Sconvolti dal Dio debole

Lo scandalo della croce ridisegna la logica del potere

di Lidia Maggi
teologa e pastora della Chiesa battista in servizio a Varese

Maggi 01Da tempo immemorabile l’immagine di un Dio crocefisso ha smesso di risultare irricevibile ai nostri occhi. Siamo lontani anni luce dalla percezione dell’apostolo Paolo, che parla, a suo riguardo, di “scandalo e pazzia”. Facciamo fatica a comprenderla come interruzione dell’attesa di salvezza (questo significa “scandalo”: pietra d’inciampo, che costringe a fermare la marcia), come una scelta priva di ogni logica. Addomesticata per secoli, oggi la croce compare come elemento coreografico, che fa capolino sui campi di calcio o sul petto delle persone.

Rimossa la pietra che impediva di proseguire lungo la strada maestra, i nostri piedi camminano spediti nella solita direzione: alla ricerca di una sempre maggiore acquisizione di potere (economico, politico, affettivo…). Del resto, lo dice la parola stessa: potere significa che “si può”; esserne privi, equivale all’impotenza.
Dio è l’Onnipotente, Colui che può tutto, più di ogni altro. Lo abbiamo sempre saputo. Che Dio sarebbe se non esercitasse un potere effettivo? Come avviene nella nostra storia umana, dove le redini sono tenute in mano dai potenti di questo mondo, così è per Dio. “Come in terra, così in cielo”!
Continuiamo a commuoverci dinanzi alla croce, ma non ne scorgiamo più lo strumento con cui il potere di allora si serviva per condannare i soggetti pericolosi e per educare tutti gli altri a guardarsi bene dal mettere in discussione i signori della terra. E se qualcuno ce lo ricorda, nessun problema: è stata solo un’incomprensione, ampiamente superata da secoli di pieno accordo tra trono e altare, uniti entrambi sotto il segno del potere e del suo effettivo esercizio. 

Il potere nella chiesa di Corinto

In realtà, il canovaccio di questa narrazione “rivista e corretta” del Dio crocefisso non ha atteso l’avvento di Costantino: è stato messo in scena fin da subito. Nella chiesa di Corinto la logica mondana del potere aveva dato forma ad un’esperienza credente in cui contava l’appartenenza ad un prestigioso gruppo di pressione (“quelli di Paolo, di Apollo, di Cefa o di Cristo”: 1Cor, 1,12), insieme ad una sapienza comunicata da una lingua eccellente che si esercita in discorsi persuasivi e ad altri doni spirituali speciali (carismi), da esibire come manifestazioni di potenza individuale. Il potere ha bisogno di differenziarsi, creando nella società una scala gerarchica, per la quale chi sta sotto ha bisogno di chi sta sopra, ma non viceversa. 

Maggi 02La risposta di Paolo

Come si muove Paolo all’interno di questa comunità fiorente, a cui non manca proprio niente (1,4-7)? Con gergo calcistico, potremmo dire che l’apostolo, innanzitutto, “si smarca”. Avrebbe potuto accettarne la logica ed imporre la propria autorevolezza in quanto più sapiente e potente. Altrove sembra anche farlo (Fil 3,4ss). Ma qui prende subito le distanze dalle esibizioni di potenza. In due mosse. Una più tattica; l’altra decisamente diretta (keygmatica). Nella prima fa proprio il linguaggio dei suoi interlocutori ricorrendo all’apologo di Menenio Agrippa, universalmente conosciuto ed accettato in quel contesto. Questo il succo: la società è come un corpo, articolato in differenti membra ed organi, con funzioni diverse. Un conto è la mente (che comanda), ed un conto il braccio (che esegue). A Corinto, nella nuova società ecclesiale dei discepoli di Gesù, non stava avvenendo proprio questo? Bene, dice Paolo. Teniamo pure l’immagine del corpo, che tanto vi affascina. Ma pensateci bene: l’occhio non può dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né il capo può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere più deboli, sono invece necessarie; e quelle parti del corpo che stimiamo essere le meno onorevoli, le circondiamo di maggior onore (12,21-23). Paolo assume e corregge la classica narrazione che giustifica il potere, in nome di una diversa visione della società, dove tutti sono necessari e vanno circondati di onore.
Ma questa rilettura è possibile grazie alla ridiscussione dell’idea di potere operata da Gesù, il crocifisso. La croce è il luogo di un ripensamento radicale a tutti i livelli. In quanto evento di rivelazione, lì viene rovesciata la classica immagine del Dio potente, che esige dai suoi sudditi il loro sacrificio: è Dio stesso a donarsi, preoccupato che a noi non venga fatto alcun male (cf. Gv 18,7-8). In quanto evangelo, è Parola che indica una sapienza alternativa a quella mondana, riassunta altrove dallo stesso Paolo così: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20,35). La logica del dono e del servizio ridisegna i tratti del potere, non più preoccupato di esibire la forza ma talmente potente da manifestarsi nella debolezza estrema del perdere la vita per gli altri.
L’apostolo dichiara con franchezza i criteri nuovi con cui operare un discernimento della realtà. Non offre “istruzioni per l’uso” ma invita i credenti ad esercitare nella storia un pensiero ed uno stile inedito, che domanda creatività ed immaginazione, oltre la coazione a ripetere gli schemi secolari del potere. Domanda alle chiese di non riproporre i medesimi meccanismi di potere e di emarginazione presenti nella società ma di divenire laboratori di sperimentazione di un agire nel mondo fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio (Eb 12,2).
Il gesto di Gesù, indubbiamente scandaloso e folle se giudicato secondo i canoni usuali, accende nei suoi discepoli uno sguardo differente su Dio, sulla storia e sul tipo di potere da esercitare in essa. Un mutamento radicale dell’immaginario simbolico: “come in cielo, così in terra”! Del quale facciamo fatica a convincerci, essendo anche noi, cosiddetti “cristiani”, come Pietro, incapaci di pensare “secondo Dio” (Mt 16,23).
La “parola della croce”, annunciata da Paolo come “sapienza e potenza di Dio” (1,24), attende ancora di essere ascoltata per sprigionare il Dio inedito che essa desidera annunciare e per dar vita ad un modo differente di costruire le relazioni umane, esercizio di potere debole affidato, innanzitutto, alla responsabilità delle chiese di Gesù.

Segnaliamo il volume:

LIDIA MAGGI-ANGELO REGINATO
Liberté, Egalité, Fraternité. Il lettore, la storia e la Bibbia
Claudiana, Torino 2014, pp. 146.