uomo, di ogni cristiano, frati compresi, è quello di scoprire innanzitutto la vera letizia, operando un discernimento per evitare le “letizie” che non sono vere. E qui c’entra molto il problema del dolore, protagonista della tavola rotonda a cui partecipo qui al Festival con il dott. William Raffaeli e Sergio Zavoli: il dolore può diventare letizia se è purificato da altri significati. Noi distinguiamo il dolore come sofferenza, il dolore come danno, quando esso è accompagnato da mancanza di accettazione; ma quando il dolore viene attraversato, come dice il titolo della nostra tavola rotonda, allora si trasforma in vita. Perché per capire il dolore – dice Gesù – bisogna guardare alla donna che partorisce: è un dolore ed è un attraversamento. Noi dobbiamo, prima di tutto, individuare qual è la gioia e su questa gioia dobbiamo andare avanti. E andare avanti significa comprendere che tutto ciò che la vita ci propone, riletto alla luce della Parola, può diventare un’occasione per la nostra pienezza. 

La vera letizia presentata da san Francesco a frate Leone è sconcertante e capace di scombinare i piani: è un messaggio che il nostro mondo, soprattutto negli aspetti che coinvolgono il dolore, le sembra essere disposto ad accettare? Come terapeuta, le viene in mente qualche suggerimento per diffonderlo?
Credo che il suggerimento per trasformare il dolore in vera letizia sia proprio quello di entrarci dentro, attraversarlo, guardarlo in faccia, cioè rendersi conto che l’uomo può sopportare ogni dolore. Quando un dolore è insopportabile non lo è in se stesso, ma perché l’uomo si è privato delle sue potenzialità. Quando Francesco presenta la vera letizia in fondo cosa sta facendo? Un percorso di liberazione! Francesco sappiamo che vinceva le tentazioni immaginando le situazioni: quando aveva la tentazione di prendere moglie, faceva i pupazzi dei figli e della moglie stessa con la neve; vedendo che entravano in convento frati molto dotti, comincia a pensare “mi sa che sarò presto emarginato...”, e allora si inventa questo racconto, per elaborare lui stesso la sua liberazione. Questo cosa significa? Francesco dice in fondo: “io valgo perché mi affido al Signore e non perché mi accolgono i frati, mi riconoscono come il fondatore”. Diceva un grande filosofo dei nostri giorni, Jean-Luc Marion, che la morte ci toglie tutto quello che non abbiamo donato. Francesco, in un modo molto intelligente, ha donato tutto per poter dire “sorella morte”.

 

Una ventata di spiritualità

MONS. FRANCESCO LAMBIASI

Eccellenza, le chiederei un bilancio di questi tre anni di Festival Francescano a Rimini e un augurio alla diocesi che ospiterà la prossima edizione.
Il bilancio è sempre difficile farlo per cose come questa, ma forse si può sbrigare in due battute: mi sembra che il Festival Francescano abbia costituito una ventata di spiritualità, una ventata di gioia, una bella boccata di ossigeno che ci ha fatto sentire più leggeri, che ci ha fatto respirare, ci ha fatto volare un po’ più in alto.

L’augurio alla diocesi che ospiterà la prossima edizione del Festival Francescano è che facciano meglio di noi.