Belli e impossibili. Belli, perché ciascun lavoro, nel suo genere, raggiunge un livello artistico di tutto rispetto, destando curiosità e interesse per le proprie capacità espressive. Impossibili, perché il messaggio, che trasmettono con la loro lettura della realtà estremamente lucida, risulta estremamente ostico, in quanto sintomo rivelatore di un vuoto esistenziale che ci sta invadendo. Sono il film di Jia Zhangke “Il tocco del peccato” e la serie a fumetti “The Walking Dead” di Robert Kirkman e Tony Moore.

Alessandro Casadio

Rubrica Periferiche 01 Il tocco del peccatoIl tocco del peccato

un film di Jia Zhangke (2013)
distribuito da Officine Ubu

Il gigante ha i piedi d’argilla.La Cina, potentato economico mondiale di prima grandezza, con mire di invasione del mercato internazionale, radiografata nei piccoli dettagli, quelli che sfuggono alle cronache, rivela un desolante vuoto di senso della vita. La tesi del regista ci appare estremamente credibile nella minuziosa e raffinata analisi del tessuto sociale delle periferie, presentata attraverso il racconto di quattro storie. Esse si intrecciano quel tanto che permette all’autore di scivolare da un contesto all’altro, muovendosi sullo sfondo di aride e fredde montagne per passare a formicai di abitazioni identiche e spersonalizzanti.

Un minatore che vuole reagire ad un’organizzazione sociale ingiusta e corrotta e trova, come unica possibile uscita da questa situazione, solo l’uso della violenza; un giovane annoiato che abbandona moglie e figlio, illuso di trovare, nel potere delle armi, un senso alla sua vita; una ragazza addetta alla reception di un albergo che, dopo aver visto complicarsi irrimediabilmente la sua vita sentimentale e affrontato un lutto, subisce un tentativo di violenza sessuale a cui reagisce uccidendo l’aggressore; un giovane, disilluso da una passione amorosa che cambia frequentemente lavoro, nella speranza di trovare un significato a ciò che sta vivendo. Sono le quattro tracce, che diversificandosi tra nel tessuto sociale, ci illustrano un labirinto senza uscita. Vite, dove la speranza con fatica può affiorare, ma destinata a soccombere, strangolata dal cinismo della realtà. Portata all’estremo e resa maggiormente terrificante dall’abilità di una macchina da presa, che colloca sempre i personaggi immersi nella società in cui vivono, la tesi del film inquieta, perché ci fa capire come questo vuoto raffiguri la meta del nostro attuale cammino di uomini.