Apologo del principe mezzo morto

Il potere occulto siamo noi, incapaci di opporci allo stato di fatto 

di Giusy Baioni
giornalista 

Baioni 01La vecchia scusa dei burattinai

Quando si parla di poteri occulti, pare di aprire le pagine di una spy story: intrighi, loschi individui, trame oscure, gruppi inavvicinabili e alleanze segrete. Si sussurra, si mormora, su internet si leggono storie le più disparate. Manca solo che tra i protagonisti spuntino gli ufo o le sirene. Specie in un paese come il nostro, che per decenni è stato vittima di reali trame oscure tra personaggi dello stato, servizi, malavita, massoneria, ci si sente autorizzati a dietrologie di ogni genere.

Ma cosa c’è di vero? Di sicuro i poteri nascosti esistono e proliferano a nostra insaputa. Ma non credo sia utile praticare l’arte della dietrologia perenne: o si è documentati e si sa di cosa si parla, o meglio tacere. Il rischio concreto, ai miei occhi, è che incolpare di tutto la Troika, il gruppo Bilderberg o la Cia serva da alibi al nostro non-agire: se siamo manovrati e condannati tutti a essere burattini di poteri invisibili e invincibili, siamo inerti e inermi davanti a loro, siamo in balia di forze incontrastabili. Siamo totalmente deresponsabilizzati. Ci riteniamo autorizzati a non far nulla e contemporaneamente a scaricare tutte le colpe di ciò che non funziona su oscuri manovratori, assolvendoci singolarmente e come popolazione da ogni responsabilità.
A che giova tutto ciò? E a chi? Non certo alla collettività. E allora, appunto, o ci si documenta e si portano fatti, contro i quali ci si può mobilitare, oppure meglio tacere e rimboccarsi le maniche. Per questo, non avendone le competenze sufficienti, mi asterrò dal pretendere di esplorare in due pagine “i grandi poteri massonico-statali-criminali che dominano il mondo”. Sempre che esistano. Piuttosto, vi racconterò una storia che conosco. Una storia come tante, che mostrerà dove stanno - secondo me - i poteri che oggi manovrano le nostre vite.

Baioni 02C’era una volta

La storia che vi racconto ha per protagonisti un paradiso e un principe. Ma non è una favola, tutt’altro. È una storia ambientata nel cuore dell’Africa, nel parco dei monti Virunga, che si estende nell’est della Repubblica Democratica del Congo, al confine con Rwanda e Uganda. Il parco nazionale dei Virunga è nato nel 1925 (il più antico d’Africa) e dal 1979 è per l’UNESCO patrimonio dell’umanità. Tra le sue impervie montagne vivono gli ultimi gorilla di montagna. Qui iniziò il suo lavoro la celebre studiosa Dian Fossey, che proseguì poi la sua opera in Rwanda e qui perse la vita nel 1985, uccisa da mano tutt’ora ignota. A lei è ispirato il famoso film Gorilla nella nebbia.
Ma i monti Virunga non sono solo gorilla: foreste incontaminate, una biodiversità ancora in parte sconosciuta, tanto che periodicamente si segnalano scoperte di nuove specie animali e vegetali. Tra i monti Virunga e la riserva naturale dell’Ituri, più a nord, vivono anche i rari okapi, specie protetta che si trova solo ed esclusivamente in questa parte di Congo.
Ma la biodiversità non è l’unica risorsa del parco dei Virunga. Purtroppo. E lo sa bene il direttore del parco: Emmanuel de Merode è un giovane principe, anche se sul lavoro preferisce non usare il titolo nobiliare della sua famiglia, una delle più antiche del Belgio. Dal 2008 è direttore del Parco nazionale dei Virunga, di cui si occupa con passione. Una passione condivisa in famiglia, dato che la moglie, Louise Leakey, è una signora keniota di origine inglese, figlia e nipote di due tra i più insigni paleontologi al mondo, che si erano trasferiti in Kenya per studiare e documentare le origini dell’uomo, rinvenendo importantissimi reperti di ominidi. Il padre della signora, Richard Leakey, spostò poi il suo interesse e la sua attività alla conservazione del patrimonio naturalistico in Kenya e in tutta l’Africa. E sua figlia ne seguì decisamente le orme, fino al matrimonio col principe belga innamorato dei gorilla.
Fin qui la favola. Fino al 15 aprile 2014, quando Emmanuel de Merode è di ritorno da Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, sotto la cui giurisdizione si trova il parco dei Virunga, per tornare a Rumangabo, sede della direzione del parco. Viaggia solo, de Merode, a bordo del suo fuoristrada. Quattro colpi d’arma da fuoco lo raggiungono allo stomaco. Un agguato. Un motociclista di passaggio mette in fuga gli aggressori, salvando quasi certamente la vita al principe. Trasportato d’urgenza in ospedale in condizioni estremamente critiche e sottoposto a un delicato intervento chirurgico, Emmanuel de Merode si salva e, dopo alcune settimane di convalescenza, fa ritorno al suo posto di lavoro.
Ciò che trasforma la favola in thriller, però, è che il direttore del parco, quel 15 aprile, si era recato a Goma per depositare in tribunale un dettagliato esposto sugli abusi di una piccola compagnia petrolifera inglese, la SOCO, che aveva ottenuto dal governo congolese il permesso di condurre esplorazioni all’interno del parco, in spregio a tutte le norme, e che stava inanellando una lunga serie di violazioni ambientali. Nessuna prova - è bene dirlo - collega direttamente i due fatti, se non l’impressionante sequenza temporale. Ma il fatto in sé e la portata del personaggio hanno generato un clamore tale che la compagnia inglese si è subito sentita in dovere di diramare un comunicato stampa nel quale prendeva le distanze dall’accaduto, dichiarandosene totalmente estranea. Excusatio non petita… dicevano i latini.
L’attentato a Emmanuel de Merode è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una situazione che le associazioni ambientaliste stavano da tempo tenendo sotto controllo. Il WWF, in particolare, che già ad ottobre 2013 aveva presentato denuncia contro la SOCO, ne ha tratto la forza per una campagna mediatica e una raccolta firme di proporzioni tali che, nel mese di giugno 2014, la compagnia petrolifera ha dichiarato di sospendere le esplorazioni all’interno del parco. Ma attenzione a cantar vittoria: sospendere non significa cessare. E non appena l’attenzione internazionale scemerà, il rischio è che si riparta alla carica, complici i politici corrotti nazionali che intascano certo non solo belle parole.

Alzare la testa e dire no

Ecco. Vi ho raccontato una storia. Come questa, ne esistono a centinaia, sparse per il mondo. Storie che spesso nemmeno conosciamo. Storie che contengono una doppia prova: il potere e l’assenza di scrupoli di chi (multinazionali ma non solo) fa del profitto la propria missione, ma anche il potere delle mobilitazioni dal basso. I veri poteri forti spesso non sono oscuri, anzi, agiscono alla luce del sole, come quella mano armata che ha sparato a de Merode, e agiscono nell’impunità che è assicurata loro dalla nostra indifferenza. I veri poteri forti esistono, si servono di noi, del nostro silenzio, della nostra incapacità di vedere, del nostro quieto vivere. Ci usano come oggetti pronti a consumare e arricchire le loro tasche. E ci temono quando, insieme, uniamo le forze e alziamo la voce. Ma allora: il vero potere forte non saremo forse noi, quando sappiamo alzare la testa e diciamo no ad abusi e sfruttamento?