Il contadino che venne da lontano

Un missionario laico bianco, che non sembrava un bianco

Gli anni Settanta sono lontani e i ricordi si mescolano alle infinite immagini con cui siamo bombardati ogni momento. Difficile, per chi l’ha conosciuto, dimenticare la lunga barba di Francesco Samorini, imolese classe 1939, pronto a partire per l’Africa, per portare le sue conoscenze di perito agrario verificate sul “campo” a chi poteva averne bisogno. Francesco, che ai primi di giugno è ripartito per il Viaggio dopo una lunga malattia, ci permette di ricordare i tanti laici che hanno condiviso con sacerdoti e religiosi l’esperienza missionaria. Lo ricordiamo con le parole degli amici che vissero con lui l’esperienza del volontariato.

 

Rubrica in Missione Samorini 01 (Archivio Missioni)Tata Mandefu il contadino

Cresciuto con i fratelli in una famiglia contadina, Francesco frequenta le scuole elementari e, dopo una pausa nei poderi di famiglia, consegue il Diploma di perito agrario, ma non per sedersi in un ufficio: frequenta le fattorie, in cerca di lavoro. Come in una parabola, intreccia il lavoro del contadino con i principi di onestà e di fratellanza, di giustizia ed essenzialità, i valori della sua vita. Dalla natura, che rinasce ad ogni primavera, impara la gioia del dono. Grazie ai corsi di formazione alla cooperazione internazionale conosce il CEFA, altri volontari e Angelo Cavagna, un prete col “pallino” della cooperazione internazionale, della non violenza. È bastato dirgli che la gente di Basoko aveva bisogno di lui per migliorare la propria vita e nella primavera del 1972 parte per il Congo, per restarvi oltre due anni.
Il primo impatto non gli piace: il doganiere gli ruba l’anello destinato al vescovo di Kisangani. «Non dovevo incontrare gente che mi aspettava? Gente che ha bisogno di me?» si chiede. Frère Camillo cerca di tranquillizzarlo: «Succede». Due giorni dopo si imbarca per Kisangani. I padri Carlo Biasin e Nerio Broccardo lo rincuorano. Con Armilda e Giorgio, del quale assumerà gli impegni, affronta l’ultima tappa: 300 kmtra buche e sobbalzi del fuoristrada, costeggiando, a tratti, il fiume Congo, maestoso. A sera, il traghetto imbocca la foce dell’Arwimi, il fiume su cui navigarono Stanley alla ricerca delle sorgenti del Congo e i mercanti arabi in cerca di schiavi. Nel tramonto, si staglia la facciata della chiesa di Basoko e, accanto, la casa della missione dehoniana. «Siamo arrivati», dice Giorgio, mentre un nugolo di bambini si accalca curioso attorno al fuoristrada. È arrivato un altro mundele (bianco). Ha la barba, ma non è un missionario nel senso classico del termine. È un cooperante, un volontario, presentato come Monsieur François, che la fantasia dei bambini ribattezza subito: Tata Mandefu (Papà barba).
Giorgio scrive: «La gente di Basoko accoglie Francesco con simpatia, diventato nel giro di una giornata Tata Mandefu. L’accompagno alla porcilaia, al recinto delle capre. Gli mostro il trattore, i due motocultori e altri attrezzi agricoli, “regalo” della cooperazione italiana».
Tata Charles, Mama Madelaine e Charles Moke, lavoratori e sentinelle della fattoria, infatti, si affezionano presto a Francesco come lo erano a Giorgio. Le rovine della missione delle suore rivivono: l’ex cappella diventa deposito, una stanza è adibita alla molitura del mais, della manioca. Le donne, con i loro enormi catini in testa, attendono in fila il proprio turno. Nel rumore assordante del motore, Francesco, infarinato, è al centro delle loro chiacchiere: mobali ya solo (“Un vero maschio”). Sborsano pochi makuta (centesimi) e tornano con la farina pronta per i mikati (frittelle).
Marie Claire ricorda Tata Mandefu che percorre ogni settimana le strade di Yahila e di Yawinawina sul trattore. Pesa mais e manioca. Paga. Ritorna carico di mangime per gli animali. Il progetto per il quale lavora si propone la circolazione di un poco di denaro per le medicine, la scuola dei figli. In seconda battuta, la vendita di prodotti agricoli serve per l’alimentazione degli animali che, macellati, ritornano sulla tavola degli abitanti, arricchendo la loro dieta delle proteine mancanti.

