Di viaggi, scarpe e altre consolazioni

Consolazione è sapere riconoscere il vero al di là delle apparenze

di Stefano Folli
francescano secolare, giornalista

Folli 01Ciò che ti ricollega alla vita

Certo, cominciare a scrivere questo articolo sgranocchiando un pacchetto di noccioline dopo avere guardato gli ultimi aggiornamenti di Facebook (ma solo per un minuto, ve lo assicuro, un minuto), mi conduce quasi inconsapevolmente al punto chiave. Ricerchiamo sempre delle cosiddette “consolazioni”. Piccole o grandi consolazioni che nei momenti difficili, stressanti, impegnativi ci aiutano a superare (o a credere di superare) un blocco che altrimenti ci sembra insormontabile.

Spesso fanno semplicemente parte della nostra quotidiana ricerca di evasione dalle fatiche di un’esistenza che giorno dopo giorno si dispiega senza troppe differenze. Un cioccolatino, un caffè, una sigaretta, un paio di scarpe nuove, una passeggiata nei boschi, una canzone, o - per chi può permetterselo - un biglietto aereo low cost per un weekend a Londra… Sono innumerevoli le forme che troviamo per cercare di consolarci. E sono innumerevoli gli stimoli sociali che riceviamo, volti a convincerci che il modo migliore per consolarci è proprio quello.
A consolarci, però, quando il momento si fa veramente duro, difficilmente ce la fanno delle cose (oggetti, cibo, sostanze) e difficilmente ce la facciamo da soli.
«Questo è dunque il dovere dei consolatori, togliere dalle radici la tristezza, o calmarla, o diminuirla il più possibile, o fermarla impedendole di espandersi ulteriormente, o deviarla su altri obiettivi». Quando Cicerone si trova a riflettere su cosa sia la consolazione e quale strada sia la migliore per consolare gli altri (o se stessi), riflette in primo luogo su se stesso e sulla perdita dell’amata figlia Tullia, della quale dice «Ho perso l’unica cosa che mi legava alla vita». Cerca in tutti i filosofi greci insegnamenti e consigli, ma l’unica cosa che riesce a concludere è che «come nelle cause non adottiamo sempre la stessa posizione, ma la adattiamo alla circostanza, alla persona, altrettanto nella consolazione bisogna considerare quale tipo di rimedio ogni persona può ricevere».

Risposte diversificate e congiunte

Rispetto alle “fabbriche di consolazione” che il marketing ci propone, quello che emerge dal sapiente del mondo romano antico, anche nella sua conclusione aperta, è l’importanza di una relazione: parla infatti di “consolatori”, analizza il comportamento e le parole di qualcuno che cerca di consolare, invita a non dare risposte univoche a situazioni e persone diverse. L’Altro irrompe con forza in un contesto (quello della sofferenza, del dolore o anche solo del fastidio e della difficoltà) che oggi, ancora una volta, una società individualista cerca invece di lasciare alla mercé del singolo.
Perché “consolazione” è il nome del personaggio che irrompe a turbare l’equilibrio nel piccolo paese di montagna in cui è ambientata la commedia musicale «Aggiungi un posto a tavola»? Questa donna, che ricorda la Bocca di Rosa di De Andrè, sembra rappresentare un diversivo troppo appetibile per gli uomini del villaggio (e troppo irritante per le loro mogli) e quasi evangelicamente dovrà diventare il cardine di quei valori di accoglienza e perdono contenuti nel titolo della commedia di Garinei e Giovannini. La vera consolazione, quindi, sembra dirci, non è nell’appagare piaceri immediati, ma nel riconoscere il vero al di là delle apparenze, andando incontro alla persona nella sua totalità.
Un recente studio di un team di psicologi americani, Waiting for Merlot, sostiene che gli acquisti esperienziali (i soldi spesi per fare) tendono a fornire una felicità più duratura rispetto agli acquisti materiali (soldi spesi per avere). Come dire, meglio consolarsi andando a un concerto che acquistando compulsivamente l’ultimo modello di smartphone. Ma, soprattutto, lo studio ritiene che la felicità arrivi principalmente dall’attesa delle esperienze (molto più che dall’attesa del possesso di oggetti materiali), tanto più se questa attesa è Folli 02 (Agnese Casadio)prolungata. È quel proiettarsi in avanti, quella progettualità che ci rende vivi, che riempie di senso un tempo che rischia altrimenti di essere oppressivo.

Quivi è perfetta consolazione

Le esperienze, spesso, ci mettono in relazione, ci fanno incontrare gli altri, non ci fanno mettere in competizione. Ci aprono anche a una maggiore generosità e disponibilità a svolgere attività sociali, dicono gli autori dello studio. E se questo vale per l’attesa di un “acquisto esperienziale”, tanto più possiamo capire la pienezza che può dare la libera offerta del proprio tempo e della propria persona in un servizio gratuito e volontario.
Mi piace pensare che Francesco d’Assisi avrebbe potuto raccontare a frate Leone, accanto a quello sulla “vera letizia”, anche un apologo sulla “vera consolazione”. Nel quale avrebbe trovato posto l’insegnamento che occorre spogliarsi dalla pretesa di trovare in sé qualsiasi soluzione e liberarsi dell’idea che nelle cose fuori da sé si possa trovare la pace. Nel quale la fraternità, o meglio i fratelli e le sorelle, quelli concreti, starebbero nel cuore del racconto, perché solo dallo stare con loro può venire la vera consolazione del cuore e dello spirito.
Una telefonata, un caffè insieme al bar, una lettera, un messaggio, una battuta, un bacio, un ballo, un abbraccio, un sorriso, una mano che ti tocca. Anche quel paio di scarpe tanto desiderato, forse, ma solo se regalato da un altro, perché ti fa pensare “qualcuno ha pensato a me, per qualcuno sono importante, qualcuno voleva rendermi felice”. Insomma, tutto ciò che ci fa capire che non siamo soli: questa è vera consolazione.