Fioretti cappuccini

Rubrica in Convento Come padre Marcellino 01 (Archivio Provinciale)Come frate Marcellino perse il pesce

Fare il cuoco nel convento di Comacchio non era un’impresa impossibile, anche quando si era a corto di viveri e si doveva, volenti o no, riempire i piatti dei frati di qualcosa da mettere sotto i denti.

Quando le tasche del superiore non intendevano aprirsi, o erano vuote, era sufficiente portarsi nella vicina Porto Garibaldi per trovare pesce a buon mercato, che a più buon mercato non poteva, cioè a costo zero. I pescatori erano generosi con i frati, dai quali ogni anno andavano a deporre il peso delle loro scappatelle, nulla di particolarmente grave, se non qualche donnina e qualche bugia sulla qualità del pesce pescato. Su tutti i frati conoscevano bene frate Marcellino, il cuoco del convento, maestro nel cucinare il pesce e particolarmente ghiotto di quella prelibatezza. Il gatto della cucina con lui non faceva grandi affari, nonostante imploranti miagolii e sfregatine contro le gambe del frate.

Un giorno, di mattino presto, frate Marcellino salì su una lambretta, che tanti chilometri aveva nelle ruote, e raggiunse Porto Garibaldi. Sul sellino aveva legato una cassetta di legno, di quelle usate per la frutta, dove avrebbe collocato il pesce. Gli amici pescatori, appena tornati dal mare aperto, gli diedero una buona quantità di pescato e lui ripeteva: «Speciale! Speciale!», annusando l’aria satura del profumo del mare. Terminati i convenevoli e caricato il pesce, rimontò sulla lambretta e riprese la via del convento. Quando vi giunse, ebbe un’amara sorpresa: la cassetta, certamente fissata alla bell’e meglio, si era persa per la strada con il pesce. Aveva, sì, notato durante la corsa un piccolo sbandamento, ma era stato solo un attimo perché subito dopo il motore si era messo a cantare ancor meglio. Frate Marcellino non si fece prendere dallo sconforto. Legò un’altra cassetta alla Lambretta e si diresse verso Porto Garibaldi, certo che i pescatori gli avrebbero dato una mano, cioè altro pesce.

Quando giunse al porto, si avvide che i pescatori avevano terminato di sbarcare tutto il pescato e che già stavano pensando a un altro ritorno in mare aperto. «Questa volta i frati dovranno fare digiuno», disse frate Marcellino dentro di sé. Tuttavia, forte del tentar non nuoce, raccontò ai pescatori la sua disavventura. Il capo pescatore fece una risata e, così, per scherzo, gli buttò là una proposta: «Fratino, perché non viene con noi a pescare?». Frate Marcellino, inizialmente sorpreso, fece i suoi calcoli: l’ora non era tarda e sarebbe tornato in convento giusto in tempo per cucinare. E poi la tentazione di una gita in mare era troppo forte, tanto che, dopo un attimo di incertezza, non ebbe alcun dubbio. Assicurò con una catena la lambretta a un palo della luce e salì in fretta sulla barca. Era una barca molto grande, a occhio una ventina di metri, su cui era imbarcata una decina di pescatori. Frate Marcellino manco pensava che la pesca non fosse come un lavoro sulla terra ferma, dove si lavora a ore, quando, invece, il mare ha i tempi lunghi anche giorni, che scorrono lenti come le onde.

La barca prese il largo, e frate Marcellino si lasciava accarezzare il volto dal vento, mentre il potente motore del natante brontolava sordo sotto di lui. La linea di terra si faceva sempre più lontana, e quando frate Marcellino vide solo l’azzurro del mare e del cielo, cominciò a preoccuparsi. «Quando torneremo?», chiese a un pescatore. «Fratino, ci vorranno almeno tre giorni prima di fare ritorno, solo dopo che avremo riempito questo barcone di pesci». «Ah!», fece frate Marcellino, pensando al frate guardiano del convento, che quell’assenza non l’avrebbe presa per niente bene e, non vedendolo tornare, lo avrebbe giudicato anche “frate fuggitivo”. Gli venne in aiuto il capo dei pescatori: «Non si preoccupi, fratino, avviseremo via radio i carabinieri, che vadano a dirlo in convento». «Ah!», fece ancora frate Marcellino, e scacciò tutti i cattivi pensieri che gli passavano per la testa. Così si diede anche a lui a dare una mano ai pescatori nel selezionare il pescato e riporlo poi in grandi congelatori. Venne l’ora del pranzo e poi della cena: pesce fritto sul momento, gettato ancora saltellante nell’olio bollente, pane e vino boscone. «Una bontà!», ogni tanto si lasciava sfuggire il fratino. Poi finalmente, al buio del cielo e del mare, tutti a dormire. Frate Marcellino fece sogni alquanto agitati, ma quando risentiva l’odore e il sapore del pesce gustato a pranzo e a cena tutto cambiava, e gli sembrava di essere sotto un cielo di stelle a forma di pesci.

Il giorno dopo, di buonora, tutti al lavoro, Marcellino compreso. Pesce, pesce, e ancora pesce, sia nelle reti che nei piatti. La cosa andò avanti per tre giorni, finché i congelatori non furono finalmente pieni. Così la barca riprese la via del ritorno nel pieno della notte, per attraccare al porto nel primo mattino. Frate Marcellino scrutava l’orizzonte ancora immerso nel buio, in attesa di scorgere le luci della spiaggia, e già pensava alla resa dei conti al suo arrivo in convento. Il capo dei pescatori, intuendo il suo cruccio, lo rassicurò: «Dica al suo padre guardiano che di pesce ce ne sarà sempre per lui!». Un modo per dire che non bisogna mai disprezzare la Provvidenza, sempre imprevedibile nel presentarsi. Finalmente comparve in lontananza una linea nera punteggiata di luci, che, con il passare delle ore, si faceva più marcata, ma soprattutto più vicina.

Quando la barca arrivò al porto, cominciava appena a farsi giorno. Frate Marcellino scese con un grosso sospiro dalla barca, non mancando di fare calorosi ringraziamenti al capo dei pescatori, che ricambiò con una generosa quantità di pesce. Così, recuperata la Lambretta e assicuratosi che la cassetta questa volta fosse ben fissata, si diresse lentamente verso il convento, pensando e ripensando alle parole di giustificazione che avrebbe potuto dire. Ad attenderlo sulla porta non c’era nessuno, ma quando entrò in cucina, si imbatté nel frate guardiano, che stava preparandosi la colazione con caffè e latte. Frate Marcellino si aspettava quanto meno una sfuriata, ma si sentì solo dire: «Oh, ben tornato, il pescatore!». Così non furono necessarie altre parole, ma ci pensò il pesce deposto sul tavolo a parlare per lui. La cosa finì lì, perché ormai la collera del frate guardiano aveva avuto tutto il tempo di sbollire. Chi non sa che il tempo guarisce più del medico?

Così frate Marcellino per il pranzo di mezzogiorno presentò nei piatti tanto ma tanto pesce che i frati del convento dimenticarono i giorni di magra precedenti e ricordano ancora tutto quel ben di Dio venuto dal mare al seguito di frate Marcellino.