Ogni lacrima dei loro occhi
Attraverso il pianto manifestiamo la nostra condizione di piccoli della terra
di Francesco Scimè
delle Famiglie della Visitazione, parroco di Sammartini a Crevalcore
«E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi»: queste parole del capitolo 21 del libro dell’Apocalisse di Giovanni sono pronunciate da «una voce potente che veniva dal trono» (v. 3) - si tratta evidentemente di Dio stesso - e fanno parte della visione di «un cielo nuovo e una terra nuova» (v. 1) e della «città santa, la Gerusalemme nuova», che scende dal cielo «come una sposa adorna per il suo sposo» (v. 2).
In realtà sono parole che Giovanni cita da Isaia, che le pronuncia nella profezia del banchetto messianico al capitolo 25: in questo banchetto, «di grasse vivande e di vini raffinati, Dio eliminerà la morte per sempre, asciugherà le lacrime su ogni volto» (vv. 6-10). Chi sono coloro ai quali saranno asciugate le lacrime? Lo dice l’Apocalisse stessa: «l’agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,17), riferendosi a una «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (7,9). Essi «sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (7,14).
Il presente della Chiesa
La prima domanda che nasce spontanea su questi testi è se essi siano da riferire al futuro del Regno escatologico o se riguardino il presente della Chiesa. Io sarei per questa ultima ipotesi, come anche Giancarlo Biguzzi afferma in MC 4 2014 (giugno-luglio): «Tutta l’Apocalisse di Giovanni dice, in modo netto, che la storia è il luogo della divina redenzione […] La storia è tribolata, ma pasquale - dicono le immagini dell’Apocalisse -, e nulla in cielo, in terra e nel regno dei morti, se non la pasqua, è in grado di dare alla storia, già ora, un senso e una luce» (pagg. 4-5). Questo è confermato dai versetti che seguono: «le cose di prima sono passate […] / Ecco io faccio nuove tutte le cose […] / Scrivi, perché queste parole sono certe e vere […] / Ecco, sono compiute» (Ap 21,4-6): improvvisamente i verbi passano dal futuro al passato e al presente, perché già è tutto compiuto nel mistero pasquale di Cristo.
Una seconda domanda riguarda il significato delle lacrime nella Scrittura: Gesù dice alla vedova di Nain «Non piangere» (Lc 7,12) e alla gente che sta piangendo la figlia di Giairo, capo della sinagoga, «Non piangete». Gesù stesso piange l’amico Lazzaro morto (Gv 11,35) e questo è motivo, per i Giudei presenti, di osservare «Guarda come lo amava!». Infine, alla Maddalena al sepolcro, Gesù risorto dice «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15). Tutti questi passi ci dicono che le lacrime sono legate al lutto, alla morte della persona amata, alla sua separazione da noi. Ancora l’Apocalisse allora ci dice che solo la vittoria del Risorto sulla morte può asciugare le lacrime dell’uomo: «Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide» (Ap 5,5). Potremmo allora affermare del pianto quello che Gesù dice del
digiuno: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare» (Mc 2,19).
Fin da ora la consolazione
Un’ultima osservazione ancora sul valore delle lacrime: più facilmente piangono i bambini, mentre noi adulti evitiamo di piangere, perché riteniamo che questo sia un segno di debolezza. In realtà, quando piangiamo, mostriamo di essere di fronte ad un avvenimento che è più grande e più forte di noi, che in qualche modo ci rende piccoli come i bambini. Questo, lungi dall’essere un fatto negativo, è una grazia, che ci fa simili a loro; «A chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio» (Mc 10,14). Nella stessa linea è possibile leggere anche la seconda delle beatitudini: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4). Il pianto è il segno distintivo dei piccoli, di quelli che amano e che sono amati da Dio: «Rallegratevi con Gerusalemme, / esultate per essa tutti voi che l’amate. / Sfavillate con essa di gioia / tutti voi che per essa eravate in lutto […] / Voi sarete allattati e portati in braccio / e sulle ginocchia sarete accarezzati. / Come una madre consola un figlio, / così io vi consolerò; / a Gerusalemme sarete consolati” (Is 66,10).
Conclusivamente, questo testo dell’Apocalisse di Giovanni ci dice che la povertà e piccolezza della condizione umana, segnata dalla morte, è vinta dal Signore risorto. La morte fa piangere perché è separazione dalla persona amata. Le lacrime sono caratteristica distintiva dei piccoli, prediletti da Dio e proclamati beati dal suo Figlio. Il Risorto è venuto non ad evitare le lacrime, ma ad asciugarle, con la sua parola e presenza, fin d’ora, nell’esperienza consolante della vita di comunione, nella Chiesa.