Fioretti cappuccini

Come frate Samuele barattò la bicicletta

Rubrica in Convento Fioretti 01 (Disegno di Cesare Giorgi)Frate Samuele godeva la fama di essere un frate che sapeva cavarsela sempre, anche nelle situazioni apparentemente senza via d’uscita. Anzi, quanto più intricate fossero, tanto più sapeva trovare la soluzione opportuna. Quando si metteva in testa una cosa, nessuno sarebbe stato capace di farlo desistere, neanche mettendosi di traverso.

Possedeva nello stesso tempo l’astuzia di una volpe, il coraggio di un toro, la prudenza di un serpente e anche una certa dose di incoscienza, sapendo, all’occasione, assumere l’aria di chi casca dalle nuvole, come l’uomo più innocente e innocuo del mondo. Queste sue qualità gli furono provvidenziali soprattutto in tempo di guerra, quando il suo paese venne a trovarsi tra due fuochi, i tedeschi da una parte e i partigiani delle sue montagne dall’altra, passando lassù la linea del fronte, la linea Gotica.

Stando così le cose, a quei tempi viaggiare era come esporsi inconsideratamente al pericolo, ma questo non disturbava il sonno di frate Samuele, essendo l’ultimo dei suoi pensieri, quanto piuttosto il problema di trovare un mezzo che lo portasse dove intendeva recarsi, perché era ancor più pericoloso fare a piedi un lungo tratto di strada. A carri trainati da buoi nemmeno pensarci, buoni tutt’al più per viaggi molto brevi e con materiale da trasportare. Peggio ancora per le automobili, che, già rare in città, in montagna erano pressoché sconosciute. L’unico mezzo meccanico disponibile, alla portata di tutti, era la bicicletta, non il più veloce in assoluto, ma, a parte le forature, anche il più affidabile, perché, in caso di pericolo, era sufficiente saltare dietro una siepe o ripararsi in un cespuglio per nascondersi. Insomma, l’andare in bicicletta era il sistema di trasporto più comune, e questo era già un grande lusso, per spostarsi da un paese all’altro, e anche per recarsi sul luogo di lavoro, nonostante che, a volte, si dovessero affrontare decine di chilometri.
Frate Samuele aveva appreso ad andare in bicicletta piuttosto tardi, solo dopo aver celebrato la prima Messa, in quanto tra i cappuccini vi era il divieto assoluto di usarla, pena gravi sanzioni, con la motivazione che quel trabiccolo a due ruote con uno stretto sellino posto sopra la ruota posteriore da una parte andava contro il divieto di san Francesco di cavalcare e dall’altra non si armonizzava con la decenza e la purità che ogni religioso doveva sempre avere a cuore. Ma, si sa, il tempo di guerra e le necessità quotidiane riescono a spazzare via tanti preconcetti e anche la bicicletta poté fare il suo ingresso in convento. Naturalmente biciclette da donna, perché i frati, portando il saio, potessero salirvi sopra agevolmente e pedalare, pur con il pericolo di impigliare l’abito fratesco nei raggi della ruota posteriore o nella catena che trasmetteva il moto dei pedali al mezzo.
Un giorno frate Samuele, che si era rifugiato nel suo paese natale, Montepastore, sulle montagne bolognesi, per sfuggire ai continui bombardamenti che infestavano la città di Bologna, dove anche il convento era stato ridotto per buona parte in macerie, decise di recarsi in città per sbrigare alcuni affari, che solo lui conosceva, essendo divenuto il confidente di tutti e tutti aiutava. Ma vi era un grosso inconveniente. Pochi giorni prima un rastrellamento tedesco aveva confiscato tutti i mezzi di locomozione. Non i carri con i buoi, ma le biciclette, con la conseguenza che la popolazione non poteva più in alcun modo spostarsi. Tra le biciclette sequestrate, depositate in una stalla vuota, ve n’erano di tutti i tipi, vecchie che cigolavano a ogni pedalata o che perdevano la catena, altre quasi nuove, perché possederne una così era un lusso di cui vantarsi in paese.
