Editoriale (Leonora Giovanazzi)L’ultima crociata

di Dino Dozzi
Direttore di MC

Cinquant’anni fa, alla vigilia del primo viaggio di un papa in Terrasanta, Dino Buzzati così scriveva: «L’ottava crociata sta per partire… è fatta da un uomo solo, l’erede di Pietro, il vescovo di Roma, un uomo non vecchio ma già avanti negli anni, dalla faccia intensa e scavata, che senza navi, né eserciti, né principi, né ammiragli va da solo a liberare il Sepolcro di Cristo… E il mondo intero lo guarda. Attraverso la televisione, la radio e i giornali, gli uomini di ogni continente, cristiani e non cristiani, lo seguono, e sospendono il fiato abbacinati dalla grandezza della battaglia. Contro chi va a misurarsi l’uomo vestito di bianco che non porta la croce sulla spalla destra come Goffredo di Buglione bensì la porta sul petto?… Va incontro a un nemico più duro e terribile del feroce Saladino… Chi è dunque il nemico?… Il nemico, oggi, siamo noi che ci siamo stancati di credere. Il progresso, la tecnica, la scienza, il furore della vita, l’indifferenza, l’apatia, il vuoto, la morte lenta degli animi hanno innalzato intorno al Sepolcro di Cristo una gelida muraglia e l’uomo partito da Roma vi si avventerà contro per squarciarla. Mai da che è cominciato il mondo, si è vista una simile sfida… Chi vincerà?».
Le parole di cinquant’anni fa valgono ancor oggi. Perché la grande sfida continua. L’eterna sfida tra la rassegnazione e la speranza, tra l’indifferenza e la fede, tra la guerra e la pace, tra la divisione e la comunione. All’abbraccio tra papa Paolo VI e il patriarca Atenagora del 5 gennaio 1964 corrisponde l’abbraccio tra papa Francesco e il patriarca Bartolomeo del 25 maggio 2014; il loro tenersi per mano e la recita insieme del Padre nostro al Santo Sepolcro sono passi importanti verso l’unità dei cristiani, ma anche verso la pace tra i popoli. La scelta di papa Francesco di farsi accompagnare ufficialmente nel suo viaggio da un rabbino e da un imam vuol mostrare la collaborazione delle religioni nel loro servizio alla pace. Il suo rifiuto di particolari misure di sicurezza, il suo spostarsi in un’auto aperta per poter abbracciare le persone, in particolare i bambini, si collega all’andare indifeso di san Francesco a parlare con il Sultano. Il suo improvviso far arrestare l’auto a Betlemme, per scendere, accostarsi al muro di divisione tra Israele e Palestina, appoggiarvi la mano e poi la fronte e restare lì immobile e silenzioso in preghiera ha urlato al mondo la vergogna di quel muro.
L’originale offerta della sua casa in Vaticano al presidente israeliano Shimon Perez e al presidente palestinese Abu Mazen per un incontro di preghiera per la pace ha detto al mondo che Dio, la fede e le religioni sono al servizio della pace, utilizzando la grammatica della semplicità e la politica della preghiera. «Amici musulmani, fratelli cari», non sono parole retoriche, ma parole di «un uomo saggio e buono», come lo ha chiamato Shimon Perez. La sua preghiera depositata al muro del pianto è quella dei cristiani e dei musulmani, dei credenti e degli atei: «O Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Dio di Gesù nazareno, dal cuore di questa santa Città, patria spirituale di ebrei, cristiani e musulmani, faccio mia l’invocazione dei pellegrini che salivano esultanti al tuo tempio: “Chiedete pace per Gerusalemme: vivano sicuri quelli che ti amano; sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi. Per i miei fratelli e i miei amici Io dirò: ‘Su te sia pace!’. Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene”».
Il vivere insieme da uomini è ancora possibile, sperare nella pace è ancora possibile, credere nella giustizia, nel dialogo e nella ricerca del bene comune è ancora possibile. La grande sfida tra la guerra e la pace, tra la barbarie e la civiltà, tra la morte e la vita continua. Per vincerla non basta un condottiero vestito di bianco, servono molti “crociati”: persone di ogni fede, razza e cultura, pronte a prendere la propria croce sulle spalle, una croce fatta di giustizia e di solidarietà, di rispetto e di onestà, di misericordia e di perdono. Per vincere questa crociata e per liberare il sepolcro dove ci siamo rinchiusi, c’è bisogno di tutti e di ognuno. «Dove sei, uomo? Dove sei Adamo?». Il grido di papa Francesco allo Yad Vashem, ha la forza della parola di Dio che non si rassegna a perdere la sua creatura; ha la forza della voce di Gesù che richiama Lazzaro dalla tomba.
Per questa crociata è finalmente e del tutto legittimo dire che Dio lo vuole.