Le volte che ti ho preso in braccio
Consolati per consolare: la preghiera di consolazione
di Elena Ramassotto
medico, laica “Ordo Virginum”
Guardare a lui
«Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2Cor 1,3-4).
Parlare di consolazione nel nostro tempo può apparire inusitato o addirittura fuori luogo; eppure sempre più oggi il cuore dell’uomo, afflitto per la solitudine, per ogni tipo di sofferenza e per l’impatto a volte drammatico con la morte, ha profondamente bisogno di essere consolato.
Non intendo parlare di una consolazione a livello psicologico o a basso prezzo. Non si tratta di imparare a dire delle paroline buone, vaghe o di dare la classica pacca sulla spalla. È necessario andare oltre e cercare nell’ambito della fede e della parola di Dio cosa significhi vivere questa realtà nelle situazioni concrete della vita.
“Consolare” in senso biblico significa “rianimare”, “permettere di dare un profondo sospiro di sollievo”, “riattivare lo spirito dell’uomo”. Chi consola è proprio chiamato a fare questo: sollevare, dare fiato a chi sta camminando e ha il cuore in gola e non riesce più ad andare avanti. Questo fa il Secondo Isaia nel Libro della Consolazione per ordine di Dio: si sente che il profeta ha piena coscienza di quello che sta facendo, crede nella Parola che è viva ed efficace e può consolare perché ha una fede e una speranza forti.
San Paolo parla della consolazione come dell’attività tipica dell’apostolo verso i fratelli, verso la comunità. Le prove, lo scoraggiamento possono ostacolare il cammino e c’è bisogno di esortare i deboli, consolidare e far crescere tutto ciò che è stato prima annunciato.
Nel secondo tempo della Chiesa, quello caratterizzato da divisioni interne e persecuzioni, i responsabili delle comunità sono chiamati a consolare, dare fiato, rianimare. Già gli apostoli impauriti e nascosti avevano ricevuto forza e coraggio dal dono dello Spirito, il Paraclito, Colui che conforta, incoraggia, esorta, il Consolatore, che li spinse ad uscire allo scoperto.
Nel tempo della prova, che può essere un grave lutto, un fallimento destabilizzante, una malattia importante e protratta, una rottura di legami affettivi particolari, la realtà del peccato, in cui tutto sembra essere perduto e viene meno il senso della vita, c’è bisogno di riporre la fiducia in Qualcuno che possa veramente salvare, che sia fedele alla parola data. Dio solo salva, Dio solo è fedele. Nelle varie prove che hanno attraversato la mia esistenza ho avuto la grazia di rivolgermi a Dio, di guardare a lui.
Ho conosciuto il buio
Ma questo non è sempre stato facile: ho conosciuto il buio, l’angoscia, il nascondimento del Signore. Ho fatto l’esperienza di non saper più pregare e sono rimasta muta davanti a Dio, in attesa del suo intervento, solo con la forza che mi veniva da lui. Non parlo di un’ora, un giorno, una settimana o un mese. A volte mi pareva di avere l’acqua alla gola, come si legge nei salmi di lamentazione e di supplica.
Tuttavia posso assicurare che il Signore non mi ha abbandonata; come avevo già potuto vedere nella mia vita in altre occasioni, Dio è intervenuto e non mi ha lasciata sola. Certo non ha risolto il mio problema, non ha cambiato la mia situazione, ma mi ha dato forza e pace profonda. Dio a volte si nasconde, ma non può essere “assente”.
Dopo quell’esperienza, posso recitare anch’io con il salmista: «Il Signore fa sicuri i passi dell’uomo / e segue con amore il suo cammino. / Se cade, non rimane a terra, / perché il Signore lo tiene per mano. / Sono stato fanciullo e ora sono vecchio, / non ho mai visto il giusto abbandonato / né i suoi figli mendicare il pane. / Egli ha sempre compassione e dà in prestito, / per questo la sua stirpe è benedetta» (Sal 37,23-26).
Ciò che consola è sapere che Dio c’è ed è vicino a noi anche nel nostro buio, che ha fatto cose grandi e può farne di nuove. Dio è sempre sorpresa, è novità! Ai discepoli scoraggiati e tristi sulla strada di Emmaus, Gesù propone una rilettura delle Scritture per mostrare ciò che in esse si riferisce a lui. Dopo questo cammino in compagnia del Pellegrino sconosciuto, i loro occhi si aprono e lo riconoscono. Ma già lungo la strada il loro cuore ardeva per la presenza e le parole del Risorto.
Orme di una presenza fattiva
Dio non ha abbandonato il proprio Figlio nel sepolcro, lo ha risuscitato, ha risposto con la sua approvazione a quello che gli stolti consideravano un fallimento. La morte di Gesù in croce per amore di tutti noi, nell’obbedienza alla volontà del Padre, non è l’ultima parola, anzi Gesù è «la Parola definitiva di Dio» (come giustamente afferma il teologo Hansjurgen Verweyen), Cristo è il Signore della storia. Non dobbiamo più attendere altro.
Per quanto dolorosa possa essere la nostra situazione, il Cristo Risorto ci autorizza a sperare che ci sarà del “nuovo”, che Dio interverrà per consolarci, per trasfigurare la miseria del presente in occasione di Pasqua, di passaggio del Signore. E quando Dio interviene, salva.
Questa fede ci può venire in aiuto quando incontriamo qualcuno bisognoso di consolazione. Ma facciamo attenzione a non cadere nel facile “moralismo”: noi siamo semplici strumenti perché la consolazione di Dio arrivi a chi ne ha bisogno. Il più delle volte non serve dire parole, anzi può essere nocivo; servono i gesti della vicinanza, dell’accompagnamento silenzioso ed orante, della presenza.
Vorrei concludere con una poesia intitolata Orme nella sabbia della canadese Margaret Fishback Powers, che è quasi un midràsh: «Una notte ho fatto un sogno. / Camminavo lungo la spiaggia insieme a Dio. / Nel cielo scuro scorrevano scene della mia vita, / e per ciascuna vidi / due paia d’orme, sulla sabbia: / le mie e quelle del Signore. / Ma quando anche l’ultima scena svanì, / guardando indietro le orme sulla sabbia, / ne scorsi un paio solo. / Quello, mi resi conto, era il periodo / più triste e sconsolato della mia vita. / A lungo ne restai turbata, / e in fine esposi al Signore / quel mio dilemma. / “Signore, quando decisi di seguirti, tu mi dicesti / che mi saresti sempre stato accanto, / che mai avresti smesso di parlarmi. / Ma ora, nel periodo più difficile della mia vita, / vedo un solo paio d’orme sulla sabbia. / Perché, proprio quando avevo più bisogno di te, / mi hai lasciata sola?”. / “Figlia mia adorata”, sussurrò il Signore, / “io ti amo, e mai, mai ti lascerò sola / nel tempo della sofferenza e della prova. / Là dove hai visto un solo paio d’orme, / è perché allora ti portavo in braccio”».