Rubrica in Convento Fioretti 02 (Leonora Giovanazzi)Frate Samuele, di prima mattina, quando il cielo cominciava appena ad albeggiare, quatto quatto, mentre tutti, soldati tedeschi compresi, erano ancora immersi nel sonno, si introdusse nella stalla-deposito e, attento a non fare il benché minimo rumore, scelse tra le biciclette proprio una delle più nuove, come ragionevole precauzione per non rimanere poi a piedi lungo la strada. Si mise subito in strada, che fortunatamente era in discesa, e, via!, pedalando sicuro, si allontanò quanto più presto poteva in direzione di Bologna. La strada era piena di buche, ma alla luce dell’alba riusciva ad evitarle, e la polvere non costituiva un problema, in quanto all’arrivo sarebbe stata sufficiente una scrollatina al saio.
Il viaggio andò a gonfie vele, anche se non fu proprio una cavalcata, in quanto occorreva tenere gli occhi aperti per evitare di imbattersi in qualche pattuglia tedesca. Giunto in città si occupò delle faccende da sbrigare e, quando ebbe terminato, si accinse a fare ritorno a Montepastore. Ma gli venne un dubbio: se i tedeschi lo avessero visto arrivare con quella bicicletta quasi nuova, come l’avrebbe messa? Quei testoni - così si diceva - non avrebbero tardato a concludere che l’avesse sottratta al loro deposito, in quanto le migliori le avevano collocate diligentemente da una parte e le avevano bene osservate, in previsione di servirsene loro stessi. Che fare? Tornare a piedi? No, non era la soluzione giusta. E allora? Anche lui, pur così astuto, non riusciva lì per lì a trovare una via d’uscita. Quando…
Gli venne in aiuto un prete di mezza età, che, pure lui in bicicletta, una vecchia bicicletta che sembrava lamentarsi a ogni giro delle ruote come un malato d’asma, stava passando per la medesima strada dove il frate si era fermato per inventarsi una soluzione. Frate Samuele colse l’occasione al volo: «Reverendo!», lo chiamò. Quello, stringendo con tutta forza i freni quasi fuori uso, riuscì ad arrestarsi qualche metro più avanti, chiedendosi il motivo per cui un cappuccino si era rivolto a lui. «Signor arciprete - iniziò frate Samuele -, io sono un povero cappuccino. Mi è stata regalata una bicicletta nuova, che mi vergogno di usare. Non è adatta per me. Sa, noi frati dobbiamo osservare la povertà e l’austerità, e questa non conviene a un povero frate. Le va di barattarla con la sua? Lei mi dà la sua e io le do la mia nuova, più confacente a lei che non a me». Dire che il prete non rimanesse sorpreso della proposta non corrisponderebbe al vero, ma non se la fece ripetere due volte. «Se a lei va bene, a me va ancor meglio!» rispose. Così frate Samuele scambiò la sua bicicletta con quella del prete. Naturalmente questi lo ringraziò, perdendosi anche in tanti inchini, ma frate Samuele se ne infischiava di quei salamelecchi, perché il vantaggio era più suo che dell’altro.
Dopo essersi assicurato che le ruote fossero gonfie e che la catena non corresse il pericolo di uscire dalla sua sede, si rimise in sella e riprese la via del ritorno. I freni erano, sì, andati, ma non vi era di che preoccuparsi, perché la strada era in salita. Pedalare però con quel mezzo, quasi un esemplare da museo, era alquanto faticoso e la velocità non era quella di quando era disceso. Ma frate Samuele non se ne dava pensiero, essendo nel pieno delle sue forze, capaci anche di affrontare un toro furioso.Come Dio volle, fu finalmente in vista delle prime case di Montepastore, ma fu preso dal dubbio che i tedeschi potessero essersi accorti della scomparsa di una bicicletta nuova dalla stalla. Tuttavia si fece coraggio, perché lui la bicicletta nuova non l’aveva più e quella che aveva non era altro che un ferro vecchio. Come era da aspettarsi una pattuglia di soldati gli intimò l’alt!, e gli fu sequestrata sbrigativamente la bicicletta vecchia e malandata. Frate Samuele implorò che gliela lasciassero, in quanto, benché ridotta in modo pietoso, gli serviva per raggiungere le varie chiese e celebrare messa, ma quei militari, che lui immaginò tutti protestanti, furono inflessibili. Non gli fecero però alcuna domanda da dove venisse e lo lasciarono andare in pace. A piedi.
Frate Samuele si allontanò apparentemente con disappunto, ma ridendo dentro di sé, dicendosi che anche questa volta era riuscito a farla in barba ai tedeschi, che si credevano furbi più di tutti. Non di lui però.