Già da qualche anno, durante l’Avvento, Messaggero Cappuccino organizza alcuni incontri su temi che possono interessare per la loro attualità. Quest’anno, il 2, il 9 e il 16 dicembre, Adel Jabbar, sociologo presso RES di Trento, Brunetto Salvarani, docente di dialogo interreligioso alla FTER di Bologna, e Paolo Branca, responsabile diocesano del dialogo con i musulmani di Milano, si sono avvicendati per dialogare con il pubblico intervenuto sul tema “Accoglienza tra politica e vangelo”.

Barbara Bonfiglioli
 

Rubrica Religioni in dialogo 01 (Luigi Ottani)Idee per un incontro di culture

Attraverso gli incontri con esperti, impariamo ad evitare i pregiudizi  

 ADEL JABBAR

Chi sono gli immigrati in Italia?

Rubrica Religioni in dialogo Jabbar (Saverio Orselli)Jabbar ricorda che gli stranieri vengono pensati come una massa omogenea, dimenticando che sono individui, costretti a ridefinire, nel nuovo paese, la loro identità.

Il processo di acquisizione ed interiorizzazione degli elementi socioculturali, economici, relazionali della società dove arrivano è complesso. Qualsiasi straniero, prima di pensare a prendere contatto con la nuova società in cui si trova a vivere, ha come primaria necessità quella di soddisfare i bisogni fondamentali (casa, lavoro, scuola per i figli…). Ancora più complessa la realtà che si trovano ad affrontare i giovani, figli di immigrati, nati e cresciuti in Italia: questi si trovano a dover combinare i modelli culturali ricevuti e trasmessi dai propri genitori con i modelli culturali trasmessi dall’essere cresciuti in Italia ed acquisiti dalla vita quotidianamente. E’ un’opera gigantesca che si trovano ad affrontare spesso da soli o, comunque, senza un adeguato supporto da parte delle figure istituzionali (insegnanti, educatori, assistenti sociali,..).  Sono generazioni “transculturali”, perché sono persone che attraversano le culture, fenomeno che, sociologicamente, è sempre stato presente nelle diverse civiltà.
Per Jabbar, accettare il dialogo è faticoso: occorre evitare di imprigionarsi nella terminologia, avere consapevolezza dei propri limiti, accettare di essere messi in discussione, accettare il dubbio su sé.
Non si può dialogare, però, se siamo in presenza di una disuguaglianza sociale: occorre promuovere una serie di iniziative che mirino a favorire la pari dignità umana tra autoctoni e migranti.
Il dialogo poi subisce l’attacco di una strategia mediatica distorta, che volutamente passa informazioni che generano paura. Durante il dibattito, non sono mancate le domande riguardo a quanto succede in Siria. Jabbar ricorda che occorre chiamare le cose con il loro nome: quanto accade in Siria non è connesso all’Islam, ma è connesso alla violenza. Molti musulmani in Siria hanno denunciato e preso le distanze dall’ISIS e hanno pagato con la vita. I media e la stampa italiani hanno deciso di non parlarne, perché? Ricorda, inoltre, che l’attuale situazione in Medio Oriente va contestualizzata: non è nata ora, è presente in questi stati da decenni, colpi di stato ci sono sempre stati. Chi li ha favoriti?
Occorre quindi cercare di abbandonare lo stereotipo, costruito ad arte, del “noi” e del “loro”, evitare una società con “separati in casa” e ricordare che gli uomini da sempre sono stati “persone in cammino”, alla ricerca di opportunità migliori. La presenza di persone diverse nello stesso luogo non è mai facile: si devono trovare le distanze giuste per vivere bene, per cercare di creare relazioni dignitose ed umane per tutti, basate su una conoscenza reciproca e compromessi.

 

 Rubrica Religioni in dialogo Salvarani (Saverio Orselli)BRUNETTO SALVARANI

Ritorna lo scontro di civiltà?

Ha diviso il suo intervento in due parti: una prima parte, più storica, in cui ha sottolineato da dove nasce l’idea di scontro di civiltà ed una seconda parte in cui ha cercato di de-costruire quest’idea.
L’idea di scontro di civiltà nasce con Huntington nella metà degli anni ‘90: nella crisi di tutte le ideologie del pensiero occidentale, le religioni hanno ripreso ad avere una funzione pubblica importante e, visto che le religioni sono così compatte e diverse, sono destinate a scontrarsi, da qui il concetto di “scontro di civiltà”. Dopo l’11 settembre questo slogan di Huntington si è radicato. In un clima di islamofobia, non si fecero distinzioni all’interno dell’Islam e nacque l’idea di scontro di civiltà tra due realtà compatte: il fondamentalismo islamico e la civiltà occidentale. L’unico che si pose contro questa idea fu Giovanni Paolo II, che, nel 2001, propose, senza successo, la condivisione  del digiuno nell’ultimo venerdì del Ramadan. Il clima culturale dell’epoca era orientato altrimenti. Questo almeno fino al 2012. Per un paio di anni le cose sembrava potessero cambiare (il discorso di Ratisbona e suoi sviluppi), quando nell’estate del 2014 scoppia il caso Califfato e ISIS: di nuovo si identifica il Califfato con i musulmani, si torna al 2001, cresce l’islamofobia, dimenticando che non è detto che chi viene da un paese musulmano sia musulmano.
Salvarani crede che lo scontro di civiltà sia un’idea da de-costruire, perché questo è uno scenario a vantaggio solo di “certi interessi”, che adotta, come unico criterio antropologico che muove gli esseri umani, la paura e che, di fatto, non apre ad alcun tipo di prospettiva futura.
Per de-costruire questa idea, occorre investire nell’educazione e nella conoscenza, aiutando le persone a capire, conoscere e riflettere, senza pregiudizi e banalizzazioni e senza dimenticare il rischio rappresentato dall’ISIS oggi (l’idea di califfato affascina soprattutto attraverso internet).
Investire sull’informazione, sulla scuola, sull’educazione, sulla bellezza significa contrastare l’analfabetismo religioso (e non solo biblico), prendere sul serio la crisi antropologica ed economica in cui l’essere umano oggi vive, da pensare come opportunità e non con rancore.
Il modello interculturale oramai è obbligatorio e il fatto che in Italia non si siano fatte scelte crea problemi. La responsabilità di tale lacuna, per Salvarani, è della politica, che non ha colto che le religioni hanno diritto di parola nello spazio pubblico, pur nella salvaguardia della laicità, ma anche dei mass media, che hanno volutamente omesso di raccontare il dialogo già fortemente presente nella vita quotidiana di tanti, e delle comunità religiose, che non sono riuscite a leggere i segni dei tempi del pluralismo religioso e a collaborare serenamente tra loro.
Parlare di dialogo, oggi, è problematico, perché è poco capito e troppo strumentalizzato. Bisognerebbe partire da capo e pensare ad una strategia forte da declinare nella pastorale e vita comune, seguendo i suggerimenti di papa Francesco dell’Evangelii Gaudium: accogliere con affetto e rispetto gli immigrati, assicurare la libertà religiosa, evitare le generalizzazioni e opporsi alle violenze.

