I piedi scalzi dei cappuccini attirano gli sguardi soprattutto d’inverno. Ma anche se un piede solo è scalzo: «Ma fratino, non sente freddo? Ha una calza sola!». Frate Marcellino si fermò incredulo, si guardò i piedi, e con sua sorpresa dovette constatare di avere effettivamente un piede nudo. Ma lui non era un frate da scoraggiarsi per così poco: «Signora, io avevo freddo a un piede solo!». In Fioretti cappuccini si racconta invece di frate Samuele in bicicletta sulla linea Gotica.

Nazzareno Zanni

 

Rubrica in Convento Piedi nudi 01 (Leonora Giovanazzi)Lode altissima de’ fratelli piedi

L’immagine tradizionale di un cappuccino, sostanzialmente la stessa di oggi, è quella di un uomo con barba, corta o lunga che sia, saio colore legno vecchio con lungo cappuccio a punta alle spalle, cordone ai fianchi e piedi scalzi infilati in sandali aperti.

A parte la barba, sono i piedi nudi in sandali aperti a fare impressione a chi li guarda. E se oggi le scarpe hanno fatto il loro ingresso anche nei conventi, quei tipici «calceamenti» frateschi, mai scomparsi, fanno sempre il loro dovere di accompagnare i piedi scalzi di molti frati nel cammino della loro vita austera.
Già, i piedi scalzi. I piedi sono indispensabili, anche se meno nobili delle mani. Pur essendo gli organi più distanti dalla testa, che racchiude la più alta ricchezza, il cervello umano, non per questo sono da sottovalutare o da svilire, come chi per spregio, taccia un suo simile di ragionare con i piedi: a ogni organo la sua funzione, tutte insostituibili e tutte nobili, anche se in grado diverso. Ai piedi non spetta di certo manipolare oggetti o scrivere come le mani, ma, se per somma sfortuna mancassero, la deambulazione sarebbe impossibile, e una loro menomazione la renderebbe scoordinata e incerta. Compete a loro camminare, correre, saltare, salire, fuggire e anche difendersi… a suon di calci. Non si potrebbe rimanere eretti senza la presenza di queste preziose estremità, che, pur necessitando di poco posto per appoggiarsi a terra, sono un miracolo della natura, riuscendo a sostenere in equilibrio chili e chili di muscoli, di ossa, di organi interni e anche… i pesanti pensieri della mente.
Alle mani san Francesco non mise alcuna limitazione e non ne parlò, riservando tutta la sua severità per i piedi. Che ce l’avesse con loro? Eppure lui era un giramondo e i piedi gli servivano. E come! Il guaio per i piedi incominciò agli inizi della sua vita eremitica, quando, ascoltando il vangelo, in cui Gesù invitava i suoi discepoli «a non procurarsi né bastone, né sandali» (cf. Mt 10,9), gettò immediatamente via il bastone di cui si serviva, sciolse dai piedi i calzari e di qui in avanti camminò scalzo. Nella Regola per i suoi frati moderò questo suo radicalismo e consentì a coloro che fossero costretti da necessità di «portare calceamenta [calzature]», seguendo le indicazione dell’evangelista Marco (Mc 6,9). La tradizione poi fissò in maniera inequivocabile che cosa significasse «portare calceamenta»: usare semplici sandali a piedi nudi. Questa disposizione aveva vantaggi e svantaggi. I vantaggi consistevano nel non doversi procurare calze, né corte né lunghe, né di cotone né di lana, con risparmio di fatica e di tempo nel lavarle e rammendarle. Gli svantaggi erano altrettanto indiscutibili: se nel periodo tarda primavera-estate-inizio d’autunno era un sollievo non avere a che fare con quegli indumenti, nella stagione fredda, e soprattutto quando un gelo birbone mordeva sul serio, l’assenza di un riparo per quelle preziose estremità si dimostrava un autentico supplizio.
A nulla valeva la spessa callosità acquisita con l’andare con i soli sandali o, peggio, con gli zoccoli, ambedue tutt’altro che morbidi e confortevoli; anzi con l’avanzare del freddo non era raro che comparissero sui talloni induriti dai calli delle profonde crepe assai dolorose, che costringevano a camminare letteralmente in punta di piedi. In tal caso i superiori, bontà loro, consentivano di ricorrere ai «calzerotti» cappuccineschi, calze a cui era stata asportata tutta la parte anteriore e superiore, in modo da lasciare solo ciò che copriva il tallone, non di più. Quel rimedio, tuttavia, si dimostrava di avere l’effetto del caminetto di Geppetto, un falegname così povero che si scaldava con un fuoco dipinto sul muro della sua bottega. Tutto questo perché non bisognava andare oltre l’indispensabile per non offendere la povertà e per preservare lo spirito di mortificazione. I frati più austeri, tuttavia, rifiutavano persino i calzerotti, preferendo cucire le vistose crepe al tallone con lesina e spago, o con ago e filo.