Rubrica in Missione Samorini 02 (Archivio Missioni)Gli asini al posto delle mogli

Ma non basta. Il progetto agricolo prevede l’acquisto di mucche e di asini: latte per i bambini e liberazione delle donne da esagerati pesi quotidiani. Francesco, sango Zaki e père Danilo un venerdì mattina della primavera del 1973 partono per Bunia dove un italo-greco ha un allevamento di bovini, tra i quali pascola un gruppo di asini. Il sabato pomeriggio si tratta il prezzo delle bestie. La domenica mattina, di buon’ora, Francesco lancia il laccio, dopo aver scelto le manze più robuste della mandria. Ne cattura nove e un torello. L’operazione con gli asini è più faticosa. Scalciano terribilmente. Infaticabile, Francesco cattura cinque asine e un maschio.
Gli amici ricordano la fatica nell’addestrare gli asini, soprattutto per fare capire agli uomini che «è meglio servirsi di un asino invece che delle proprie mogli per trasportare legna, manioca, carne affumicata, vino di palma». Con la cattura di uno sciame di api a mani nude dalla siepe, dove le ha convinte a posarsi, per deporle in un alveare improvvisato, Francesco si conquista la fama di mago delle api. E la sera, inforcata la bicicletta era capace di recarsi dai ragazzi cui aveva affidato conigli o anatroccoli o tacchini per rendersi conto della capacità di avviare un allevamento a dimensione familiare.
Francesco non ha proprio nulla del mundele ordinario. Si imbianca di farina, si sporca attorno agli animali. Imparte ordini in un francese-lingala, dopo avere esperimentato di persona il come e il perché occorra vangare, sarchiare, pulire. Così, con semplicità e fatica, demolisce il mito del bianco pieno di soldi, del colono che comanda. La sua vita, impastata di essenzialità e di semplicità, diventa messaggio. Al lavoro affianca cordialità e allegria. Giocherellone con i bambini, che incanta con giochi di prestigio, galante con le ragazze, non disdegna i complimenti delle donne e li ricambia. E la domenica si veste a festa e, dopo la messa, in bicicletta, si reca al mercato. Incontra le donne, viste al mulino della manioca durante la settimana, scambia saluti, chiede informazioni sulla famiglia, ride di gusto ai complimenti delle venditrici, compera arachidi e dolci casalinghi, che distribuisce ai bambini. Con gli uomini è più diretto, a volte, severo. Fa appello alla loro responsabilità, prende accordi. Non finisce di stupirsi e di stupire.

Rubrica in Missione Samorini 03 (Archivio Missioni)Il saluto e il rientro

Due anni passano in fretta, anche se appesantiti da avvenimenti imprevisti e sconvolgenti. La zairinizzazione, avviata da Mobutu nel ’73, con il Congo che diventa Zaire e la nazionalizzazione delle proprietà straniere, che coinvolge anche la missione e il progetto. Tata Mandefu decide quindi di partire, attrezza la bicicletta per un safari di 15 giorni, ospite dei villaggi che attraversa, saluta e ringrazia e rientra in Italia dove riprende il lavoro del coltivatore autonomo. Senza disturbare nessuno, ma desideroso di essere disturbato, di rendersi utile.
Sono trascorsi molti anni. Francesco ha diritto di essere stanco. Ma neppure la malattia lo induce a chiedere aiuto. Anzi, guarda avanti. Regala le macchine. Non vuole che i parenti si disturbino, che lo assistano. Una badante, in regola, entra in casa sua, silenziosa e cortese, quasi un contrappeso al Francesco burbero, di sempre.
Alla barba, un poco più corta, aggiunge un bastone. Pare un patriarca che guida e consiglia il suo clan. Mantiene il tono di voce, di poco più dolce, ma sempre diretto. Come un patriarca disinteressato segue gli avvenimenti dei suoi, ricorda i compagni, chiede loro notizie. Si prepara, dona. «Quando siamo partiti per l’Africa non avevamo niente. Ora siamo ricchi», dice agli amici che lo hanno incontrato a fine marzo. I loro ricordi non restituiscono che in parte l’ottimismo, la forza di questo contadino missionario. Permettono solo di sbirciare. Un amico comune, i giorni prima di Pasqua, mi ha detto: «Vai a Imola, in via Pio La Torrea intervistare Francesco Samorini. Ti racconterà e ti svelerà un pezzo di vita, i suoi sentimenti, i valori in cui ha creduto e in cui crede. Magari, con tono brusco, ti chiederà come stai, cosa fai. Perché?... Ti offrirà pane e salame. Berrà con te mezzo bicchiere di vino. Non scorderai l’abbraccio di Tata Mandefu. Non chiamarlo: Monsieur François, lo infastidisce. Guarda. È ancora sulla porta di casa. Saluta».