Il missionario della verità

La figura di Jules Isaac che tracciò la via d’incontro tra ebrei e cristiani

di Brunetto Salvarani
teologo, giornalista e scrittore, direttore di CEM mondialità e di QOL

Salvarani 01La ricerca passa da Auschwitz

Il teologo Clemens Thoma lo descrive come «uno dei grandi visionari dell’intesa cristiano-ebraica dopo la seconda guerra mondiale». Non sono pochi, in realtà, gli autori che ritengono quella dell’ebreo francese Jules Isaac la figura decisiva nel processo che ha condotto a riannodare i primi fili, spezzatisi quasi venti secoli prima, fra cristiani ed ebrei. Un uomo che ha mostrato nella sua vita coraggiosa, a un tempo, il potere e la forza delle idee (soprattutto di quelle controcorrente, come nel caso in questione).

Nato a Rennes, in Bretagna, nel 1877, di formazione laica, Isaac insegnerà storia nei licei per oltre trent’anni. Per lui è fondamentale l’incontro, appena ventenne, con Charles Péguy, intellettuale cattolico, di cui fa sua la passione per la verità, una parola d’ordine che l’avrebbe accompagnato nella sua lunga vita. Nel ’36 è nominato ispettore generale dell’Educazione nazionale, riconosciuto nella sua qualità di educatore moderno grazie alla pubblicazione di ben sette tomi di una Pedagogia rinnovata della Storia; mentre sul manuale di storia che porta il suo nome, il Malet-Isaac, si formeranno svariate generazioni di studenti. Quattro anni più tardi, però, le leggi razziali lo emarginano da qualsiasi incarico pubblico, ed è allora – come avviene per tanti ebrei europei – che Isaac prende coscienza, nella maniera peggiore, della propria ebraicità: sino a quell’epoca, si badi, non si è mai occupato di temi religiosi.
È questo – mentre nell’ottobre del ’43 la moglie, i figli e il genero sono deportati ad Auschwitz, da dove non faranno ritorno a eccezione di Jean-Claude, il figlio minore – il contesto in cui nasce in lui l’urgenza di scrivere Gesù e Israele, il segno della svolta cruciale della sua esistenza, portato a termine nel 1946 nella solitudine di un rifugio e pubblicato a Parigi nel ’48. Isaac racconta che la moglie, prima di essere deportata, riesce a fargli pervenire un biglietto, in cui è scritto: «Conservati per la tua opera che il mondo attende». «Questo pensiero – confesserà lui, anni dopo – ha dettato il mio dovere: da quel tempo, in un certo modo ho considerato il mio lavoro come una sacra missione». E sull’esito che ha su di lui la consapevolezza del dramma della Shoà: «Poteva nascerne una rivolta, ne nacque una vocazione».

Salvarani 02 (Charles Roffey)Le conclusioni

Nel volume – dedicato ai familiari martiri, uccisi dai nazisti di Hitler semplicemente perché si chiamavano Isaac – si compendiano in ventuno tesi, più una chiusura pratica, le conclusioni della sua ricerca. L’autore vi sostiene che il Gesù dei vangeli fu un ebreo, nato e vissuto sotto la Torà, e che la fede ebraica, al suo tempo, non degenerò affatto – a dispetto delle letture successive – in una religione puramente legalistica. Non c’è nulla di più superficiale dell’opporre il vangelo al giudaismo, dal momento che il vangelo e la tradizione evangelica si riconnettono direttamente alla tradizione ebraica. Dati oggi ovvi, ma all’epoca addirittura scandalosi… Tanto che, all’uscita di Gesù e Israele, lo choc dei cristiani è enorme. Lo scrittore cattolico Julien Green, ad esempio, nel ’49 scriverà che la lettura di questo libro sconvolge in modo tale che non si può rimanere muti mentre Israele grida di angoscia.
Nel frattempo, nel ’47, era prevista una conferenza di studiosi ed esperti biblisti, cattolici, protestanti ed ebrei, voluta dall’associazione americana National Council of Christians and Jews, da svolgersi in Svizzera, a Seelisberg, in vista della quale Isaac predispone diciotto punti che saranno la base dei Dieci punti di Seelisberg, autentica pietra miliare della ripresa di relazioni fra ebrei e cristiani. Nel ’48 è tra i fondatori della prima Amicizia ebraico-cristiana, quella francese. Ma Isaac comprende che per smuovere il mondo cattolico, considerato da lui diffidente verso qualsiasi novità, è necessario coinvolgerne direttamente i vertici. L’anno seguente, in visita a Roma, ottiene così una breve udienza da Pio XII, a Castelgandolfo, cui consegna il testo di Seelisberg: ma il colloquio, pur valutato da Isaac rispettoso e diretto, non avrà conseguenze.

