Una questione da niente

Vincere il male assumendolo e allontanandolo

di Aimone Gelardi

dehoniano, moralista

 

Gelardi 01 (Tonino Mosconi)Esimi colleghi

Credo che, da giovane, Giuseppe De Carlo abbia frequentato alcuni dei miei corsi di teologia morale. Quanto a Giancarlo Biguzzi, mi pare di avere firmato con lui un contratto per uno studio sui settenari dell’Apocalisse, o sul silenzio e il velo... Direte «cosa c’entra?».

Ebbene stamani mi sono sorpreso a invidiarli, non per la loro competenza biblica, ma perché in questo numero di MC scrivono a partire da punti fermi, dalla Parola, fondamento della teologia.

A me, invece, il Direttore ha riservato una questione borderline che non si fonda su certezza alcuna. Si è messo in testa questa cosa qui: «Vincere il male allontanandolo o assumendolo?». Ma lo sa che in teologia, oltre che del mistero di Dio, si parla di quello del male, il mysterium iniquitatis? E, se è un mistero, perché accanirsi con un povero moralista, pretendendo che lo spieghi?

Deve avermi preso per il Profeta di Gibran al quale fu chiesto di parlare del Bene e del Male, ma anche lui se la cavò con mezza risposta: «posso parlare del bene che è in voi, ma non del male. Poiché il cattivo non è che il buono torturato dalla fame e dalla sete (...) Siete buoni quando siete in armonia con voi stessi. Tuttavia, quando non siete una sola cosa con voi stessi, voi non siete cattivi».

Per il Profeta non è cattivo chi, invece di donare se stesso, persegue il suo vantaggio, o quello la cui lingua, nel sonno, vaneggia. Se è buono quello la cui parola è consapevole, anche un discorso confuso rafforza una lingua debole. È buono chi procede con passo deciso verso la meta, ma non è cattivo chi vaga qua e là, zoppicando, anche lui va avanti.

Fateci caso, tra le righe una risposta c’è. Troppo lunga? D’accordo. Allora farò il verso a papa Francesco e me la caverò dicendo «E chi sono io, per decidere della sorte del male e presumere di spiegare che non si tratta di allontanare o assumere, bensì di allontanare e assumere?».

 

Gelardi 02 (Tonino Mosconi)Una “e” al posto della “o”

Questa volta il Direttore ha sbagliato tutto. Ha sbagliato a scegliere me che, a proposito di bene e di male, ho sempre avuto idee in controtendenza, e ha sbagliato anche la domanda. Lo sanno tutti: da come si pongono le domande si ottengono le risposte.

Il problema, però, sono i lettori di MC che ormai sono parateologi e non si accontentano più. Chiedono conto di ciò che hai scritto e, se hanno un amico cardinale o una zia superiora generale delle Figlie della santa inquietudine, ti ritrovi come niente imbragato da qualche censura ecclesiastica che è peggio della tinea pedis: non te ne liberi più.

«Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago (...) che è chiamato diavolo e il Satana (...) fu precipitato sulla terra » (Ap 12,7ss).

Ho detto della posizione invidiabile di biblisti e teologi biblici a causa della Parola da cui muovono per le loro beate deduzioni. In questo passo di Apocalisse, per esempio, il mio problema, cioè l’interrogativo che mi ha affidato il Direttore, è già bell’e risolto: tra il bene e il male c’è guerra dall’inizio, il male ha già perso, almeno in cielo. Il problema è che, non essendoci più posto lassù, ce lo ritroviamo qui e così ci interroghiamo: assumere o allontanare? Un interrogativo da niente. Una cosa è certa: il male c’è ed è un mistero. Parlo del Male con la m maiuscola e anche di quello con la m minuscola, il nostro, del quale pensiamo di sapere quanto basta per risolvere il quesito se si debba assumerlo o allontanarlo, o non piuttosto assumerlo e allontanarlo.

Sono passati più di cinquant’anni dall’apertura del Vaticano II, la memoria magari non aiuta tutti, ma all’inizio di Gaudium et spes si dice che il mondo degli uomini reca i segni dei loro sforzi, sconfitte e vittorie, che i cristiani credono che esso è stato creato ed è conservato dall’amore del Creatore, che è posto sotto la schiavitù del peccato, ma Cristo crocifisso e risorto, sconfitto il Maligno, lo ha liberato e destinato a trasformarsi.

 

Gelardi 03Vinci il male con il bene

Quanto al male, avvaliamoci di ciò che ne ha detto l’esperienza umana, dagli Apostoli, ai Padri della Chiesa, dai monaci antichi agli psicologi moderni, insomma da Pietro e Paolo a Evagrio con la sua lista di vizi capitali, dagli psicologi più antichi a quelli moderni, fino a Salonia che su queste pagine ha scritto della pace tra me e me, della necessità di riconciliarci con noi stessi, di diventare consapevoli dei conflitti e delle contraddizioni dentro di noi, di individuare il luogo dei conflitti e le cose che, diceva Paolo, fanno sì che vediamo il bene e facciamo il male.

È che, convinti di essere nati uomini, dimentichiamo che uomini si diventa superando il conflitto tra accettazione e rifiuto, tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere per quella duplicità dell’io in conflitto tra ciò che ognuno è e ciò che sente di essere chiamato a divenire, al di là della contrapposizione tra allontanamento e assunzione del male che ci segna.

Che si chiami genericamente male o, da cristiani, peccato va ricordato però che è un mistero comprensibile solo in riferimento al mistero di Dio-Creatore e di Cristo Redentore: il mysterium iniquitatis, per non diventare disperante, ha infatti bisogno del riferimento al mysterium paschale della redenzione.

Se è vero che la storia umana è pervasa dalla lotta contro le potenze delle tenebre, cominciata dall’origine del mondo e che il Signore dice durerà fino all’ultimo giorno, dentro questa battaglia l’uomo deve combattere per restare unito al bene, e conseguire la sua unità interiore a prezzo di grandi fatiche e anche di errori, con l’aiuto della grazia di Dio (cf. Gaudium et spes 37), nonostante il male.

«Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,21), dice Paolo. E se, invece di intenderlo solo in riferimento agli altri, lo intendessimo per una volta in riferimento al male che è in noi e interpretassimo non lasciarsi vincere nel senso di allontanarsene e vinci nel senso di assumere il male facendo sì che diventi occasione di bene?

Vedo già biblisti e filosofi strapparsi i pochi capelli rimasti sul loro capo, ma non sto forzando Paolo a farsi in qualche modo maestro di Machiavelli; sto provando a dire che per vincere il male con il bene, bisogna in qualche modo assumerlo, cioè riconoscerlo, senza farci pace, cioè allontanandosene.

In fondo ogni pietra che fa inciampare può aiutare a vedere, dal basso, quello che dall’alto del nostro orgoglio ci sfugge, di noi stessi e del mondo.