Yes, we can

Il fascino del potere di creare o distruggere la relazione 

di Giovanni Salonia
frate cappuccino, psicologo e psicoterapeuta

Salonia 01La sintesi dei desideri umani

Sto salendo la scaletta dell’aereo. Davanti a me una mamma e la sua piccola. Ad un certo momento, la bambina scalpita perché vuole salire i gradini da sola. Con una tensione piena di armonia riesce nel suo intento. Entrando in aereo, poi, sorride soddisfatta alla madre che, invece, preoccupata, guarda me quasi a chiedere scusa per il rallentamento procurato dalla figlia.

Le sorrido con aria di complicità: sono, in effetti, ancora toccato dalla grazia di quel corpicino che - con freschezza, decisione e concentrazione - è riuscito a scalare (ben si addice questo verbo) i gradini e ha fatto esperienza piena del proprio potere. Non ha alcun rilievo che la piccola fosse indiana. Il potere ha un fascino irresistibile che va al di là del colore e della lingua, dell’età e della virtù. Avere potere ha sempre e comunque una connotazione positiva, mentre ‘non avere potere’ rimanda a significati depressivi e perdenti.
Avere potere sembra il vertice e la sintesi dei desideri umani. Soldi, sesso e quant’altro acquistano fascino proprio in quanto accrescono potere. Il piacere stesso, se senza potere, si trasforma in abuso e violenza. Avere potere è un’esperienza intensa e pregnante ed include molte competenze: decidere, essere più forte, vincere, comandare, insegnare.
Ma cosa è il potere? Proviamo ad indagare questo fascino intrigante. Ripartiamo dalla piccina che preferisce scalare i gradini da sola piuttosto che salirli comodamente con il sostegno materno. Il bisogno di sperimentare il potere del proprio corpo è innato in ogni bambino: essere autonomi, infatti, è esperienza intima e costitutiva della propria identità. “Io posso” è, in fondo, un sinonimo di “Io sono”. Tale costitutiva connessione svela il senso della scultorea affermazione di Goethe: «In principio era l’Azione». L’agire - potere è poter agire - è principio di identità e di individuazione. Costruire il senso intimo del proprio potere richiede, però, un lungo e progressivo cammino. Inizia con le esperienze di forza che sperimenta il corpo (sputare, mordere, addentare, fare o trattenere la cacca, camminare, darsi piacere), si esprime esplicitamente nel dire di no (più entusiasmante del dire di sì), esplode nel volto luminoso del bambino che finalmente è riuscito a compiere un gesto prima percepito impossibile e proibito, raggiunge il suo vertice nel momento in cui, di fronte al nemico che mi toglie la vita, avverto di avere il potere di dare il mio proprio significato a quello che accade (parola di V. Frankl, psichiatra che ha sperimentato il lager di Auschwitz). «Ce l’ho fatta!»: sono queste le parole che celebrano il trionfo del sé e racchiudono il sogno di ogni essere umano. Esprimere tutte le proprie potenzialità, tenderle al massimo è compito inevitabile e richiede - come ci ricorda Goodman - tanta audacia e un pizzico di temerarietà. «Non essere fino in fondo se stessi» è la colpa che rende infelici e genera risentimento, recriminazioni, insoddisfazioni su se stessi e sugli altri. Anche per il portatore di handicap, nonostante i suoi tanti limiti fisici, è più bello «farcela da solo» piuttosto che «farcela, ma aiutato». È sempre commovente rivedere nel film Il figlio della luna l’amore di una madre che, proprio perché non protegge, fa emergere tutto il potere - e le potenzialità - del figlio tetraplegico.