Rubrica in Convento Piedi nudi 03A differenza dei piedi, le mani hanno sempre goduto di migliore considerazione, anche se i geloni la facevano da padroni. Quando non erano impegnate nel lavoro o nel reggere il breviario in coro, venivano infilate nelle maniche, sufficientemente larghe per dare loro ospitalità, potendo così godere del calore corporeo, o essere strofinate con forza l’una contro l’altra. Ma non i piedi, che non si avvantaggiavano di tali attenzioni, esposti com’erano al gelo tutto l’inverno. «Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte», aveva lasciato scritto san Francesco. I frati ripetevano a memoria quelle dolci parole che scaldavano il cuore, ma che per i piedi rimanevano solo parole… Allora ci si arrangiava come si poteva, e non era raro vedere un frate, al suo rientro in convento, introdursi furtivamente in cucina per concedersi il lusso di infilare i piedi gelati nel calore del forno.
Rubrica in Convento Piedi nudi 02 (Leonora Giovanazzi)Con il passare del tempo i cordoni di madonna povertà e di matrigna austerità si allentarono, e il modo dei frati di affrontare il freddo ai piedi si modificò. Qualche paio di calze cominciò a fare il suo furtivo ingresso in convento vuoi perché un frate fosse colpito da un potente raffreddore, vuoi perche l’età degli anziani reclamava i suoi diritti. Calze fatte a maglia da qualche donna pietosa con lana di recupero, rozze e dei più vari colori, le cui qualità di resistenza e di protezione ben poco potevano contro il ruvido cuoio dei sandali unti con la sugna di maiale o la durezza del legno degli zoccoli intagliati alla bell’e meglio da un albero dell’orto. Ma tant’è, il solo calzare quegli indumenti per piedi, che da qualche spiffero o buco lasciavano inevitabilmente sempre entrare aria gelida, creava l’illusione di avvertire un po’ di beneficio.
A riguardo delle calze, a cui i frati non erano ancora del tutto abituati, sono rimasti nella memoria episodi curiosi. Bella cosa le calze, ma all’occorrenza, quando per l’uso si creava un grosso buco, bisognava rammendarle, operazione che pochi avevano l’abilità o la voglia di fare. Così che non era raro che da calze usate e strausate facesse capolino, come in cerca di luce, il dito grosso o che il tallone si mostrasse nudo. E questo capitava più spesso di quanto di possa pensare.
Frate Marcellino, un frate spesso con la testa fra le nuvole dei suoi pensieri di artista, un giorno d’inverno, quando l’aria era davvero pungente più di un porcospino, se ne uscì di convento dopo aver indossato le calze. O almeno così credeva. Dopo aver chiuso la porta d’ingresso, si mise a camminare a lunghi passi per la strada, attento a evitare i luoghi dove l’aria gelida invernale faceva mulinare le ultime foglie autunnali rimaste sul terreno. Poco dopo incrociò una donna, che immancabilmente, nel vedere un frate, non resistette alla curiosità di osservarne i piedi. «Ma fratino, non sente che freddo? Ha una calza sola!». Frate Marcellino si fermò incredulo, si guardò i piedi, e con sua sorpresa dovette constatare di avere effettivamente un piede nudo. Ma lui non era un frate da scoraggiarsi per così poco: «Signora, io avevo freddo a un piede solo!». E se ne andò per la sua strada, pur cominciando, dal quel momento, ad avvertire freddo al piede nudo. Da quella volta frate Marcellino si preoccupò di uscire di convento sempre con le calze a posto, ma non sempre possedeva ago e filo per rammendarle, qualora presentassero ampi squarci. Un giorno, avendo una calza con un largo buco da cui spuntava vistosamente il dito grosso, lui, che si dilettava di pittura, dipinse l’alluce del colore delle calze e uscì bel bello dal convento, senza che nessuno se ne accorgesse e lo fermasse. Raccontò in seguito che egli non avvertì il freddo a quel povero dito, perché la vernice gli aveva fatto da calza.
Ancor oggi vi sono frati che, in pieno inverno, affrontano il gelo a piedi nudi in sandali meno rozzi di quelli di un tempo, e certamente più confortevoli. E i «calzerotti» cappuccineschi? Da tempo se ne è persa memoria e nessun frate anziano oggi si azzarderebbe a metterli ai talloni, mentre i frati giovani neppure saprebbero dire che cosa fossero.N