C’è un mistero che avvolge Gerusalemme, città santa per il Cristianesimo, per l’Ebraismo e per l’Islam, che colpisce chi la visita. È, forse, quel vitale mistero che nasce quando più comunità di esseri umani cercano di integrarsi, senza per questo rinunciare alle proprie specifiche valenze.

Barbara Bonfiglioli 

Là, dove tutti siamo nati

Il mistero di Gerusalemme, all’origine di tre monoteismi

di Luca Bombelli
insegnante di religione e guida in Terrasanta

Rubrica Religioni in dialogo  01 (Luca Bombelli)Città santa per eccellenza

«Anche lo straniero, che non è del tuo popolo Israele, se viene da una terra lontana a causa del tuo nome, perché si sentirà parlare del tuo grande nome, della tua mano potente e del tuo braccio teso, se egli viene a pregare in questo tempio, tu ascolta dal cielo, luogo della tua dimora, e fa’ tutto quello per cui ti avrà invocato lo straniero» (1Re 8,41-43).

In queste parole che Salomone rivolge in forma di preghiera a YHWH durante la cerimonia di dedicazione del primo tempio di Gerusalemme si manifesta la vocazione di questa città all’universalità e al dialogo, alla fratellanza e alla pace, come sembra ribadire il salmista «l’uno e l’altro sono nati in essa e lui, l’Altissimo, la mantiene salda. Il Signore registrerà nel libro dei popoli: là costui è nato» (Sal 87,5-6): proprio in Sion, infatti, anche le nazioni lontane e nemiche di Israele possono scoprire “le proprie sorgenti”, ovvero il principio vitale dal quale sono alimentate e il senso finale della propria esistenza.

Con questa certezza contenuta nelle Scritture e nella Tradizione orale dei figli di Isacco, l’ebraismo è giunto fino al 1948 e, soprattutto, fino al 1967, anno della definitiva occupazione di Gerusalemme, con un desiderio inappagato e lacerante per almeno diciannove secoli, quello cioè di ricongiungersi un giorno nella “Città del grande e unico Re”, luogo santo scelto da Dio per dimorarvi e per attirare a sé tutte le genti.

Allo stesso modo il cristianesimo che si riconosce in tutte le promesse fatte al popolo ebraico e di cui si considera la realizzazione e il compimento non può non ritrovare in questa città gli eventi fondanti e fondamentali del proprio essere, dall’istituzione dell’eucaristia al sacrificio di Cristo sulla croce, dalla sua risurrezione alla nascita della chiesa.

Allo stesso modo Muhammad, strumento di Allah, all’inizio pose la qibla (la direzione della preghiera dei musulmani) orientata verso Gerusalemme (Qumr’an 2,142-150) e sempre da essa, secondo l’interpretazione della Umma, la comunità islamica, sarebbe iniziato il “viaggio notturno” del Profeta che giunse “a un tiro di arco” da Dio (Q 17,1).

Gerusalemme è, dunque, “città santa” per eccellenza e proprio per questo benedetta da una particolare vocazione all’universalismo ma anche gravata da una “maledizione” come la storia millenaria ha dimostrato, quella, cioè, di essere pietra di scandalo, sasso di inciampo per coloro che si sentono attratti da essa. Al centro di interessi politici, religiosi e sociali, Al-Quds (“La Santa”, come viene chiamata in arabo) misura da sempre i cuori e le intenzioni degli uomini e dei popoli, se siano, cioè, aperti al dialogo e alla fraternità o non piuttosto chiusi e arroccati dietro i propri interessi. 

Rubrica Religioni in dialogo 02 (Luca Bombelli)Relazioni con i non cristiani

Tra i frutti più sorprendenti del concilio Vaticano II vi fu la “dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”, Nostra Aetate, che, pur nella sua brevità, segnò una svolta nella riflessione cattolica. In essa leggiamo: «I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra; hanno anche un solo fine, Dio, la cui provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti…» (NA 1), e ancora «Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini se ci rifiutiamo di comportarci come fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati a immagine di Dio» (NA 5).

Tra fratelli ci si ascolta, ci si stringe la mano e si collabora per il bene comune in sincerità di cuore e benevolenza e così deve essere a ogni livello di interrelazione. Quando però il dialogo si basa solo su gesti simbolici o su principi teorici a cui non faccia seguito una concreta azione mirata e compartecipe esso è destinato a fallire.

Durante l’omelia tenuta nella valle di Giosafat Benedetto XVI definì Gerusalemme «microcosmo del nostro mondo globalizzato» affermando che se questa città avesse voluto vivere la sua vocazione universale avrebbe dovuto essere «un luogo che insegna l’universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace» e che «i credenti in un Dio di misericordia, si qualifichino essi ebrei, cristiani o musulmani, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto faticoso e lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati».

Città eterna e divisa, contesa da sempre e in sofferenza per i suoi figli che vi abitano, è oggi al centro del conflitto arabo-israeliano ma anche delle attenzioni mondiali dell’Occidente “cristiano” e del mondo musulmano e sotto il controllo della destra radicale ebraica.

Il dialogo interreligioso, da sempre visto come una strada per la comprensione e la coesistenza tra israeliani e palestinesi, fatica, in realtà, a ottenere risultati concreti a causa di ostacoli che sono perlopiù politici e sociali: e questo non dovrebbe stupire dal momento che il “mistero dell’empietà” (2Ts 2,7) si cela e opera nella storia umana attraverso le dinamiche di potere e di progresso costruendo muri che sono prima di tutto interiori. 

Rispettare i semi seminati da Dio

È proprio qui che si gioca la presenza profetica e caritativa dei cristiani in Terrasanta, una minoranza irrisoria ma chiamata a essere in Cristo strumento di riconciliazione e di pace, perché «per mezzo di Lui possiamo presentarci gli uni e gli altri al Padre in un solo Spirito» (cf. Ef 2,18). Per san Paolo, infatti, il vero mistero è Cristo nel quale «le genti sono chiamate a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo» (Ef 3,6).

E questo non certo facendo affidamento su mezzi umani e sulla presupponenza della verità ma riconoscendo e rispettando i semi di bellezza e di amore che Dio ha saputo spargere in ogni uomo.

Il mistero, nella Terra del Santo, lo si può incontrare nel bambino disabile, generalmente musulmano, che le suore del Verbo Incarnato accudiscono nella casa dell’Hogar a due passi dalla Basilica della Natività a Betlemme. Nelle “donne dei check point”, volontarie israeliane che garantiscono il rispetto della dignità delle donne arabe durante i controlli. Nelle amicizie nate nei decenni passati tra molte famiglie di ebrei e di musulmani e che hanno resistito alle due Intifade e alle propagande del sospetto.

Nella cura della custodia dei luoghi santi da parte delle diverse confessioni cristiane e, talvolta, nelle tensioni e nelle contraddizioni che questa gestione comporta. Nel sorriso dei bambini ebrei di Me’ah She’arim, di quelli musulmani che studiano sulla Spianata delle Moschee, di quelli cristiani di Taybeh… che ancora splendono della stessa innocente luce. Nel fedele che celebra il Giorno della Memoria e dello Yom Kippur e in quello che commemora, invece, il Giorno della Nakba e della fine del Ramadan.

Ovvero in ogni manifestazione dello Spirito che si “incarna” in “tutti gli uomini di buona volontà” indipendentemente dalla provenienza sociale e politica. Questo è il mistero di Gerusalemme: là tutti siamo nati!