Il diagramma del mistero
Ottimismo e pessimismo, presenza e assenza di Dio individuano i possibili approcci all’esistenza
di Giancarlo Biguzzi
docente di Esegesi neotestamentaria al Pontificio Istituto Biblico
La grande Via Lattea
Gli infiniti modi di guardare la storia e di interpretarla si possono, semplificando, ridurre a quattro: due vedono la storia dell’uomo alle prese con se stesso senza alcuna apertura verticale verso Dio perché Dio non esiste, e gli altri che vedono Dio come grande cibernauta della storia. Si può cominciare la rassegna con il nichilismo, secondo il quale l’uomo vive nel nulla e va verso il nulla: l’orizzonte della storia è cupo, la vita umana è senza senso e assurda, senza meta e quindi senza il minimo barlume di speranza. La visione marxista della storia è invece più ottimistica ed è anche più responsabilizzante. Dio non c’è e dunque nulla ci si può aspettare da quella direzione, ma si deve combattere per fare giustizia, e la lotta di classe è la via per estirpare dalla storia la sopraffazione. Insomma: il paradiso è in terra, come si diceva ai bei tempi del marxismo militante, e tocca a noi costruirlo.
La visione giudaico-cristiana invece sente di non potere pensare la storia se non come una grande Via Lattea, popolata da uno sterminato numero di singoli e popoli, di lingue e di culture che, lungo i secoli e i millenni, da Dio vengono e a Dio vanno. All’interno di questa visione religiosa della storia però c’è una differenza che può essere esemplificata con le apocalissi giudaiche, da una parte e con l’apocalisse cristiana, l’ultimo libro delle nostre bibbie, dall’altra. Anche qui si ripete lo schema dialettico in cui, riguardo alla storia, si contrappongono pessimismo e ottimismo.
Dio ha ritirato la sua mano dalla storia e ha abbandonato il mondo nelle mani dei nemici del suo popolo, o addirittura nelle mani degli angeli ribelli e, comunque, in balia delle forze del male. Il Quarto Libro di Esdra (100 d.C. circa) giunge ad affermare che per il genere umano sarebbe stato meglio non essere mai stato creato (4 Esdra 7,116) e che le bestie sono più fortunate degli esseri umani (7,65-67). L’autore preferirebbe non essere mai nato, affinché gli fosse risparmiato ciò che è accaduto (4,12): tutto il contesto parla degli eventi terribili del 70 d.C., e cioè della distruzione di Gerusalemme e del tempio da parte degli eserciti romani, e della dispersione degli Israeliti al di fuori della terra dei Padri.
Luogo della divina redenzione
Come questa, anche le altre apocalissi giudaiche sono sì ottimistiche circa il futuro nel quale Dio porrà fine a questo mondo che è tutto posto nel maligno, come dice anche uno scritto cristiano (1Gv 4,19), ma sono pessimistiche circa la situazione presente: Dio non è più attivo nella storia dal punto di vista salvifico così che in questo tempo non ci si deve aspettare alcun sollievo fino a che non giungerà l’intervento finale di Dio.
Tutta l’apocalisse di Giovanni dice invece, in modo netto, che la storia è il luogo della divina redenzione. Lo dice soprattutto nei capitoli 4-8, nei capitoli del rotolo e dell’Agnello, che sono uno dei testi più belli in assoluto, non solo del Nuovo Testamento, ma di tutte le Scritture. In Ap 4 il veggente è invitato a salire in cielo ed è ammesso alla divina Presenza (4,1-6). Là, nelle mani del tre volte Santo circondato dall’adorazione di tutta la corte celeste (4,8-11) egli vede un rotolo, scritto davanti e dietro, perché traboccante di messaggi (5,1). Se è sulla mano di Dio, il rotolo non può contenere se non le sue volontà, così che al lettore sorge vivissimo il desiderio di venire a conoscenza dei decreti divini. La solennità e la serenità della scena, però, subito si guastano perché nel racconto di Giovanni insorge la “complicazione”: del rotolo, infatti, è impedita la lettura perché è chiuso con sette sigilli.
Un angelo, allora, convoca dalle tre regioni del cosmo (cielo, terra e inferi) chi mai sia capace e degno di aprire il rotolo e di portare a conoscenza il suo contenuto. Sia gli esseri celesti, sia la sterminata famiglia umana, sia infine gli eroi e i santi del passato che ora sono nel regno dei morti, tutti sono dunque destinatari del contenuto del rotolo, che parla di loro e della loro storia. «Ma - dice amaramente Giovanni - nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo» (5,3).
La storia tribolata e pasquale
La reazione di Giovanni è quella dello sconforto e del pianto scomposto: il verbo non è dakryein (lacrimare), ma è klaiein e comporta grida e gesti come il percuotersi la testa o l’anca: «Io piangevo (èklaion, all’imperfetto dell’azione durativa) molto (polý), perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo» (5,4). Lo sconforto di Giovanni è il nostro stesso sconforto, perché anche a noi capita di ritrovarci incapaci di leggere nel libro di Dio.
A Giovanni però viene detto: «Non piangere più», e il motivo è che il leone della tribù di Giuda ha vinto e in forza della sua vittoria romperà i sigilli del rotolo (5,5). Il leone è simbolo di forza e, subito dopo, alla forza si aggiunge l’innocenza perché, invece di un leone, Giovanni vede un Agnello (5,6): e l’Agnello è, secondo solo a Dio, il grande protagonista dell’Apocalisse. È ferito a morte, ma si erge vittorioso sulla morte perché è il Cristo pasquale, potente come dicono i suoi sette corni e forte dello Spirito di Dio come dicono i suoi sette occhi: «Poi vidi […] un Agnello, in piedi, come immolato. Aveva sette corni e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra» (5,6).
Al suono di quelle parole si accende una liturgia a più voci che canta la pasqua del Cristo-Agnello: egli è degno e capace di aprire il rotolo perché con il suo sangue ha redento un popolo senza confini etnici e ha dato ad ogni redento la dignità regale e sacerdotale affinché la vita sia fatta di dignità, di lode e di offerta di sé stessi a Dio (5,8-14).
Poi l’Agnello apre il primo, il secondo, il terzo e tutti i sigilli, così che tutta la storia umana e cosmica è dalla sua pasqua illuminata: in essa c’è il martirio (6,9-11) e c’è la tribolazione (7,14), ma chi candeggerà (!) le proprie vesti nel sangue dell’Agnello (7,14) da lui sarà condotto alle acque di vita (7,17a), alla tenda al cui riparo Dio abiterà con i suoi popoli (7,15; 21,3) e asciugherà ogni loro lacrima (7,17b; 21,4).
La storia è tribolata, ma pasquale - dicono le immagini dell’Apocalisse -, e nulla in cielo, in terra e nel regno dei morti, se non la pasqua, è in grado di dare alla storia, già ora, un senso e una luce.