 

PAOLO BRANCA

A scuola di accoglienza

Rubrica Religioni in dialogo Branca (Saverio Orselli)Partendo dall’accoglienza nelle culture, ne sottolinea la difficoltà, soprattutto in Italia, e ricorda alcuni fattori: la veridicità di una notizia dipende dalla percezione che se ne ha; la difficoltà che si incontra a percepire la complessità della realtà, in quanto il nostro cervello tende a semplificare; l’esistenza di diversi registri di comunicazione (dalla “chiacchiera da bar” al linguaggio formale) che,  usando forme di linguaggio proprie, possono creare fenomeni di generalizzazione e di pregiudizio. Ad esempio, quando usiamo il termine “musulmani” dovremmo sapere che circa l’80% non è di etnia araba.
Per poter, quindi, rapportarsi con l’altro - precisa Branca - occorre avere strumenti adeguati, come la conoscenza dell’altro; una consapevolezza che, da ambo le parti, c’è una difficoltà di gestione dell’interazione; una buona conoscenza della propria storia e della storia dell’altro (aspetto questo su cui sono molto deboli soprattutto le nuove generazioni). In pratica, non è questione di essere buoni o cattivi, ma di impegnarsi per acquisire gli strumenti necessari che ci aiutino ad affrontare le sfide quotidiane.
La storia ci insegna che non esiste una cultura incontaminata, ma che tutte le culture sono entrate in contatto. In particolare, la cultura islamica è entrata in contatto diverse volte con quella cristiana: basti pensare solo a Saladino che viene posto da Dante nel limbo, proprio perché, in lui, Dante vedeva il modello del principe giusto. Oggi, forse, si fatica a riconoscere i meriti che la cultura islamica possiede. Ma non si dovrebbe dimenticare che questo “nuovo” incontro tra cultura islamica e cultura cristiana potrebbe essere un’opportunità per entrambe. La sfida è grossa, perché ci mette di fronte ad uno specchio ed evidenzia le nostre criticità, come la perdita delle “ragioni della nostra fede”. Esempio concreto nella società italiana di contaminazione di culture diverse sono le “seconde generazioni”: troppo spesso fenomeno ignorato nella sua complessità e ricchezza.
Branca, poi, ha consigliato la lettura del discorso profetico del card. Martini, nella vigilia della festa di sant’Ambrogio del 1990: “Noi e l’Islam”. In questo testo, il card. Martini, partendo dalla Scrittura, sottolinea come il primo figlio di Abramo fu Ismaele, che peraltro Dio benedisse. La diversità appare nella Scrittura come inevitabile, non facile da gestire, portatrice di positività, ma anche di problemi, voluta da Dio come necessaria e funzionale alla vita. Quindi il confronto con l’altro, il diverso da noi non si potrà mai esaurire, ma si potrebbe gestire, evitando il dilettantismo e la scuola dei buoni sentimenti, ed impegnandosi a colmare quel vuoto culturale, che oggi appare così evidente. In tale direzione si potrebbe fare molto soprattutto negli oratori e nelle scuole dove l’incontro con l’altro è inevitabile, luoghi di testimonianza di fede più che alternative a qualche forma di servizio sociale.
Altro aspetto che Branca vorrebbe fosse curato è la creazione di istituti di formazione ai quali sia i cristiani sia i musulmani possano accedere per studiare la storia di entrambi in modo scientifico.
Da questi incontri pare proprio che il dialogo sia un’opportunità possibile e urgente, un momento per fermarsi sui punti comuni, per tendere ad azioni comuni sui campi in cui è possibile subito una collaborazione, e per l’annuncio - a cui sia il Cristianesimo sia l’Islam, non possono rinunciare - quale proposta semplice e disarmata di ciò che si ritiene più caro, tesoro a cui si vorrebbe che tutti attingessero per la loro gioia.
In entrambi gli approcci, occorre fare attenzione allo stile, che dovrà conservare caratteristiche di rispetto e di amore, di attenzione all’altro e di desiderio di comunicare la gioia nella pace. Nel nostro mondo secolarizzato di oggi, riusciranno cristiani e musulmani ad adottare questo stile?