Luglio di quest’anno non è stato un bel mese. Non solo perché è piovuto quasi tutti i giorni, ma anche perché, uno dopo l’altro, sono morti ben quattro nostri confratelli, che qui vengono doverosamente ricordati. Per non abbandonarci alla tristezza, concludiamo con un fioretto cappuccino legato al famoso padre Francesco Antonio Samoggia.

Nazzareno Zanni 

Ricordando frate Severino Davoli

Primo frate ultracentenario dell’Emilia-Romagna, è stato per una vita a Fidenza generoso tuttofare

Rubrica in Convento Severino Davoli Coviolo di Reggio Emilia, 11 novembre 1913
† Reggio Emilia, 2 luglio 2014

 Benché dichiarato inabile al servizio militare per debole costituzione,

trascorse tutta la sua vita nel lavoro senza mai dar segni di cedimento e oltrepassando addirittura il secolo di vita. Dall’entrata in noviziato nel 1932 fino ad oltre il Duemila rimase a Fidenza con le mansioni di portinaio, cuoco, questuante e altri servizi interni. Un tuttofare come si addiceva allora a un fratello, che doveva sapersela sbrigare in ogni evenienza e far fronte a qualsiasi necessità. Cuoco, ortolano, giardiniere, portinaio. Nei conventi fino ai primi anni del dopoguerra si produceva tutto quello che necessitava alla mensa dei frati, in particolare pane e vino. Quante volte frate Severino ha impastato e infornato il pane settimanale, pronto, fragrante e profumato, ogni venerdì mattina. Ma anche il pane per i poveri. Per questi ultimi preparava pane integrale, una ricercatezza oggi, ma allora una necessità, per non sciupare nulla di quanto la madre terra offriva. Infine pure la cantina era territorio di sua competenza: vino povero ma sincero, fatto di uve di ogni qualità, bianche e nere senza distinzione, come le portava a casa il frate questuante di campagna. Per la sua duttilità e laboriosità, e per il suo spirito di preghiera, il padre maestro gli affidava i novizi chierici e laici perché li introducesse negli abituali lavori della casa.

Poco prima dello scoppio della guerra, in tempi di grande ristrettezza, fra Severino si diede soprattutto alla questua per le vie della città, intuendo che non avrebbero tardato a venire anni di magra per i frati e per i poveri. A Fidenza vi era già un frate questuante che con un mulo girava per le campagne in cerca della provvidenza, ma questi, ormai anziano, lasciò ben presto tutto il peso della questua sulle spalle di fra Severino, che cominciò a percorrere anche le campagne, raccogliendo qualsiasi cosa che gli venisse offerta: grano, uva, uova, legna, fieno e pure animali vivi da macellare in convento. Quando per l’avanzare dell’età si vide costretto a limitare il suo raggio di azione quasi solo al contesto urbano, visitava le famiglie della città portando in ogni casa il calendario cappuccino Frate Tempo. Era accolto con grande simpatia, tanto da divenire un elemento caratteristico del paesaggio fidentino.
In occasione del settantesimo anno di età (1983) e cinquantesimo della sua professione religiosa, a ricordo dell’aiuto prestato alla popolazione dopo il bombardamento della città, durante il quale si era visto fra Severino con altri frati scavare tra le macerie per soccorrere i feriti e sgombrare le strade, e anche per l’opera continua di assistenza ai poveri alla porta del convento, il comune di Fidenza conferì ai Cappuccini, nella persona dell’umile fratello laico, la medaglia d’oro. Un riconoscimento che non impedì al nostro frate di continuare a lavorare con la determinazione e l’umiltà abituali.
Intanto il tempo passava e fra Severino aveva già oltrepassato gli ottant’anni e, come è comprensibile, il suo padre guardiano cominciò a preoccuparsi del funerale di un frate così anziano. Sapendo che questi era molto conosciuto in città, aveva pensato a una celebrazione in cattedrale piuttosto che nella chiesa conventuale, insufficiente a contenere il notevole afflusso di gente che vi sarebbe stato. Fra Severino, però, nonostante gli acciacchi e gli anni che scorrevano via come i grani di un rosario, non dava segni di cedimento, e assistette addirittura al funerale di quel suo superiore troppo premuroso.
Ma gli anni pesavano sempre più, e fra Severino, a partire dal Duemila, cominciò a frequentare l’infermeria provinciale di Reggio Emilia, dapprima come ospite estivo e invernale, perché a Fidenza l’estate era torrida e l’inverno rigido. Solo dopo il primo decennio di questo millennio, vi si stabilì come membro definitivo della Fraternità.
Dopo aver festeggiato i cent’anni come primo frate centenario della secolare storia dei cappuccini in Emilia-Romagna, la sua salute diede chiari segni di abbandonarlo. Così è spirato serenamente il 2 luglio 2014. Dopo tanto lavoro, riposa ora nel cimitero di Villa Cella (RE).