Cercando la parola giusta

Affidarsi alla Parola di Dio, eludendo il potere delle altre

di Antonello Ferretti

animatore culturale nel convento dei cappuccini di Reggio Emilia

Ferretti 01La seduzione della parola

«L’Essere non è, anche se fosse non sarebbe pensabile, ed ammesso (per assurdo) che fosse pensabile, non sarebbe comunicabile». Con questo apparentemente innocuo scioglilingua, il famoso retore e sofista Gorgia nel 400 a.C. opera una rivoluzione epocale: la parola non è in grado di esprimere un qualcosa di altro rispetto a sé, è svincolata dal suo contenuto veritativo ed ha solamente un forte potere di suggestione ed evocazione che può convincere e sedurre.

Ma cosa si nasconde dietro questa teoria? L’immenso potere della parola che diventa strumento di creazione della verità, decide lei quale è la verità e cerca di convincerti che è quella e non un’altra.
Pochi anni dopo, il grande Platone riprende dal maestro Socrate l’importanza dell’arte maieutica: la parola aiuta a partorire - non a produrre - la verità, la quale sta sempre davanti a noi e si trova oltre la soglia della casa del Bene (ultimo baluardo a cui possiamo giungere con le nostre forze umane). La verità la si cerca insieme, dialogando e avendo una certa comunanza di vita ed è per questo che la filosofia può nascere e svilupparsi solo tra amici. In uno dei suoi dialoghi più importanti, il Fedro, il nostro filosofo fa una distinzione tra il linguaggio scritto e quello orale: lo scritto non sa parlare, non sa difendersi e proprio per questo la scrittura è gioco, mentre l’oralità è serietà e solo con essa si può curare, esaminare, purificare l’anima.
E il parlare quotidiano, quello che usiamo quando ci raccontiamo le cose tra amici e ci riferiamo quanto abbiamo letto su quotidiani o ascoltato alla tv? Anche questo nasconde qualcosa? Heidegger ci direbbe che è un linguaggio inautentico, quello della curiosità e della chiacchiera, quello del impersonale che ci toglie da ogni responsabilità e impegno e ci fa sentire forti perché una cosa è vera in quanto l’ha detta la televisione e ci toglie dalla responsabilità di decidere se le cose che dice la tv sono vere o no. Da qualsiasi parte si guardi insomma la parola ha un suo potere, positivo o negativo, sul nostro modo di essere e di agire.

Ferretti 02Un nuovo modo di parlare

Oltre le sedi accademiche, il problema della parola è stato al centro della vita e dell’esperienza di un sacerdote fiorentino morto nel 1967 - don Lorenzo Milani - che nell’esilio ecclesiastico di Barbiana (il nulla geografico sulle colline del Mugello) ha mutuato dai poveri, dai «vinti figli di vinti» un nuovo modo di parlare e essere. Lorenzo Milani, l’intellettuale, l’uomo proveniente da una delle famiglie più colte della borghesia fiorentina, respira fin da piccolo l’importanza della parola: il bisnonno Domenico Comparetti è stato uno dei più grandi filologi italiani del suo tempo.
L’incontro col mondo operaio a Calenzano prima, e soprattutto col mondo contadino poi a Barbiana, lo portarono a capire che i suoi parrocchiani per comprendere la Parola (quella di Dio, l’unica che veramente gli interessava) avevan bisogno delle parole le quali davano anche loro una dignità e la possibilità di uscire dalla loro situazione di ultimi della storia.
Così il giovane priore di Barbiana scrive: «Dal punto di vista proprio di parroco, ho l’incarico di predicare il vangelo. Predicarlo in greco non si può perché non intendono. Sicché, bisogna predicarlo in italiano. Resta da dimostrare che i miei parrocchiani intendono l’italiano. Non son capaci di un discorso lungo, di una lingua che non sia quella che serve per vendere i polli al mercato di Vicchio il giovedì, o nei pettegolezzi delle famiglie. Non si può parlare la loro lingua perché è una lingua di basso interesse, di bassi vocaboli. Ed io non mi ci abbasso a livello dei miei parrocchiani. Io seguito il mio linguaggio alto e quindi o loro vengono al mio linguaggio o non ci si parla. Ecco perché io ho iniziato il mio apostolato dalla scuola, con l’insegnare la grammatica italiana. Alla fine è successa questa disgrazia di innamorarmi di loro ed ora mi sta a cuore tutto quello che sta a cuore a loro. Sono partito con l’idea di fare della scuola il mezzo di intendersi e di predicare, poi, nel far scuola, gli ho voluto bene ed ora mi sta a cuore tutto di loro, tutto quello che per loro è bene, persino l’aritmetica che a me non piace e il loro bene è fatto di tante cose: della preparazione politica, sociale, religiosa, della cura della salute. Insomma c’è di tutto. Né più né meno quello che voi fareste e fate per i vostri figli».

Credere sulla parola

Ed è per questi figli (così chiama sempre, e non a caso, don Lorenzo i suoi alunni) che il priore legge e spiega due testi filosofici (non casuali): l’Apologia di Socrate e il Fedro di Platone. Questa la grande idealità di don Lorenzo che dovette trovare grandi resistenze iniziali come asserisce in un suo scritto: «Voi non sapete leggere la prima pagina del giornale, quella che conta e vi buttate come disperati sulle pagine dello sport. È il padrone che vi vuole così perché chi sa leggere e scrivere la prima pagina del giornale è oggi e sarà domani dominatore del mondo». Uomini capaci di parlare, di essere padroni della propria storia e soprattutto capaci di ascoltare quell’unica Parola che deve avere potere nella loro vita.
Nel capitolo quarto dell’Evangelo di Giovanni, si parla di un funzionario regio che si reca da Gesù chiedendogli la guarigione del figlio gravemente malato. Lui chiede un miracolo, Gesù gli chiede di credere a una parola («Va’, tuo figlio vive»). Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. È a questo punto che deve arrivare il cammino di ogni credente: capire che l’unica Parola alla quale dobbiamo prestare fede è quella del Signore che va oltre i miracoli o le promesse che noi vorremmo, come ci ha abituato da sempre la realtà in cui viviamo (panem et circenses è una storia vecchia!).
Ma, a proposito di parole, è ancor più sconvolgente quanto Paolo dice agli anziani di Mileto prima di lasciarli per sempre: «Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati». Solitamente siamo noi ad affidare qualcosa di nostro alle parole; qui accade il contrario: siamo noi ad essere affidati alla Parola, a quell’unica Parola che davvero ha un potere: quello di edificare e concedere l’eredità. Ed è qui che don Lorenzo e qualsiasi educatore cristiano vuole e deve arrivare: far sparire per sempre le proprie parole perché esse hanno già adempiuto la loro funzione strumentale: introdurre alla Parola di Verità.