Da un papa all’altro

Ben diverso l’esito dell’incontro, destinato a fare epoca, con Giovanni XXIII, il 13 giugno 1960. Questo lo stato d’animo con cui il Nostro si presenta all’appuntamento: «Ho coscienza di parlare a nome dei martiri di tutti i tempi: le mie prove, i lutti, le raccomandazioni supreme che ho ricevuto mi hanno confermato che è veramente una missione sacra. Io sono sopravvissuto per portarla a compimento».
Nel corso di un'udienza durata una ventina di minuti, Isaac raccomanda al papa la condanna dell'insegnamento del disprezzo, consegnandogli una Memoria scritta, intitolata Della necessità di una riforma dell’insegnamento cristiano nei riguardi di Israele. Vi si legge che occorre «fare tutto quello che umanamente, cristianamente è possibile per rimediare alle indicibili sofferenze inflitte a Israele dal IV secolo (avvento dell’Impero cristiano) e soprattutto dall’XI (prima crociata), sofferenze mostruosamente aggravate ai giorni nostri per effetto di un razzismo che, nella sua essenza, è anticristiano, ma che si è svolto in terre cristiane (Auschwitz)». La sua tesi è chiara: se si può distinguere tra antisemitismo e antigiudaismo, tuttavia l’antigiudaismo cristiano non può chiamarsi fuori dal processo di progressiva demonizzazione nei confronti del popolo ebraico. Salutandolo, Giovanni XXIII accoglie il suo suggerimento di creare una commissione di studio, assicurandogli – a fronte della sua domanda: «Posso avere almeno un briciolo di speranza?» – che al riguardo «aveva diritto ben più che alla speranza». Loris Capovilla, all’epoca segretario del papa e oggi cardinale ultranovantenne, lo descriverà come uno storico incontro fra due uomini biblici.
Tre mesi dopo, il cardinale tedesco Augustin Bea, presidente del Segretariato per l'unità dei cristiani, riceverà l’incarico di studiare approfonditamente i rapporti fra la Chiesa e Israele, con l’obiettivo di predisporre in vista dei lavori conciliari una dichiarazione sul popolo ebraico: da quel gruppo di studio deriveranno le proposte che, dopo un iter lungo e laborioso, assumeranno la forma della dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Giovanni XXIII morirà il 3 giugno 1963, Isaac tre mesi dopo, ad Aix-en-Provence: né l’uno né l’altro, dunque, potranno vedere la stesura definitiva del documento conciliare, ma a tutti gli effetti ne vanno considerati gli ispiratori ideali.
Una memoria preziosa, quella di Jules Isaac. Quel che è certo è che, senza la sua costante e infaticabile passione per la verità, il cammino del nuovo dialogo fra cristiani ed ebrei sarebbe stato diverso, e senz’altro più faticoso.

Dell’Autore segnaliamo:

Guardate l’umiltà di Dio. Tutti gli scritti di Francesco d’Assisi
Garzanti, Milano 2014, pp. 312.