Un dialogo da approfondire

Caro Gilberto,

ho letto con sorpresa l’articolo Alla ricerca del Concilio perduto in MC 01 2014, pp. 52ss. Ho fatto indagini e non ho trovato tracce di richiesta, forse è andata persa fra i tanti messaggi che arrivano. Mi ha stupito ancor di più il sottotitolo: «Dopo soli cinquant’anni, non è facile trovare tracce del Vaticano II». Nel 2007 è stato pubblicato dall’EDB un grosso volume di 520 pagine Il Vaticano II in Emilia-Romagna. Apporti e ricezioni in cui ogni diocesi della regione fa una riflessione sulla ricezione. Il Concilio Vaticano II ha dato un messaggio a lunga gittata nel tempo. Ritengo questo sia il tempo favorevole per applicarlo pienamente. Per mezzo secolo siamo stati abbagliati dal mito del benessere economico, ma la crisi economica ha dimostrato che il progresso materiale non è infinito, e ci costringe a riflettere profondamente sull’impostazione della nostra società più protesa sull’avere che sull’essere, più sullo sfruttamento del creato che alla sua custodia, più al bene individuale che al bene comune, più attenzione all’immanente che al trascendente.

La celebrazione della liturgia in lingua corrente, la strutturazione dell’assemblea liturgica, la Bibbia tradotta ad uso dei fedeli sono i segni più evidenti di un rinnovamento. La Chiesa imolese ha celebrato il 22° Sinodo riflettendo sulle quattro Costituzioni conciliari. Duecento sinodali vi hanno partecipato giovani e adulti, si sono impegnati a progettare le applicazioni del Sinodo nella Chiesa e nel mondo in cui vivono. Gli incontri di dottrina sociale della Chiesa, in corso, portano a riflettere sul compito dei battezzati nella Chiesa e nel mondo, e sul ruolo dei presbiteri come formatori e animatori dei laici. Va continuamente richiamata l’azione della Chiesa come presenza di Cristo che porta la salvezza all’umanità di questo tempo. Il Vaticano II ha una Parola illuminante per i vari e gravi problemi emergenti e noi cerchiamo di coglierla e applicarla. Stiamo facendo due anni di catechesi diocesana sul Credo a partire dall’anno della fede, sulla guida del catechismo della Chiesa Cattolica, in cui stiamo riscoprendo l’origine e il fine della nostra vita. Anche il catechismo suddetto è un frutto del Vaticano II e un aiuto per viverlo.

Il Catechismo fatto ai fanciulli ha da quarant’anni un taglio esperienziale e svolto in un periodo di sei anni circa, ben diverso dal catechismo di Pio X. Quasi tutti i genitori italiani chiedono i sacramenti per i loro figli, una parte di essi sta chiedendo aiuto ai parroci e ai catechisti ad educare i propri figli al vangelo. In questa società postsecolare sconnessa e contraddittoria molte persone chiedono aiuto alla Chiesa per il nutrimento materiale ma anche spirituale. Per dare una risposta a questi problemi il Vaticano II è molto attuale, anzi oserei dire: è questo il tempo favorevole.

Per gli altri aspetti consigli pastorali ecc. rimando al già citato volume.

Trovo discontinuità fra titolo e sottotitolo, e la domanda. A questo punto mi chiedo che cosa manca per la piena applicazione del Vaticano II? Rispondo: vivere nella Chiesa come presenza salvifica di Dio e che i battezzati vivano da salvati e diventino essi stessi portatori di salvezza.

Questa lettera la mando come un veloce lettore di MC e informato dei fatti.

Auguri e buon lavoro.

don Giovanni Signani - Imola

Caro don Giovanni,

ho apprezzato molto la sua lettera, che già di per sé è il segno che la tematica del Concilio è meno “perduta” nell’orizzonte ecclesiale di quanto io abbia potuto vedere. Me ne rallegro molto. Il volume che lei citava lo conosco molto bene e me lo sono guardato tutto e letto in quasi tutte le parti. Però, ad essere sincero, solo in un caso le indicazione del libro hanno portato a poter porre attenzione a situazioni concrete e specifiche in cui il Concilio ha mostrato la sua capacità rinnovativa sul tessuto ecclesiale, in cui, ancora oggi, sia possibile rintracciare non solo la forma del Concilio, ma la sua ispirazione.

Certo i consigli presbiterali e pastorali sono presenti in tutte le diocesi della regione. I convegni dedicati al Concilio pure, anche se negli ultimi anni la loro frequenza sta scemando. E di sicuro ogni celebrazione liturgica mostra in tutta la sua evidenza il segno della riforma conciliare. La Bibbia è tradotta in lingua corrente, e anche nei dialetti della regione, ormai. E in ogni mezzo di informazione la presenza dei cattolici non manca. Questi sono indici innegabili di un cambiamento che la Chiesa ha compiuto in questo ultimi cinquant’anni.

Eppure quando mi capita di poter toccare con mano la concretezza di questi indici, cioè il reale vissuto ecclesiale di chi ci sta dentro, me compreso, non posso fare a meno di fare i conti con alcune domande che quasi sempre salgono spontanee. Non sono prete, ma ne conosco tanti e non solo della mia diocesi. E devo dire che la loro esperienza dei consigli presbiterali arriva sempre lì, ed è molto simile a quella di tanti laici che vivono i consigli pastorali: ma perché stiamo qui a perdere tempo se le cose sono state già decise? A che serve raccontare il nostro vissuto di Chiesa, in cui far crescere il vangelo, se regolarmente le scelte pastorali che si fanno non ne tengono conto? Certo trovo anche quelli che vivono questi organismi come una bella occasione di comunione presbiterale o laicale. Ma pochi li percepiscono come luogo in cui si sostiene e coadiuva il vescovo nella formazione delle sue decisioni pastorali.

La Bibbia in lingua corrente. Almeno una copia è presente in più della metà delle famiglie italiane. Anche se il trend di questo indice sta scendendo, da qualche anno a questa parte. Ma come mai i genitori che incontro per lavoro, non conoscono della Bibbia cose assolutamente elementari? Senza nemmeno tentare di aprire la questione della conoscenza dei significati. E lo stesso vale per i miei studenti. E le assicuro che per molti di loro, anche la semplice lettura in classe di alcuni passi dei vangeli, notissimi fino a qualche anno fa, è una vera e propria sorpresa.

La rivoluzione liturgica. Come mai sono molti anni in cui non partecipo più a eucarestie le cui preghiere dei fedeli sono davvero dei fedeli? In cui il loro reale vissuto sostanzia quella preghiera, anche se magari è fuori dai canoni previsti dai liturgisti? Come mai, sempre più raramente i fedeli che partecipano alla messa lo fanno in termini “comunitari”, cioè con l’atteggiamento di chi vuole vivere la fonte e il culmine della propria fede assieme agli altri credenti?

Tutto questo ovviamente è detto non in riferimento alla sua diocesi, ma, in linea generale, della Chiesa Italiana. Conosco poco la sua diocesi e perciò la ringrazio di avermi permesso di sperare che essa possa rappresentare una diocesi in controtendenza, rispetto al quadro nazionale. Ci farebbe molto piacere se fosse possibile la segnalazione da parte sua di una esperienza significativa nella diocesi di Imola su cui poter, prossimamente, mettere l’attenzione di “Fatti di Concilio”.

Con stima

Gilberto Borghi