In compagnia dell’anello
L’utopia raggiungibile di chi segue la propria chiamata
di Paolo Gulisano
scrittore
Il religioso radicato alla storia
Il Signore degli Anelli pubblicato sessant’anni orsono da John Ronald Reuel Tolkien, professore di Filologia a Oxford e autore per passione di libri di letteratura fantastica, è ormai riconosciuto come un grande classico del Novecento.
Solo una critica malevola ha cercato di ridurre la portata di quest’opera che si potrebbe definire neo-epica alla dimensione ristretta di un romanzo per ragazzi. In realtà si tratta di un libro che possiede una visione epica e mitologica accostata ad una teologia della storia. Come ebbe a spiegare l’autore stesso, «Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione. Questo spiega perché non ho inserito, anzi ho tagliato, praticamente qualsiasi allusione a cose tipo la «religione», oppure culti o pratiche, nel mio mondo immaginario. Perché l’elemento religioso è radicato nella storia e nel simbolismo». (J.R.R.Tolkien, H. Carpenter, C. Tolkien (a cura di), La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Rusconi, Milano 1990, p. 195).
Il grande scrittore inglese, che come abbiamo letto era permeato di un profondo senso religioso, attinto direttamente alla scuola del beato cardinale Newman, nel romanzo non esplicita mai le preoccupazioni derivanti dal male con teorie filosofiche o morali, ma parla al cuore degli uomini con il linguaggio del mito e della fiaba, ricordando loro l’esistenza di cose belle e di un bene da perseguire. Così lo spiegava anche a suo figlio Christopher, chiamato ad arruolarsi nell’esercito durante
Un cammino per tutti
L’impresa narrata nella storia che ha sullo sfondo
Il ruolo di Frodo, rivestito anche dagli elfi, è invece quello di testimonianza esemplare: con la sua stessa vita, le debolezze, le difficoltà mostra la via da percorrere per arrivare a compiere il bene personale ma soprattutto quello degli altri. Egli però, alla fine della sua missione, sta per cedere alla tentazione di tenere l’Anello per sé dopo così tante fatiche, ma Gollum, quasi come una sorta di intervento della Provvidenza, gli si scaglia addosso strappandogli l’Anello (che da sempre voleva riprendere per sé) e precipitando nelle fiamme del Monte Fato.
La grazia che ferma il male
Il compito della vita è quello di sanare ciò che è malato, elevando così il proprio spirito, riconciliando la propria natura con quel dono proveniente dal divino definito “grazia”.
Il modello che meglio incarna tutto ciò è sicuramente quello degli elfi: creature non del tutto perfette e non del tutto immuni da difetti, ma che incarnano le maggiori virtù e sono le più dotate rispetto all’arte (che Tolkien ha sempre visto come “sub creazione”, cioè realizzazione di opere a immagine di Dio e della sua creazione). Nessuno più di loro infatti persegue le virtù naturali di lealtà, fedeltà, onore, rispetto ed amicizia. Vivono in perfetta armonia con la natura e quindi sembrano ricordare agli uomini la bellezza del creato e sono inoltre testimoni dell’arte, della cultura e di una civiltà elevata e virtuosa. Nella teologia medievale la bellezza sensibile era considerata come riflesso, come traccia di Dio, che ne può favorire la percezione. Tolkien riprende quest’idea di bellezza come luce della forma e splendore della verità: diventa così grazia Galadriel, la dama degli elfi, la cui figura, come l’autore confermò all’amico padre Murray, può essere accostata a quella della Vergine Maria. Entrambe sono consolatrici, misericordiose ed elargiscono buoni consigli. Abbiamo così il tema della Grazia che permea tutta l’opera tolkeniana in generale e che ci viene rivelata attraverso il linguaggio simbolico del mito. La grazia è ciò che può fermare il male.
L’Unico verrà infine distrutto tra le fiamme del Monte Fato, mettendo così fine al dominio e alla potenza di Sauron. Egli comunque non era che una semplice manifestazione del Male, e l’Anello un semplice oggetto forgiato da egli e di conseguenza, anche una volta sconfitto l’Oscuro Signore e l’Anello distrutto, il Male non sarà debellato del tutto, come viene chiaramente profetizzato da Gandalf: «l’ombra sorgerà di nuovo ma non succederà più […] che un demone malvagio si incarni in un nemico fisico; l’Ombra influenzerà gli uomini, e creerà i mezzi-diavoli e le divinità imperfette».
Con grande realismo, un realismo decisamente cristiano, Tolkien conclude la sua epica dicendoci che “altri mali verranno”, che la lotta con il male non avrà termine se non con il giudizio finale. Ma il compito che tocca a noi, a chi vive qui ed ora tra le varie traversie del mondo e di noi stessi, è «lasciare a chi verrà dopo di noi terra buona da coltivare, estirpando il male dai campi che conosciamo». Non un’utopia, dunque, ma un compito concreto, realistico, possibile per ognuno. Non c’è bisogno di essere dei supereroi per farlo, ma solo persone che seguono una chiamata.
Dell’Autore segnaliamo il volume:
Il mito e la grazia
Àncora, Roma 2007, pp. 224
e il sito personale:
www.paologulisano.com