La malavita organizzata, le cosche, la mafia sono spesso, nella lettura filmica, un’efficace metafora dell’esistenza e della società. Ne scopriamo, attraverso due metodi di analisi su di essa, la valenza narrativa. Il primo metodo è quello di una lettura ironica, con il film di Pif “La mafia uccide solo d’estate”, che punta sulla satira per mettere alla berlina, oltre la malavita, anche l’omertà di chi ne è estraneo. Più puntato sui drammi esistenziali individuali il film di Martin Scorsese “The Departed”.

Alessandro Casadio

Rubrica Periferiche 01 La mafia uccide solo d'estateLa mafia uccide solo d’estate

un film di Pif (2013)

distribuito da RAI Cinema, 01 Distribution

È con il sorriso e l’ironia, guardando la realtà con gli occhi di un bambino, che Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, racconta le stragi mafiose, che sconvolserola Sicilia, e con lei l’Italia, tra gli anni Settanta e Novanta. Arturo, questo è il suo nome, nasce e cresce a Palermo, vivendo la sua storia d’amore per Flora, una compagna di classe. La sua storia, unendo elementi di finzione a immagini di repertorio, racconta come l’amore possa vivere anche in una città sotto assedio per gli omicidi del generale Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici e per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Sarà proprio quell’amore che lo spingerà a diventare giornalista e ad aprire gli occhi pian piano sulla realtà, abbandonando la superficialità istigatagli dal padre stesso che, per rassicurarlo, gli aveva fatto credere che la mafia uccidesse soltanto d’estate. Nell’irrisione raffinata dei luoghi comuni, usati per minimizzare il fenomeno, c’è tutta la bellezza del film, che gioca con leggerezza ed efficacia sul piano tragico, chiamando in causa tutta quella classe politica e sociale che, anche se non direttamente collusa col potere mafioso, ha contribuito con omertà alla sua escalation. Come il regista, tutta quella generazione, che aveva soltanto poco più di dieci anni all’epoca dei fatti raccontati, si trova a svegliarsi da un letargo della coscienza determinato dalle morti di Falcone e Borsellino. Inconsciamente, tutte le persone uccise dalla mafia ci hanno spinto a fare delle scelte. Ed è grazie a loro che la coscienza della gente si sta risvegliando. Il film ci costringe ad impersonarci in quel bambino che, pur sapendo che la storia è estranea alla mafia, si rende conto che essa, come un cancro, la coinvolge e la impesta, se non si ha il coraggio di aprire gli occhi. In questo modo, esso parla anche alla gente del nord dell’Italia, dove la mafia sta allargando i suoi tentacoli, per metterla in guardia dal pericolo, che anch’essa corre, di fronte alla convenienza politica di negarne le infiltrazioni.