Salonia 02Vivere come un’opera d’arte

Si raggiunge il “potere personale” (termine caro a C. Rogers) e ci si riconcilia con se stessi e con la vita, se si riesce ad esprimere fino in fondo l’artista che vibra e freme nell’intimo di ogni vivente. Impresa ardua, ma inevitabile. Primo passo sarà, forse, accettare la propria intima solitudine secondo il famoso detto di Duns Scoto: Ad personam requiritur ultima solitudo. La solitudine radicale ci fa soggetti. Quindi, entrati in contatto con la propria unicità, sarà necessario rischiare di esporsi al mondo vincendo - ecco il potere! - la fobia di valutazioni esterne. Infine, esprimere pienamente la propria creatività sconfiggendo - ancora potere! - la fobia dell’essere concreti e limitati connessa con il narcisistico rimandare progetti sempre annunciati e mai incarnati. Solo se si riesce a vivere la propria vita come un’opera d’arte, il bisogno di potere dentro di noi si placherà e diventerà creativo e positivo non solo per noi ma anche per gli altri. Senza questi percorsi, il potere diventerà un bisogno distruttivo e manipolativo che negherà i limiti, nell’illusione di un potere senza limiti. Scrive Goodman che nel nevrotico il potere si decompone in bisogno di vincere, anzi bisogno di aver vinto (neppure la fatica di lottare). Il vero potere è intimo, creativo, e si declina nei confini dell’ordo amoris: sa rinunciare al proprio potere nel consegnarsi richiesto sia dall’umano bisogno di aiuto sia dalla relazione amorosa, sa condividere nelle relazioni paritarie fraterne, sa prendersi cura nelle relazioni asimmetriche nelle quali bisogna dare e sostenere il potere dell’altro.
È significativo e misterioso il ciclo del potere nell’esistenza umana: iniziamo la vita senza potere, crescendo passo dopo passo lo conquistiamo e cresciamo, e poi, quando diventiamo anziani, la vita stessa chiede di rinunciare al potere fino ad arrivare (e a consegnarsi) all’ultima inesorabile radicale impotenza. 

Salonia 03Chi accetta la fragilità gusta il potere fecondo

Per comprendere questo mistero può essere utile ricordare che forse il potere non va inscritto nella logica averlo/non averlo, essere attivi o passivi, ma nella zona mediana nella quale in ogni momento si è attivi e passivi, ricchi e poveri di potere. Come nelle regole del gioco si è contestualmente giocatori e giocati, liberi e costretti, così ogni potere che l’uomo raggiunge o acquisisce deve inscriversi nell’impotenza costituiva della condizione umana (non siamo noi a darci la vita, non siamo noi a poter decidere sulla nostra salute, non abbiamo potere sulla volontà dell’altro e simili). Non sembri irriverente ma saggio ricordare che nella geniale teoria evolutiva di S. Freud il bambino gusta per la prima volta e in modo pieno il proprio potere quando sperimenta il potere di trattenere o lasciare andare la cacca. Agostino aveva già sottolineato come nel corpo i luoghi dell’amore e della trasmissione della vita sono intimamente connessi con i luoghi dei rifiuti (inter urinas et feces). Solo se si accetta la radicale fragilità (impotenza) della condizione umana, si potrà sperimentare il potere vero: quello fecondo e placante, creativo e condiviso.
Siamo così approdati all’orizzonte primo ed ultimo di ogni discorso sull’umano potere: il potere si coniuga con l’amore. Il potere di Creonte rende disumani mentre il potere di Antigone crea incontro. «Al potere che sfigura e annichila la relazione siamo chiamati a sostituire, in una fatica quotidiana, il potere ‘del’ contatto e il potere ‘dal’ contatto».
Agostino ci ricorda che il potere che tutti - immancabilmente - cerchiamo è la vittoria della nostra vita sulla morte. E sintetizza in modo abbagliante la strada per raggiungere questo potere ottenuto dal Cristo: Victor quia victima. Vince perché accetta di essere vittima nell’amore.
Forse, il potere raggiunge la sua pienezza nel momento in cui si consegna - impotente! - all’amore.

Dell’Autore segnaliamo:

La grazia dell'audacia. Per una lettura gestaltica dell'Antigone
Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2012, pp. 80.