Mistero della fede

La preghiera eucaristica, espressa dall’assemblea, deve far memoria della Pasqua di Cristo

di Matteo Ferrari,
monaco di Camaldoli

Ferrari 01Nelle preghiere eucaristiche del Messale Romano uscito dalla riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, dopo il racconto dell’ultima cena, cioè dell’istituzione dell’eucaristia da parte di Gesù nell’imminenza della sua passione, troviamo una acclamazione dell’assemblea introdotta dalle parole di chi presiede: «Mistero della fede!». L’espressione era presente nel Canone romano (Preghiera eucaristica I) anche prima della riforma liturgica del Vaticano II, tuttavia non introduceva una acclamazione dell’intera assemblea, ma era inserita nel testo della preghiera. Con la riforma essa viene recuperata per introdurre un elemento importante dal punto di vista celebrativo: un intervento di tutta l’assemblea, possibilmente in canto, che segue al racconto istituzionale.

Che senso dare a questa espressione? Spesso si corre il rischio di considerarla semplicemente una espressione di meraviglia e di stupore davanti alla “consacrazione” del pane e del vino. Ma è proprio questo il suo significato? Per comprendere meglio questo passaggio della celebrazione eucaristica occorre fare tre passi: prendere in considerazione i termini usati; tener conto del punto della celebrazione nel quale ci troviamo; far riferimento al testo della acclamazione che segue.

Mistero

Innanzitutto occorre brevemente e semplicemente considerare il termine “mistero”. Nel linguaggio comune “mistero” indica qualcosa che non si può capire e conoscere. Quando noi diciamo «è un mistero», vogliamo dire che si tratta di una realtà di cui non siamo in grado di comprendere il senso e la ragione. Ma nel linguaggio biblico e liturgico mistero indica un’altra cosa ed è un termine fondamentale. Il termine mistero indica la storia della salvezza, gli eventi della storia nei quali Dio si è mostrato come salvatore. Potremmo dire che mistero è il senso della storia visto con gli occhi di Dio. Certo è un senso da scoprire, da discernere, ma certamente non corrisponde a qualcosa che semplicemente è incomprensibile, inspiegabile. Nel linguaggio paolino, ad esempio, il termine mistero «non indica qualche evento futuro nascosto nel disegno di Dio, ma l’azione decisiva di Dio in Cristo qui e ora» (Peter O’Brien). 

Ferrari 02In quale punto della celebrazione

Nella preghiera eucaristica e nella liturgia in genere questo termine indica quindi un evento di salvezza. Ma quale precisamente? Ci troviamo al termine del racconto istituzionale e prima del settore della preghiera eucaristica chiamato “anamnesi-offerta”. È il momento nel quale la liturgia eucaristica definisce se stessa. Si fa il rendimento di grazie (Prefazio), che termina con il canto del Sanctus, si racconta ciò che Gesù ha detto e i gesti che ha compiuto durante l’ultima cena con i suoi discepoli e poi si afferma che ciò che la Chiesa compie celebrando l’eucaristia si fonda sul suo comando «fate questo in memoria di me». In questo punto si inserisce l’acclamazione introdotta dalle parole «mistero della fede». Qual è l’evento della salvezza al quale l’assemblea acclama con il canto? È l’ultima cena che Gesù ha celebrato con i suoi discepoli, consegnando loro il mandato di ripetere i suoi gesti e le sue parole per custodire in mezzo a loro la sua memoria.

L’evento di salvezza al quale ci si riferisce è in primo luogo in questo contesto della celebrazione sia l’ultima cena di Gesù, che l’eucaristia della Chiesa, che viene celebrata fondandosi sul comando del Signore «Fate questo in memoria di me».

Ogni volta

Tuttavia potremmo chiederci come è possibile affermare questo. In che senso la celebrazione della Chiesa è evento di salvezza qui ed ora per coloro che la vivono e che ripetono i gesti e le parole di Gesù dell’ultima cena per custodire tra di loro la sua memoria? La risposta la possiamo trovare nel testo dell’acclamazione che l’assemblea intera canta. Il Messale Romano propone tre possibilità di acclamazione dell’assemblea: 1) «Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta»; 2) «Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta»; 3) «Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo». Come possiamo notare, tutte e tre le proposte fanno riferimento all’evento della Pasqua di Gesù (morte e risurrezione), mentre due su tre (la prima e la seconda) aggiungono anche il ritorno del Signore, la sua venuta. Il testo dell’acclamazione quindi collega la cena di Gesù e la celebrazione della Chiesa che si fonda su di essa, all’evento pasquale, del dono della vita di Gesù in croce e della sua risurrezione.

In particolare ci possiamo fermare sulla seconda proposta del Messale che è tratta dalla Prima Lettera ai Corinzi di Paolo: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11,26). L’Apostolo ha appena terminato di raccontare l’ultima cena di Gesù ai destinatari della sua Lettera e «nel suo breve commento alla tradizione eucaristica mette in risalto questo aspetto della presenza attuale del Signore nella comunità riunita per fare la cena in sua memoria. Essa annuncia con i gesti e le parole di Gesù la sua morte nell’attesa e speranza della sua venuta finale» (Rinaldo Fabris). Paolo dice ai corinzi il senso della loro celebrazione dell’eucaristia, sottolineando la comunione con la morte e risurrezione del Signore nell’attesa della sua venuta. “Annunciare”, “proclamare” non sono verbi che si riferiscono unicamente ad un’azione verbale, ma a ciò che avviene nella vita dei credenti ogni volta che celebrano l’eucaristia. 

In memoria di me

Questo è il senso di ogni nostra celebrazione della Cena del Signore e questo è il «Mistero della fede» al quale l’assemblea acclama dopo il racconto istituzionale. Non si tratta quindi di un’espressione di stupore per la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, ma per l’evento di salvezza che accade nella nostra vita di singoli e comunità ogni volta che mangiamo il pane e beviamo al calice della cena di Gesù. Questa acclamazione per noi, come per i corinzi ai tempi di Paolo, è qualcosa di più di una espressione di meraviglia. Deve essere da una parte una costante lode al Padre per ciò che opera nella nostra vita in Cristo Gesù, ma anche un esame di coscienza sul nostro modo di celebrare l’eucaristia e di custodire la memoria del Signore in modo conforme alla sua Pasqua.