La comunione nasce dall’andare verso gli altri

Intervista a padre Dereje Titos, della Chiesa d’Etiopia

a cura di Saverio Orselli 

Rubrica in Missione Dereje Titos 01 (Ivano Puccetti)Imola, Campo di lavoro e formazione missionaria. Agli occhi di un vecchio frequentatore del Campo, non poteva sfuggire quel volontario che si aggirava quasi con passo felpato nella confusione del Mercatino, alto, sorridente, meravigliato. Padre Titos Dereje è un sacerdote della Chiesa di Etiopia, che studia a Roma Missiologia e durante le vacanze ha pensato di trascorrere un paio di settimane al Campo di lavoro di Imola, dove, da tempo immemorabile, si raccolgono aiuti per la sua terra: fino a qualche anno fa per il Kambatta Hadya, la regione in cui lui è nato, e ora per il Dawro Konta, il territorio confinante, al di là del grande fiume Omo dove operano i cappuccini dell’Emilia-Romagna. Convincerlo a rispondere a qualche domanda non è stato facile, spaventato dall’italiano incerto con cui cerca di esprimersi da quando è in Italia.

Come hai deciso di venire qui?
Ho pensato che questo luogo rappresenta un grande aiuto per noi e per le missioni in Etiopia e così sono venuto per vedere e fare qualcosa anch’io: sono molto contento di avere fatto questa scelta.
Da molti anni conosco i frati: loro sono stati i miei missionari ed è grazie a loro che ho conosciuto questa esperienza a cui sto partecipando. Ora che sono studente di Missiologia a Roma, all’Università Urbaniana, sono qui per mettere in pratica il mio studio.

Tu sei originario del Kambatta e quindi conosci i frati da molti anni…
Sì, da molti anni. Io sono sacerdote della diocesi di Hosanna, e la preparazione e la formazione iniziale è stata fatta con loro. I frati sono stati i formatori miei e di tanti altri sacerdoti; con loro abbiamo fatto anche gli studi di filosofia e di teologia nell’Istituto dei Cappuccini in Etiopia.
Pur essendo sacerdote diocesano ho studiato nel seminario diretto dai Cappuccini; con i frati ho fatto i primi due anni a Hosanna e poi anche nel Seminario maggiore. Da una decina di anni i frati hanno lasciato quei ruoli che ora sono ricoperti da sacerdoti diocesani e io stesso sono stato per sette anni il rettore del Seminario maggiore.

Sono molti i ragazzi che stanno facendo il cammino di preparazione al sacerdozio?
Ringraziando Dio da noi le vocazioni ci sono e sono ancora tante!

Rubrica in Missione Dereje Titos 02 (Ivano Puccetti)Tornando al Campo, cosa ti aspettavi di trovare e cosa effettivamente hai trovato?
Non sapevo cosa mi aspettava, ma posso dire che mi sono trovato benissimo e che mi porto via un pensiero importante su cui riflettere: questo grande gruppo di volontari lavora con molto impegno e fatica per i bisognosi, per i poveri del mio Paese, ma anche per i poveri di qui che sono tanti e che vedo venire qui per comperare oggetti che possono essere utili nella loro famiglia, a un prezzo basso. Per me questo Campo rappresenta un grande valore. Qui in Italia sono tanti che arrivano da fuori e hanno bisogno di molte cose e qui possono trovare gli oggetti che qualcuno ha eliminato ma non gettato; questi oggetti servono poi ad altra gente. Per questo vorrei ringraziare i frati e tutti i volontari che hanno messo in piedi tutto questo.

A proposito dei volontari, come ti sei trovato con loro?
Molto bene! Tutti i volontari mettono molto impegno in questa attività a cui dedicano tempo ed energia. Tra loro si vede che c’è affiatamento, vorrei dire proprio amore per questo lavoro che affrontano con gioia. Mi colpisce molto il fatto che la maggior parte di loro non conosce la realtà per cui sta lavorando e raccogliendo aiuti, ma, malgrado ciò, non si tirano indietro anche di fronte alla fatica. È una sensazione che vedo confermata in ogni momento della giornata, nel lavoro, nella preghiera e in ogni momento condiviso di vita quotidiana.
Un altro aspetto che mi colpisce di tutti questi volontari è la capacità di vivere fraternamente, senza divisioni anche se tra loro ci sono musulmani, evangelici, protestanti, ortodossi, cattolici, e anche degli atei: quando si lavora insieme con gioia e con rispetto vicendevole per un progetto comune si possono fare cose grandi. E di una comunità così non si può che essere felici di far parte.

Quindi un’esperienza positiva… da rifare, anche se in vacanza ci si vorrebbe magari riposare un po’.
È certamente un’esperienza molto positiva e anche la vacanza non è detto che debba essere per forza distrazione: può essere rilassante anche la fatica se fatta per gli altri, per chi ha bisogno.
Anche negli studi che faccio a Roma, vedo che nell’ultimo secolo la missione è stata interpretata molto come l’atteggiamento profondo, dal cuore, di uscire da se stessi per andare verso gli altri con amore, testimoniando così la vita di Cristo. Ecco, quell’atteggiamento lo ritrovo in questo luogo ed è come se fosse una lezione pratica degli studi che faccio. Tutto questo è un grande esempio e un aiuto non solo per me ma anche per la terra da cui provengo.

Per tanti decenni e fino ad ora la missione è stata vista come un aiuto dei Paesi occidentali verso i Paesi dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia, mentre da qualche tempo e sempre più spesso i sacerdoti di quelle terre vengono ad aiutare le nostre comunità affaticate e vecchie. Secondo te verso quali cambiamenti stiamo andando?
È una cosa su cui è importante riflettere bene e pregare tutti, sia in occidente che nei Paesi che ricordavi. Qui c’è una forte mancanza di vocazioni, mentre da noi sono ancora molte, anche se venire qui non è facile per noi a causa della lingua. La stessa Chiesa sta affrontando questa situazione con grande riflessione, consapevole che la missione è annuncio e anche l’occidente ha bisogno di rivitalizzare l’annuncio ricevuto da tanto tempo. Penso che le nostre comunità, ancora capaci di tante vocazioni, non possano sottrarsi dal portare aiuto dove c’è bisogno, sia in occidente che nei Paesi più vicini. Questa collaborazione c’è già tra molti Paesi africani, tra Etiopia, Kenya, Tanzania, soprattutto grazie ai tanti religiosi che provengono da quelle nazioni e che si mescolano con più facilità. È anche questa una forma di missionarietà che si sta sviluppando - anche se le nostre Chiese hanno ancora bisogno - e per la quale è importante pregare e riflettere. E lavorare, come si lavora qui al Campo. Quello che abbiamo, per quanto possa sembrare poco, dobbiamo condividerlo, perché l’abbiamo ricevuto in dono e non possiamo tenerlo solo per noi. E se vogliamo che la nostra sia davvero una Chiesa universale, dobbiamo essere pronti a sostenerla ovunque c’è bisogno.