EditorialeIl coraggio di dirsi fratelli 

di Dino Dozzi
Direttore di MC

È la sera dell’8 giugno, domenica di Pentecoste. Uno spicchio triangolare dei giardini vaticani, che richiama le tre grandi religioni monoteistiche abramitiche. Il sole si avvia al tramonto illuminando sullo sfondo la cupola di San Pietro. Niente immagini, solo il verde di madre terra e l’azzurro del cielo. I presidenti Shimon Peres e Abu Mazen hanno accolto l’invito di papa Francesco che ha messo a disposizione la sua casa per un incontro di preghiera per la pace. Significativa anche la presenza del patriarca Bartolomeo.
Ci vorrebbe un miracolo, è stato detto, per rimettere in carreggiata la carovana della pace in Terrasanta dove c’è guerra ormai da sessant’anni. Invochiamolo allora questo miracolo. Lo Spirito che a Pentecoste fece quel primo miracolo di comunicazione potrebbe aiutare ancor oggi a riaprire il dialogo come via alla pace. Guardare in alto e pregare può essere utile. C’è chi l’ha chiamata la diplomazia della preghiera. I gesti parlano più delle parole. Stringersi le mani, abbracciarsi, ascoltarsi mentre si chiede perdono, piantare insieme un ulivo sono gesti significativi. Ma anche le parole aiutano.
La cerimonia, breve ma intensa, prevede momenti distinti di preghiera delle fedi ebraica, cristiana e musulmana, in opportuno ordine cronologico. Ogni tempo di preghiera è diviso in tre parti: un’espressione di lode a Dio per il dono della creazione e per aver creato uomini e donne membri di una sola famiglia umana; una richiesta di perdono per i peccati contro Dio e contro il prossimo; un’invocazione a Dio affinché conceda il dono della pace in Terrasanta e renda tutti capaci di essere costruttori di pace. Ogni momento è scandito da un breve intermezzo musicale.
«Creatore di tutte le cose - è la preghiera cantata dal rabbino David Rosen - sia tua volontà porre fine alla guerra e allo spargimento di sangue nel mondo… Fa’ che non ci siano divisioni fra i popoli, neppure nel loro cuore. Fa’ che nessuno di noi mai disonori alcuno sulla terra, grande o piccolo, e che davvero possiamo meritare di rispettare il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”».
L’invocazione della comunità cristiana prende a prestito la “preghiera semplice” di san Francesco e viene pronunciata in arabo: «O Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa’ ch’io porti l’amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono… Benedici la Terrasanta, affinché da quella terra benedetta la pace possa giungere fino ai confini del mondo».
Infine la preghiera musulmana: «Donaci, o Dio, sicurezza, pace, tranquillità e fede, per noi e per la nostra gente, per le nostre famiglie, per tutte le nazioni e per tutte le creature della tua grande creazione. O Dio, porta la pace nella terra della pace, rimuovi l’ingiustizia dagli oppressi in questa terra, nutri il tuo popolo che ha fame, e proteggilo dalla paura, tienilo lontano dal male e da coloro che commettono il male, dagli aggressori iniqui».
Papa Francesco ringrazia di cuore per la presenza dei due presidenti: «Spero che questo incontro sia l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide… Il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino».
«Per fare la pace - aggiunge - ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo… La storia ci insegna che le nostre sole forze non bastano. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio… La spirale dell’odio e della violenza va spezzata con una sola parola: “fratello”; ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al cielo, e riconoscerci figli di un unico Padre».
§A questo serve la preghiera. È stata la prima volta che in Vaticano è echeggiato il canto della preghiera di un rabbino e di un imam. Lo “spirito di Assisi” ha raggiunto Roma e lo Spirito Santo ha rinnovato il miracolo della comprensione delle diverse lingue, unificandole in bella armonia. Anche se la recente ripresa delle ostilità in Palestina consiglia di non smettere di pregare.