Alla luce del bilancio che i cappuccini dell’Emilia-Romagna - in occasione del Capitolo provinciale, tenutosi all’inizio dello scorso mese di maggio - hanno fatto sullo stato dell’arte a proposito della evangelizzazione nella nostra regione, alcune riflessioni sulle modalità di proclamare la buona notizia da Piacenza a Rimini con deviazione verso Pontremoli.

Lucia Lafratta 

Mi fermo, ci penso, riparto

Verifica del progetto di evangelizzazione dei cappuccini dell’Emilia-Romagna

VIA EMILIA E VANGELO 01 (Ivano Puccetti)Bilanci preventivi e consultivi

«Sentinella, quanto resta della notte?». Ora è notte, la notte passerà, verrà il giorno, ancora e ancora. E per i cappuccini dell’Emilia-Romagna, a che punto è l’evangelizzazione sulla via Emilia, da Piacenza a Rimini?

Domanda epocale, che neppure il responsabile della commissione per l’evangelizzazione della provincia cappuccina emiliano-romagnola, fra Dino Dozzi, può dare nella relazione, presentata al Capitolo provinciale tenutosi all’inizio dello scorso mese di maggio, che riassume il percorso fatto nel triennio 2011-2014. Può, però, dire, e forse non è poco, cosa ci si era proposti di fare e cosa è stato fatto. Come in tutti i bilanci consuntivi, si parte dal preventivo, dai propositi fatti al termine del precedente capitolo, obiettivi, metodologie per il raggiungimento, azioni, percentuale di “successo”, per verificare com’è andata.

Quando la redazione di MC ha deciso di dar vita a questa rubrica, con la perplessità di alcuni che, col senno di poi, si sono dimostrati dalla vista più acuta, mi pareva fosse cosa semplice e me ne sono presa cura con allegria. Chiaro quale dovesse o potesse essere l’oggetto della rubrica: esperienze di evangelizzazione lungo la via Emilia, dove sono distribuiti i conventi dei cappuccini. È stato un errore di valutazione crederla impresa facile e scontata. È vero: abbiamo raccontato fatti, esperienze, storie, più o meno interessanti, con maggiore o minore convinzione e interesse. Ad ogni numero, però, emergeva sempre più la domanda, la perplessità: ma cos’è questa evangelizzazione? Tutti ne parlano (è di ottobre 2012 il Sinodo dei vescovi su “La nuova evangelizzazione”), si fanno convegni, si scrivono libri ponderosi e dotti o, più modestamente, articoletti di giornale. Ma l’impressione, a volte, è che, dicendo e spiegando ad altri, si cerchi di capire e comprendere e far luce dove luce non c’è. 

VIA EMILIA E VANGELO 02 (Ivano Puccetti)Iniziative

Dalla relazione emerge un bilancio positivo, che può essere così riassunto: «Tra I dieci comandamenti, le Parole francescane, il Festival Francescano, le nostre quattro missioni ad gentes, Messaggero Cappuccino, i camper, l’animazione missionaria e giovanile, l’accoglienza in molti nostri luoghi oltre le nostre presenze nelle nostre chiese, negli ospedali, nelle parrocchie, abbiamo effettivamente molta carne al fuoco, e anche di buona qualità e aperta al futuro».

Dietro ognuna di queste modalità di stare tra la gente per dire la buona notizia, ci stanno persone che hanno molto lavorato, persone che, soprattutto, hanno incontrato persone. E solo quel Dio che viene annunciato conosce quali frutti sono nati o nasceranno dall’incontro; dove accadrà, se accadrà, chi li può vedere, su quale piatto di quale bilancia li può pesare? Il cuore che si sente salvato, l’uomo che intravede, faticosamente, la possibilità di vedere il mondo come lo vede Dio, come lo si riconosce? Non cammina tra la gente con un cartello appeso al collo, né un tesserino di riconoscimento appuntato sul petto; i cuori di pietra cambiati in cuori di carne non si piantano né si contano e pesano come i pomodori al mercato.

