Io, me e il Magico Ale

Le sfaccettature ambigue di uno specchio, che svela la nostra vanità

di Alessandro Casadio
della Redazione di MC

Casadio Alessandro 01Diatribe inter nos

Apro gli occhi alla seconda sveglia, salvo urgenze da sbrigare. La parola “urgenza”, per me, ha un significato relativo dato che la possibile variazione temporale nell’atto di raggiungere la sedia a rotelle, con la quale mi muovo per casa, lavarmi e vestirmi si aggira sui 5-6 secondi, a fronte dei 50 minuti impiegati per l’intera l’operazione (provate voi a infilarvi dei calzettoni elastici con una mano sola). Inesorabilità della lentezza. In genere sono di buon umore, perché la vita è bella, sopravvivere per tutto il giorno: un onore.

Quando entro nel bagno, sempre seduto sulla seggiola di prima, ho nel cuore il miraggio del caffè, che di lì a poco potrò gustare, ma prima, implacabile come le tasse, devi superare la prova dello specchio.
La mezza testa che intravedo palesa alla mia mente in elaborazione il concetto che quella è solo una parte di me. Dell’io reale, che svolge le sue funzioni primarie e secondarie per vivere con dignità, ma non sempre, per non dire quasi mai, corrisponde all’idea di me, che normalmente mi accompagna. Nelle mie elucubrazioni, infatti, il me che immagino ha solo qualità positive, non nutre risentimento per qualche torto subito, è brillante e generoso e ha sempre commenti di supporto per chiunque incontri, sfruttando al massimo la propria genialità: un autentico signore. L’io reale, al contrario, reca con sé il peso di numerose sconfitte, se vogliamo in buona parte assorbite, ma che hanno comunque lasciato qualche segno visibile e lo specchio ne è testimone. I raggi di luce, che esso ci rimanda, hanno anche la proprietà di scandagliare il nostro stato d’animo e di tradursi talvolta in angoli della bocca un po’ più abbassati, in palpebre più gonfie, in un’impercettibile contrazione del muscolo orbitale che, senza specchio, non avremmo rilevato, ma che fa evidentemente la differenza. A volte, l’immagine che vedo nello specchio può perfino spaventarmi per la comparsa di un’ulteriore ruga o, anche solo, per la presenza del vuoto della metà superiore dello stesso, che mi ricorda il perentorio obbligo di viaggiare seduto. La discrepanza tra quel me e l’io forma il blocco monolitico della mia vanità: quella parte che è destinata a sfumare e perdersi con l’acquisizione di una lettura più razionale di me stesso, in concomitanza con una migliore consapevolezza della realtà e di tutti i limiti che mi sono congeniti. Questo passaggio, quasi una demolizione, sarebbe particolarmente ostico da digerire, avendo in oggetto solo ciò che esteriormente può essere riflesso e ignorandone tutta la parte che emozionalmente ed esistenzialmente ci contraddistingue e ci muove: il cuore, il respiro, la mente. Ma lo specchio può fare di più e di meglio.

Il grande intruso

Casadio Alessandro 02In questo confronto aspro e arruffato, interviene una terza identità che, mentre cerco con scarso successo di imporre una qualche disciplina ai radi capelli e detergere la pelle senza costosissimi additivi cosmetici, si intrufola, non richiesta, nella diatriba in corso. La sua arroganza è tale da non tenere in gran conto le motivazioni dell’io e del me, ma di manipolarne entrambe le prospettive per forgiare nuove sinergie. È una specie di Magico Ale che, con le sue sconclusionate alchimie, unisce la mia presunzione e la mia concretezza, la mia tenacia con la pigrizia, i desideri con le disillusioni, i sogni con la realtà, individuando un percorso credibile per il giorno che fa capolino nella storia dell’umanità; traducendola, attraverso lo specchio, nella mia vicenda personale. Qualcosa di lievemente nuovo da essere e da fare, che brucia senza scrupoli almeno una piccola parte di noi, esteriore o interiore. Qualcosa che può, ancora una volta, rientrare nell’abnorme categoria del vanesio, destinato a tracimare a breve o lungo termine, ma che rappresenti, seppur goffo, uno stoico tentativo di cambiamento e di miglioramento.

Domani è un altro giorno

Nel breve tempo che resto davanti allo specchio, lo stesso tempo in cui esso mi ritrasmette con incrollabile pazienza questo concetto del divenire, assaporo una sensazione nuova, una curiosità di sapere e di sperimentare qualcos’altro, che il Magico Ale trasforma in mille inediti progetti, per lo più di soluzione alquanto complicata, da cui potrebbe uscire, dopo un severo discernimento, la piccola e banale attività da portare avanti in quel giorno: si tratti pure di un libro da leggere, un articolo da finire o un fumetto da disegnare. Questa piccola innovazione progettuale non è disgiunta dalla mia esperienza precedente, ma si inserisce nel suo contesto, apportandone una minima variazione. Vale a dire che fa riferimento preciso ad una realtà intrisa di vanità, che magari hanno già rivelato la loro natura passeggera, limitata nel tempo. Cose che ora sono state superate dalla mia evoluzione di persona, ma hanno comunque svolto un ruolo preciso, anche se estinto, nella mia formazione. Molti dei miei progetti remoti avevano come bersaglio il poter suonare la chitarra, ora vanificati dai miei limiti musicali e da una forma di artrosi, che me lo impedisce. Ciò nonostante hanno rappresentato un periodo significativo della mia vita; così il rinunciare alla patente di guida ha modificato profondamente il mio raggio d’azione, stimolandomi alla ricerca di adattamento di stile di vita per mantenerne elevata la qualità. Nell’inesistente spazio tra vetro e nitrato d’argento ci sta la sintesi di queste trasformazioni.

Potremmo quasi definire la vanità come un tipo di carburante che permette alla mia vettura di procedere, ma che è ineluttabilmente destinato a estinguersi. Forse anche un aspetto positivo del mio essere, se fossi veramente consapevole che non si tratta dell’assoluto; che sia uno strumento e non l’obiettivo. Il Magico Ale, saltuariamente, riesce a spiegarmi tutto questo, collocando nel giusto ruolo anche l’io e il me e mettendo pace tra loro. Il gioco dello specchio, nelle sue sofisticate riflessioni e rifrazioni, ricompone un’immagine appropriata, ben degna della morbida carezza che l’asciugamano le concede.

E mentre mi precipito, si fa per dire, in direzione della cucina, rifletto già sulla imprevedibile trasformazione, che mi riserverà lo specchio di domani. La mistica di una cialda di caffè mi avvolge in un aroma celestiale.