Rubrica Periferiche 02 The walking deadThe Walking Dead

una serie a fumetti di Robert Kirkman e Tony Moore
Editrice Saldapress

È il fumetto più venduto negli Stati Uniti nel 2013, superando di gran lunga il numero delle copie del notissimo Spiderman, il quale, peraltro, ha potuto avvalersi del traino dei gettonatissimi film. Non so se questo sia un segnale positivo o meno, perché il segnale che emette questo dato desta diverse preoccupazioni.

Il fumetto, in sé, è un’opera d’arte. Il disegno, in raffinatissima scala di grigi, è incisivo e molto ben fatto. Conferisce la massima espressività ai volti e agli atteggiamenti, mantenendo una rappresentazione realistica, pur sottolineando con lievi caricature i tratti dei diversi personaggi, graficamente ben personalizzati. Le storie danno spessore anche ai personaggi minori con approfondite introspezioni psicologiche, ben sceneggiate, senza far perdere ritmo alla narrazione. I continui colpi di scena e le sorprese incollano i lettori alle pagine della serie, ansiosi di vedere come va a finire.

Il problema, forse, è proprio questo: non va a finire. In una nazione (Stati Uniti) invasa da zombie, che si moltiplicano a dismisura mordendo la gente e trasformandoli in altrettanti zombie, la gente normale superstite si organizza e tenta di combatterli nella maniera più truce, anche se per legittima difesa. Anche gli aspetti positivi messi in luce, gli affetti che coagulano le piccole comunità che resistono, si tramutano, nella successione narrativa, in ulteriori disastri.

Non sono un puritano del racconto, né depreco l’utilizzo di magia o paranormale o splatter nel dispiego di una narrazione di fantasia. Il problema è  che la morale emergente da questo fumetto (e sono d’accordo con chi sostiene che la bellezza va apprezzata anche quando ha una visione del mondo differente dalla tua) rappresenta un sintomo di lettura della realtà infinitamente triste e priva di ogni anelito di speranza. Se, fuori dalla metafora, la percezione della società è tale, quello che desta reale preoccupazione non è la qualità o la legittimità artistica di un fumetto, ma la realtà che esso sottende.