La giungla delle risposte

Qualche criterio per orientarsi nell’universo del web

di Guido Mocellin
Caporedattore de “Il Regno”

Mocellin 01Maneggiare con cura

Alcuni anni fa una lettrice mi raccontò di aver «colto in fallo», a proposito di discernimento e motori di ricerca nel mondo digitale, nientemeno che Vittorio Messori, del quale lei stessa era (ed è tuttora) un’ammiratrice.

In una sua rubrica – sul mensile Il Timone, mi pare – il noto scrittore lamentava la (relativa) scarsità di ricorrenze della stringa «Gesù Cristo» rispetto alla stringa «Hiltler»: dimenticando, naturalmente, che «Hiltler» è uguale per tutte le lingue, ma Gesù Cristo no, cosicché per un paragone corretto tra le due ricerche si sarebbe dovuto sommare a «Gesù Cristo» almeno anche «Jesus Christ», «Jesucristo», «Jésus Christ», «Jesus Christus»… Avremmo facilmente scoperto, in tal modo, che in Rete c’è molto più Gesù di Hitler. Per fortuna.
Ma l’episodio conferma, credo, che i siti Internet, e segnatamente i motori di ricerca, vanno maneggiati con cura. Bisogna sapere, almeno a grandi linee, cosa è stato insegnato loro a fare, per capire cosa chiedere. Infatti sono dei robot, come dice Federico Badaloni, un giornalista che, in quanto «architetto dell’informazione», si occupa della struttura, delle funzionalità, dell’usabilità e dei percorsi di navigazione nei siti del Gruppo Editoriale L’Espresso (andate sul suo blog «Snodi»). Dunque li conosce benissimo e passa con loro un sacco di tempo, al punto che è in grado di insegnare non solo come «trovare» qualcosa, ma ancor più, se abbiamo un sito, come «farci trovare».
E allora, come governare le proprie ricerche su Internet senza ingannarsi? Le regole possono essere infinite, ma proverò qui a dirne alcune: quelle che utilizzo io tanto per trovare una pizzeria a Monghidoro (ridente cittadina, detta anche Scaricalasino, dell’Appennino bolognese) quanto per scoprire se il vescovo della Florida è cattolico o anglicano (è successo, diversi anni fa, a qualche sito italiano di citare, appunto, un certo «vescovo della Florida» senza accorgersi che era vescovo, sì, ma non della Chiesa di Roma, che d’altronde non ha una diocesi «Florida»…).

Chi parla?

La prima regola che suggerisco è vecchia quanto il telefono, e infatti la chiamerei: «Chi parla?». Capire chi stiamo leggendo, cioè riconoscere in qualche modo la fonte di un certo risultato, saggiarne la popolarità e la credibilità, che a volte, sulla Rete, coincidono, ma a volte no, è un esercizio fondamentale per avventurarsi nel web senza smarrirsi. Ad esempio, se si formula una domanda vera e propria, cioè con il punto interrogativo, è probabile che il robot vi accompagni a visitare risposte date da utenti: cioè non sempre autorevoli, a volte divertenti, più spesso stupide e comunque inutili.
Un’altra regola ha a che fare con la lingua. La Rete parla soprattutto inglese, perciò, se si cerca qualcosa non direttamente legato a un paese, converrà sempre cercarlo anche in inglese, e lasciar credere al robot (c’è il modo, c’è il modo) che siete anglofoni. Troverete molte più cose e soprattutto molto più serie.
Anche il contesto geografico è importante. Recentemente una ong svedese che lavora con l’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha diffuso un video in cui mostra i diversi risultati che si ottengono lanciando su Google le ricerche «child», «home» e «car» e accostandovi, alternativamente, le parole «Sweden» e «Syria». Può darsi che il video sia più verosimile che vero (che l’effetto cioè sia un po’ addomesticato), ma la sostanza di ciò che ci comunica non cambia.
Il sistema riconosce le stringhe fra virgolette. Anche questo stratagemma può essere utile a «raffinare» le nostre ricerche, orientandole meglio. Soprattutto se si è a caccia di un libro, o di un film, o di una canzone: offrire al robot il titolo esatto, tra virgolette, risparmierà a lui e a noi un sacco di tempo e non poca fatica: se c’è, e quasi sempre, in qualche angolo della Rete, c’è, verrà fuori.

Mocellin 02L’uomo-decoder

Un ultimo criterio, assai delicato, riguarda i rischi di trovare, mentre si cerca, qualcosa che «piace», ma che non si stava affatto cercando. In altre parole: il sistema ci asseconda, anche nelle nostre debolezze. Vale in particolare per quel lato meno nobile della Rete che ha a che fare con la pornografia e che, dicono i dati, ne sostiene buona parte del traffico. Chi confeziona i grandi portali, in particolare quelli che hanno a che fare con l’informazione, lo sa, e dunque piazzerà quasi sempre, nell’home page, qualche notizia, corredata da immagini, un po’ pruriginosa. Lo spunto può essere la cronaca nera o quella rosa, ma ciò che conta è la confezione della notizia: fatto in un certo modo, si chiama «pornografizzazione». Se ci si lascia prendere dalla curiosità, e si segue quella pista link dopo link, si rischia di ritrovarsi là dove non si vorrebbe e dovrebbe.
Enorme è infine il capitolo: «Rete e ricerca di Dio». Ma qui non posso che appoggiarmi – dopo Badaloni – a un’altra autorità in materia, p. Antonio Spadaro, che oltretutto è un gesuita, e quindi sul discernimento la sa lunga. Oggi direttore de La Civiltà cattolica, ma da tempo apostolo della «cyberteologia», ecco cosa traeva, nella conferenza del 2011 «Come la rete plasma l’homo religiosus» (in http://www.cyberteologia.it), dalla semplice ricerca della parola «God»: «Digitando in un motore di ricerca la parola God oppure anche religion, spirituality, otteniamo liste di centinaia di milioni di pagine. Internet sembra essere il luogo delle risposte. L’uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una ricerca. Come cambia la ricerca di Dio al tempo dei motori di ricerca? Quali sono le conseguenze di questa ricerca? Tra le tante mi soffermo su una: il possibile cambiamento radicale nella percezione della domanda religiosa. Una volta l’uomo era saldamente attratto dal religioso come da una fonte di senso fondamentale. L’uomo era una bussola, e la bussola implica un riferimento unico e preciso: il Nord. Poi l’uomo ha sostituito nella propria esistenza la bussola con il radar che implica un’apertura indiscriminata anche al più blando segnale e questo, a volte, non senza la percezione di “girare a vuoto”. L’uomo però era inteso comunque come uno alla ricerca di un messaggio del quale sentiva il bisogno profondo. Oggi queste immagini, sebbene sempre vive e vere, “reggono” meno. L’uomo, da bussola prima e radar poi, si sta trasformando in un decoder, cioè in un sistema di decodificazione delle domande sulla base delle molteplici risposte che lo raggiungono. Posta la domanda, siamo bombardati dalle risposte».

Dell’Autore segnaliamo la rubrica “WikiChiesa” che tiene, a giorni alterni, su Avvenire, a p. 2