Il disarmo dei genitori-elicottero

In pericolo il futuro dei nostri figli, altro da noi

di Stefano Folli
francescano secolare di Faenza, giornalista

Incursione in famiglia 01Whatsapp dipendenti

Uno spettro si aggira per il mondo delle tecno-mamme: il gruppo Whatsapp. Se avete figli in età scolare e uno smartphone, sapete bene di cosa parlo.

Per quei pochi esclusi da questo mondo, Whatsapp è una piccola applicazione per scambiare messaggi con i propri contatti tramite telefono mobile, vantaggioso perché più comodo, rapido, efficace ed economico rispetto agli sms. Soprattutto se si vogliono scambiare messaggi condivisi tra più persone, creando appunto quelli che sono chiamati “gruppi”.
E ogni classe, almeno dalla scuola materna in avanti, ha il proprio “gruppo mamme” (che non esclude che vi partecipino anche i papà, naturalmente, anche se questi sono in media meno appassionati dello strumento), essenziale per scambiarsi rapidamente informazioni su compiti, avvisi, appuntamenti, malattie ed epidemie in corso, commenti su come stanno andando le cose in classe e così via. Niente di più comodo per sapere qual è la pagina giusta del compito di geografia drammaticamente non segnata sul diario, per avere un file audio della poesia da mandare a memoria recitata dalla bambina che l’ha già imparata, per avere informazioni in tempo reale sugli spostamenti di pidocchi all’interno della scuola. Ma quando diventa ricettacolo di sfogo per insoddisfazioni e problematiche vere o presunte, con i messaggi che si moltiplicano nell’ordine delle decine al giorno, la tentazione di “uscire dal gruppo” diventa forte. Ma non si può, perché altrimenti qualcuno potrebbe pensare male o sentirsi offeso, e comunque si rimarrebbe tagliati fuori da tutto il resto.
Il copione si ripete anche per tutti gli altri gruppi frequentati (catechismo, scout, società sportiva...). Alla fine, la innegabile comodità del mezzo sta diventando un’estensione del genitore e si sta configurando, volenti o nolenti, come uno strumento di maggiore presenza nella vita dei figli. Abbiamo un numero sempre maggiore di informazioni che riguardano le attività che fanno e le loro amicizie. E ci sembra che tutto questo sia scontato e normale. Anzi, sapere certe cose ci autorizza pure ad esprimere maggiori giudizi, a inserirci, a commentare, a interagire. A mia mamma, da ragazzino, dicevo “Vado in parrocchia sabato sera”. A lei interessava sapere dove ero e a che ora tornavo. Punto. Adesso invece i genitori vogliono sapere esattamente che tipo di attività specifica verrà svolta in parrocchia e con quale finalità (di solito, non all’altezza delle aspettative).
Tutto bene, quindi? Genitori presenti, sempre più presenti, uguale genitori migliori? Non proprio, perché non sempre avere sotto controllo ogni minimo aspetto della vita dei propri figli li aiuta a crescere bene.

Incursione in famiglia 02 (Rus suzdal)Non pattugliare il territorio figli

Una tendenza innegabile delle famiglie della nostra società, complice il basso numero di figli, è senza dubbio il maggior investimento (affettivo, emotivo e relativo alla realizzazione nella vita) che i genitori hanno nei loro confronti e che li porta ad essere spesso troppo presenti.
Trovare il giusto distacco per far crescere un figlio in equilibrio, perché possa autonomamente fare discernimento e attuare le proprie scelte di vita, non è facile. E con l’obiettivo di “aiutare” i propri figli, dicono psicologi e sociologi, spesso i genitori rischiano di portare più danni che benefici se non riescono a limitare la propria presenza.
Ecco allora i “genitori elicottero” (helicopter parents), quelli che stanno sempre attorno ai propri figli, pattugliano i loro cieli pronti a entrare in azione e a sostituirsi a loro per soddisfarne i bisogni e risolvere ogni problema che si presenti. Il “pronto intervento” fa sentire i figli più sicuri? Non è affatto detto. Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di spazi che siano solo loro: rapporti con i propri pari, giochi autonomi dagli adulti, spazi in cui potere sperimentare l’essere se stessi e anche diverse sfaccettature di se stessi, a seconda dell’ambiente in cui si trovano. I genitori, dal canto loro, devono abituarsi a gestire il giusto distacco (che sarà sempre crescente, man mano che aumenta l’età) per aiutare i figli a trovare la giusta indipendenza e libertà. Che non vuol dire disinteressarsi, anzi, ma saper guidare e consigliare chi sta crescendo senza risultare opprimente.«Dobbiamo fare il compito», «Domani abbiamo la verifica di matematica», «Ci iscriviamo al liceo scientifico»: l’utilizzo del “plurale” da parte dei genitori in ambito scolastico è sempre più diffuso. Ma noi genitori non dobbiamo fare nessun compito, né dobbiamo essere esaminati: abbiamo già da tempo concluso il nostro ciclo di studi e sentirsi così coinvolti in quello dei figli non aiuta nessuna delle due parti. Insomma, è veramente necessario, per essere vicini alla figlia che inizia il liceo classico, imparare con lei il greco? O non sarebbe più opportuno sostenerla in altro modo?

Rispetto per il figlio-altro

Oggi, sempre in ambito anglosassone, si sta diffondendo un’altra espressione che segna un’ulteriore evoluzione: dai genitori elicottero ai “genitori spazzaneve” (snowplow parents): sono quelli, e sono sempre più, che non solo stanno in vigilante attesa pronti a intervenire, ma addirittura agiscono in anticipo, spianano la strada ai propri figli, prendono decisioni per loro, sostituendoli con l’intento di proteggerli e aprire loro la strada. Ma il risultato, dicono gli esperti, è quello di avere figli che faticano a camminare con le proprie gambe, che crescono con scarsa autostima e mancanti di alcune abilità necessarie per essere persone mature. Evitiamo di inviare il curriculum al loro posto, non telefoniamo e prendiamo appuntamenti con uffici e consulenti per questioni che li riguardano. La strada spianata per ridurre o eliminare le sofferenze e prevenire i fallimenti rischia più spesso di soffocare le soddisfazioni e di inibire le opportunità di imparare e di sbagliare. Sì, perché anche la libertà di sbagliare è decisiva nel coltivare quel discernimento che ci porta a diventare adulti.
Su cosa puntare allora? Su quel giusto equilibrio tra “lasciare” e “trattenere”, tra controllo e distacco, tra regole e libertà che permette di far crescere la fiducia e la responsabilità. Amare qualcuno vuol dire riconoscerne l’“alterità”: un figlio è Altro da noi. Aiutare un figlio a crescere in modo maturo e responsabile, in realtà, tranquillizza poi sulla libertà concessa. Questo può voler dire, nel concreto, gestire la propria ansia “genitoriale”, fare qualche domanda in meno, pazientare, lasciar correre, fare spazio, non essere protagonisti, non prendere decisioni per altri, dare fiducia.
Come ogni equilibrio è sempre precario, difficile da mantenere, talvolta è da ricostruire con fatica, disappunto e anche qualche delusione, ma è l’unica strada, se ci si pone l’obiettivo a lungo termine di donare ai propri figli un futuro da persone mature e consapevoli di sé.