«Sei felice?». La domanda è semplice, ma provate voi a rispondere. Perché la felicità è una cosa grossa. Perfino san Francesco, lo specialista riconosciuto della felicità - o della “letizia”, come preferiva chiamarla lui - passò un lungo periodo in cui evitava i frati “poiché non era in grado di mostrarsi loro lieto come al solito”: così leggiamo nello Specchio di perfezione al capitolo 99 (FF 1798).

Dino Dozzi

In principio era la letizia

Il motore della nostra ricerca ci orienta per tutta la vita

Rubrica Parole francescane 01 (Ivano Puccetti)Ascoltarlo nella sequela

La prima delle dieci parole francescane è “letizia”. Che vuol dire gioia, felicità, ma con un termine più lieve, più leggero. Da qui inizia il cammino francescano, perché da qui inizia il cammino dell’uomo.

Ognuno di noi, dal primo all’ultimo respiro, cerca di stare bene, di essere contento. I filosofi e i teologi di ogni tempo una volta tanto sono d’accordo con l’uomo della strada di ogni paese e di ogni cultura: tutti e sempre cerchiamo la gioia. Credenti, agnostici e atei; vecchi e giovani; donne e uomini; ricchi e poveri: tutti abbiamo fame e sete insaziabile di felicità.
E ognuno parte a caccia del tesoro: chi lo cerca nella droga e chi nella spiritualità, chi nei soldi e chi nella povertà volontaria, chi nel dominare e chi nel servire, chi in avventure straordinarie e chi nell’ordinaria quotidianità, chi nello sballo e nella trasgressione e chi nella fedeltà e nell’onestà, chi nel lavoro e chi nel riposo, chi nella fama e chi nell’amore. Buddha, Gesù e Maometto, teologie e filosofie indicano strade per la felicità.
San Francesco cercava la felicità nelle imprese cavalleresche, ma gli andò male due volte: prima nella sconfitta degli assisani contro i perugini a Collestrada cui seguì un lungo anno di prigionia; poi nel progetto di arruolarsi con Gualtiero di Brienne finito prima di cominciare con quel sogno e quella domanda su chi conveniva servire se il signore o il servo (cfr. FF 1032). Dove e come trovare la realizzazione di sé, la felicità? Il giovane Francesco va per esclusione: non nel commercio e nei soldi del padre, non nelle imprese cavalleresche, non nel rinunciatario quieto vivere. Troverà la letizia al servizio dei lebbrosi.
Se il sogno della felicità è la calamita che ci mette in movimento, l’insoddisfazione, la delusione, la sconfitta sono il Navigatore della nostra ricerca: questa strada è chiusa, non porta alla felicità, provare altra strada, ricalcolo… Sono preziose queste indicazioni. Sono quelle che riportano il figliol prodigo a casa, sono quelle che conducono Francesco a San Damiano, al Vangelo, a Cristo.
È l’insoddisfazione che tiene viva la ricerca. Racconta Tommaso da Celano che un giorno Francesco sente leggere il brano evangelico dell’invio dei Dodici in missione senza denaro, né bisaccia, né pane, né bastone: se lo fa spiegare dal sacerdote ed esclama pieno di gioia: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!» (1Cel 22: FF 356). È un bell’esempio del circolo ermeneutico: il lettore spiega il testo, il testo spiega il lettore; il testo cerca un lettore che lo interpreti e il lettore cerca un testo che lo esprima. E l’interpretazione del Vangelo non viene data da un libro ma da una vita, perché dietro le parole del Vangelo c’è lui, Gesù, che invita a seguirlo. Trovato Lui, che gli parla nel Vangelo, Francesco si mette in ascolto e alla sua sequela.

