Cogliere la peculiarità del tempo

Scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del vangelo

di Elia Orselli
della Redazione di MC

Orselli 01Distinguere la sostanza

«Ma sono le rughe?». «Forse i segni zodiacali?». «No, no: per me sono quei grandi eventi della storia che poi gli uomini si ricordano».

La domanda a bruciapelo, posta a giovani e meno giovani, sul sagrato dopo la messa non trova risposta. Questi “segni dei tempi” non si sa proprio cosa siano. Espressione mai udita. O forse no: «Mi pare di averla sentita, al liceo, in una poesia decadentista». Neppure i più abituati alle mie stranezze, che sanno che con “Vaticano II” il più delle volte se la cavano, questa volta hanno l’illuminazione. Fortunatamente il cellulare trema in tasca, l’amica scout interpellata via facebook ha la sua risposta: discernere i segni dei tempi significa «essere in grado di riconoscere, partendo da un percorso interiore, le caratteristiche del periodo in cui si vive rispetto a quelle di vari altri periodi… in modo da poter distinguere la “sostanza”, che rimane immutata, dal modo di manifestarla». Ci siamo!
«Seguendo gli ammonimenti di Cristo Signore che ci esorta a interpretare “i segni dei tempi” (Mt 16,3) fra tanta tenebrosa caligine scorgiamo indizi non pochi che sembrano offrire auspici di un’epoca migliore per la Chiesa e per l’umanità» (Humanae salutis 4). Natale 1961: con queste parole Giovanni XXIII nella bolla Humanae salutis, con la quale ufficialmente indice quel Concilio di cui aveva parlato sin dal ’59, enuncia uno dei concetti che più segneranno il Vaticano II e la vita della Chiesa fino a noi. Aggiornamento, pastoralità, segni dei tempi, misericordia, gioia. Sono tante le parole che papa Giovanni , «pastore e guida-guidata dallo Spirito» - come ha voluto definirlo papa Francesco nell’omelia della canonizzazione - affida ai Padri per indicare il compito (un Concilio senza un’eresia da combattere? Ma si è mai visto?!) al quale li ha chiamati da ogni dove.
Gli schemi prodotti dalle varie commissioni preparatorie, arrivati sulle scrivanie dei vescovi sin dal luglio ’62, si dimostrano per la maggior parte inadeguati ad affrontare i lavori come richiesto dal Papa. Elenchi di condanne, dottrine ribadite pedissequamente, conferme di una prassi nata in strenua opposizione al modernismo e cristallizzatasi stridono profondamente con le parole di speranza che il Papa - che ama definirsi «come un sacco vuoto che si lascia riempire dallo Spirito» - costantemente pronuncia.
I Padri non eludono la domanda e con coraggio e non poca fatica si aprono al nuovo stile. Il lavoro non è semplice e ben ne sintetizza le difficoltà e le potenzialità Raúl Silva Henríquez, cardinale di Santiago del Cile che, come tanti vescovi, è intervistato dai microfoni di una Rai molto attenta alle vicende ecclesiali: «È un dialogo che incomincia. Certamente noi non potremo dare tutte le risposte, però abbiamo la buona volontà di segnalare agli uomini una strada nuova: la strada della Chiesa che vuole accompagnare l’umanità nel suo cammino». Non sempre si trovano subito le parole giuste: «È la prima volta che in un Concilio cerchiamo di risolvere molti problemi gravissimi della vita attuale dell’uomo. È sull’uomo che noi dobbiamo studiare la soluzione dei problemi di oggi». Il risultato è davanti ai nostri occhi.

Orselli 02 (Turchia)In modo adatto ad ogni generazione

Quattro volte il termine “segni dei tempi” compare esplicitamente nelle redazioni finali dei documenti: nella Gaudium et spes, in Presbyterorum ordinis, in Apostolicam actuositatem e nella Unitatis redintegratio, quasi a significare che questa ricerca debba permeare tutta la vita del cristiano: che dialoghi col mondo o con i fratelli separati, che sia sacerdote o laico. «È dovere permanente della Chiesa» - dice in particolare Gaudium et spes - «di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico» (GS 4). Lo stile nuovo diventa mandato permanente alle comunità e ai singoli cristiani. «Non è il Vangelo che cambia, siamo solo noi che lo capiamo meglio»: san Giovanni del concilio è fermo in questa convinzione, che confida sul letto di morte.
«Tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalle proprie comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (EG 20). Papa Francesco è altrettanto chiaro. Evangelii gaudium è un tesoro di «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,51) che, senza alcuna velleità di completezza, chiede a ciascuno di trovare «il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova» anche se questi frutti possono sembrare «apparentemente imperfetti o incompiuti» (24).

Capire il bene, evitare il male

«Chiarire ciò che può essere un frutto del Regno e anche ciò che nuoce al progetto di Dio. Non solo riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello spirito cattivo, ma - e qui sta la cosa decisiva - scegliere quelle dello spirito buono e respingere quelle dello spirito cattivo» (51) Un intero capitolo è inteso come esempio di discernimento evangelico, «lo sguardo del discepolo missionario che “si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo”» (50), proprio per far capire come sia in primo luogo necessario un «reale contatto con le famiglie e con la vita del popolo» (28) per esprimere le verità del Vangelo con un linguaggio che ne faccia risaltare la permanente novità (cf. 41).
Il profilo dell’evangelizzatore - cioè di ogni cristiano - che scaturisce dalle parole di papa Francesco è coraggioso: evangelizza con Spirito, pregando e lavorando perché «non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore» (262); non cammina da solo: conta sui fratelli e sui vescovi «in un saggio e realistico discernimento pastorale» senza lasciarsi tentare dalla comodità del «si è sempre fatto così» (33); non si dimentica del territorio in cui vive spendendosi per la parrocchia e la diocesi anche quando fa parte di altre istituzioni (29); è capace di concentrare il proprio annuncio «sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario, senza perdere per questo profondità e verità» (35), aprendo così le porte di questa Chiesa anche «accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade» (49) a «poveri, infermi, coloro che sono disprezzati e dimenticati, “coloro che non hanno da ricambiarti”» (48).
Tantum aurora est