Nei sistemi di valutazione della performance, alcuni così sofisticati che necessitano di altrettanto sofisticatissimi software di gestione, ci sono indici, grafici, percentuali, numeri che, incrociati con altri numeri, dicono l’efficienza del sistema, dei singoli che ci stanno dentro e lo fanno funzionare. L’indice della performance dell’evangelizzatore è verificato in luogo inaccessibile, quasi quanto quello delle pubbliche amministrazioni, va interpretato, rivisto ogni volta che un volto si apre al sorriso e un cuore alla speranza, ogni volta che un uomo si inginocchia per riconoscersi parte di un tutto più grande di lui, non misurabile, non governabile. I sistemi di valutazione e i metodi per misurare il raggiungimento degli obiettivi sono adattati ai tempi, alle circostanze, alle persone coinvolte e, spesso, una volta definiti, classificati, faticosamente applicati, verificati, ci si accorge di quanto già fossero obsoleti e inadatti fin dall’inizio.

Meglio lasciare i pochi frati, sempre meno numerosi e sempre più vecchi, in piccole o piccolissime fraternità, sparsi sul territorio per non spegnere la piccola fiammella, mandarli liberi, come pellegrini e forestieri, servendo al Signore in povertà e umiltà? O meglio riunire fraternità più consistenti nei sempre troppo grandi conventi, secondo ritmi e stili “antichi”, per una vita fraterna scandita da comuni e ben strutturati momenti di preghiera e condivisione, dal lavoro domestico, dalla cura dell’orto, dall’accoglienza a chi bussa alla porta del convento (in tempi e modi stabiliti), secondo le indicazioni dei superiori dell’Ordine dei frati minori cappuccini? Andare per le strade, con sandali e bisaccia, lasciando che sia la provvidenza a decidere gli incontri, i luoghi, i tempi o restare in convento lasciando che sia la vita fraterna ad essere segno della bella notizia dell’amore di Dio per gli uomini? Come sempre, nella storia personale come in quella collettiva, purtroppo o per fortuna, saranno i posteri a rendere l’ardua sentenza.

Nel raccogliere queste brevi riflessioni, balza all’occhio l’assenza dei laici, sempre pronti a indicare ai frati la strada della “corretta” evangelizzazione, meno pronti a riconoscere a se stessi il medesimo compito di annuncio. Certo, in forme, luoghi, tempi diversi - inutile negarlo, l’abito fa il monaco per strada e in mezzo alla gente - ma chiamati allo stesso impegno. Perché l’annuncio non è compito esclusivo di chi porta un abito da religioso o una talare da sacerdote, come se fosse un lavoro dato in appalto a ditte specializzate nella materia o un lavoro di esclusiva pertinenza di specialisti in Dio, Gesù e affini.

Mettercela tutta

Per concludere questa rapida e inevitabilmente superficiale riflessione post capitolare lungola Via Emilia& Vangelo, le parole di fra Matteo Ghisini, provinciale riconfermato per il prossimo triennio, poste a conclusione della sua relazione: «72.807: sono i chilometri fatti dalla mia Panda gialla. Molta è stata la strada che ho percorso, ma credo che tutti noi in questi tre anni abbiamo camminato. Il mio servizio mi ha portato spesso in giro: visite fraterne nei conventi, assemblee, incontri interprovinciali, viaggi all’estero nelle missioni, incontri in giro per l’Italia, partecipazione al Capitolo generale del 2012.

Appena fui eletto a Gaiato nel 2011, fra Felice Cangelosi, allora vicario generale dell’Ordine, mi lesse una specie di decalogo in cui si tracciava quali dovevano essere le attenzioni del buon provinciale. Ho fatto esperienza del grano buono (i miei talenti); e ho fatto esperienza anche della zizzania (il mio peccato).

Posso dire che il Signore mi ha sostenuto e sorretto, incoraggiato. Non so quanto sia riuscito a praticare quel decalogo. So questo: intorno a me ho avuto persone che mi hanno voluto bene, mi hanno stimato; e hanno avuto pazienza con me. Ho provato a fare questo anch’io con tutti voi. A volte ci sono riuscito, a volte no. Quello che posso dire è che ce l’ho messa tutta».