Rubrica Parole francescane 02 (Ivano Puccetti)Regola della vita

Quando Bernardo e Pietro gli chiederanno di «stare con te e fare quello che fai tu», Francesco risponderà: «Andiamo a chiedere consiglio al Signore». Entreranno in una chiesa e chiederanno al sacerdote di mostrare loro in Vangelo. Lo apriranno e troveranno i brani che dicono di andare, vendere tutto e darlo ai poveri; di rinnegare se stessi e di seguire il Signore; di non prendere nulla per il viaggio. «Ascoltando tali parole, furono inondati di viva gioia e dissero: Ecco quello che bramavamo, ecco quello che cercavamo!». E il beato Francesco disse: «Questa sarà la nostra Regola». E aggiunse rivolto ai due: «Andate e mettete in opera il consiglio che avete udito dal Signore» (AnPer 10-11: FF 1497).
Sono brani che conservano una freschezza straordinaria. Da una parte c’è la ricerca della felicità, dall’altra il testo evangelico. Più esattamente, troviamo qui l’incontro tra due persone che cercano la realizzazione di se stesse, la propria felicità e un’altra persona Gesù Cristo che dà loro indicazioni di vita felice. Ma chi permette tale incontro è Francesco che ha già trovato la sorgente. E il luogo dell’incontro è il Vangelo. È proprio vero che c’è vera evangelizzazione quando un povero dice ad un altro povero dove tutti e due possono trovare da mangiare. C’è vera felicità quando un fratello dice ad un altro dove tutti e due possono trovarla.
Francesco ha trovato la felicità nell’abbandonare tutto, nel mettersi a seguire le orme del Signore e nel “fare misericordia” con i lebbrosi e dirà ai suoi frati “Devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada” (Rnb IX,2: FF 30). Provare per credere, assicura Francesco, che ha trovato il tesoro, il segreto della felicità, che non può tenere solo per sé. Nella Lettera ai fedeli scriverà che vorrebbe passare da tutti, ma è malato, non ce la fa più e allora scrive a tutti “le fragranti parole del mio Signore” (2Lf 2: FF 180)

Il segreto della felicità

Alle Regole Francesco preferisce i Testamenti che sente più vicini all’esperienza, alla vita. Nel piccolo Testamento di Siena lascerà in eredità ai suoi frati “in tre parole” il segreto della felicità: l’amore vicendevole, l’amore per la povertà, l’amore per la santa madre Chiesa. Questa preziosa eredità verrà offerta e descritta in modo più dettagliato nel Testamento grande, che non per nulla inizia con il ricordo del suo passaggio da una vita nei peccati (riconoscibile nel suo evitare i lebbrosi) a una vita di penitenza (riconoscibile nel suo amorevole servizio ai lebbrosi): sta qui il passaggio dall’amaro al dolce, dall’insoddisfazione alla felicità.
Verso la fine della sua vita Francesco spiega a frate Leone quale sia la vera letizia (FF 278). La prima parte è rivolta soprattutto ai suoi frati, per ricordare loro che la vera letizia non viene dal potere e dal prestigio della cultura, dal potere ecclesiastico e politico, neppure dai risultati evangelici. La seconda parte è rivelazione di quello che lui stesso ha faticosamente scoperto negli ultimi anni, quando sfuggiva i frati perché non riusciva a mostrarsi lieto come di solito. Si sentiva dire dai suoi frati: «Vattene, sei inutile ormai: noi siamo tanti e tali che non abbiamo più bisogno di te! Vattene dai Crociferi e chiedi là ai tuoi amici lebbrosi se ti vogliono ospitare per una notte!». Non riusciva a mostrarsi lieto e sfuggiva i frati. Ma poi, sulla Verna e aiutato dal segno delle stimmate del Crocifisso, ritrova la letizia. Il Francesco che ritorna tra i suoi frati è un altro. Ora non ha più la tentazione di fuggire. Resta con i suoi frati, senza più alcuna attesa, alcuna pretesa, alcun diritto da vantare. Solo e semplicemente fratello. Di nuovo sorridente. Ha scoperto che “qui è vera letizia”, di fronte alla porta chiusa dei suoi fratelli. Una scoperta non da poco e straordinariamente preziosa per tutti.