Combattere la buona battaglia

La guerra infinita contro il disordine e il male

di Giancarlo Biguzzi

docente di Nuovo Testamento al Pontificio Istituto Biblico

 

Biguzzi 01 (Gianni DOminici)E guerra in cielo

Una volta, quando il nonno moriva, si diceva ai nipotini che era andato in cielo. E cioè in un luogo di serenità e di pace. Ma l’Apocalisse di Giovanni smentisce l’immagine del cielo quale luogo di pace, essendo costretta a registrare che «scoppiò una guerra nel cielo».

E quale guerra! terribile, sovrumana! Infatti «Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago e il drago combatteva insieme ai suoi angeli» (Ap 12,7). Quella guerra poi si allarga come il fuoco nelle stoppie o tra i rovi, perché, vinto in cielo e da esso espulso, il drago esporta quella maledetta guerra nella storia degli uomini. Lo grida la voce dei martiri nel v. 12: «Guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è disceso sopra di voi pieno di grande furore!».

Le Scritture hanno un bel dire che Dio è un dio di pace, e la stessa Apocalisse, come Paolo, ha un bell’augurare la grazia e la pace che vengono da Dio (Ap 1,4) perché altri testi dicono che Dio invece combatte la guerra santa contro i nemici d’Israele e i nemici personali del salmista. Lui, che è «valoroso in battaglia» (Sal 24,8), si getta furibondo nella mischia addirittura alzandosi «come un eroe assopito dal vino» (Sal 78,65). Di più, egli insegna l’arte della guerra ai suoi fedeli: «… ha addestrato le mie mani alla battaglia, le mie braccia a tendere l’arco di bronzo» (Sal 18,35). Tutto questo non è solo dell’Antico Testamento, perché il Nuovo non è da meno. Gesù dice di essere venuto a portare non pace ma spada (Mt 10,34), e insegna come ci si debba preparare a far guerra a chi ha un esercito di 20.000 soldati (Lc 14,31). Anche Paolo usa immagini e vocabolario di guerra parlando di armi di destra (la spada) e di sinistra (lo scudo) (2Cor 6,7), e di cittadelle e fortezze da espugnare (2Cor 10,4).

Tutti questi rumori di battaglia sono dovuti al fatto che per il mondo antico la guerra era la necessaria azione restauratrice dell’ordine sistematicamente turbato dalla malvagità umana. Per questo, «virtù» (in greco aretē, in latino virtus) era sinonimo di «prodezza in battaglia» e modello ideale erano gli eroi omerici, quando invece, in perfetto rovesciamento di giudizio, i nostri eroi sono Gandhi o Mandela. Per lo stesso motivo - dicono i dizionari etimologici - al loro sorgere le lingue neolatine non ripresero dal latino il termine «bellum - guerra» (bellico, bellicoso, belligeranti… fanno eccezione), ma preferirono “guerra”, dal germanico werra. Werra infatti significa “mischia, arrembaggio, caos”, quando invece bellumrichiamava il perfetto schierarsi degli eserciti romani.

 
Riordinare la storia

A dire il vero si è sempre avuto coscienza del gran bene che è la pace. Per esempio, secondo Polibio (storico greco, 203-120 aC), alle scuole del suo tempo i ragazzi dovevano esercitarsi a tessere l’elogio della pace infilzando argomenti come: «In guerra chi dorme è svegliato dalle trombe e in pace è invece svegliato dal canto del gallo», «In pace guariscono i malati mentre in guerra muoiono anche i sani», e ancora: «In pace i vecchi sono sepolti dai giovani mentre in guerra accade il contrario» (Storie 12,26.1). Ma la vita è comunque, e senza scampo, tutta un combattimento.

A parte il fatto che nella versione latina di san Girolamo il Libro di Giobbe definisce la vita dell’uomo come una battaglia («Militia est vita hominis super terram», Gb 7,1) a cui fa eco Seneca con il suo «Vivere militare est» (vivere è combattere) in A Lucilio 96,5), i testi biblici “guerrafondai” combattono un disordine che ha turbato prima il cielo di Dio e poi, come tutti sappiamo per amara esperienza, il mondo umano. Fra tutti i libri neotestamentari poi l’Apocalisse è quella che mette a tema il disordine della storia con tutti i suoi soprusi, le sue violenze e i suoi inganni. E dice poi come Dio, che governa il cosmo dal suo trono (Ap 4), appianerà le rughe della storia attraverso il suo Cristo, guerriero che combatte i nemici con la spada della sua bocca (Ap 19,15) e Agnello che con il suo sangue raduna ogni tribù lingua e nazione in un solo popolo sacerdotale e regale (Ap 5,9-10). In altre parole, per tutta la Bibbia e per l’Apocalisse in particolare, c’è dunque un tipo di guerra che è da avversare in ogni modo come vuole il moderno pacifismo, ma viene anche detto che c’è una battaglia da combattere accanitamente, e da vincere.

Per l’Apocalisse quella battaglia è da condurre contro «il drago, il serpente antico… che seduce tutta la terra abitata» (Ap 12,9). L’inganno di Satana ci insidia fin dalle origini e ci insidierà sino alla fine. L’inganno si insinua nei nostri rapporti attivi e passivi, nelle strutture della vita sociale ed ecclesiale, nei giudizi e nelle scelte, nel parlare e nell’ascoltare. E non c’è nulla che ferisca come l’avvertire di essere vittima di inganno. Quella battaglia è da condurre anche nei confronti del prossimo, ma non inteso come nemico. Non è il prossimo che deve essere combattuto, ma il male che è in lui, perché la persona umana va sempre amata: «Non amare l’errore, ma l’uomo. L’uomo è da Dio, l’errore è dall’uomo. Ama ciò che Dio ha fatto, non ciò che ha fatto l’uomo. Se ami veramente l’uomo, lo correggi» (Agostino, Trattato sulla prima lettera di Giovanni, 6,1ss).

 
Biguzzi 02Contro gli spiriti del male

Forse la battaglia più difficile, però, è quella da combattere contro noi stessi. Facendo ricorso a un “io” universale, Paolo parla del lacerante disordine interiore che ognuno di noi vive: «Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto… Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Rm 7,15-24).

Lo stesso Paolo parla altrove della “buona battaglia”: due volte invitando ad essa il fedele discepolo Timoteo (1Tm 1,18 e 6,12) e poi, al momento di fare un bilancio della sua corsa apostolica, anche a proposito di se stesso (2Tm 4,7). In Ef 6,13-17 lo stesso apostolo invita infine a rivestirsi della panoplia: dalla verità quale cinghione militare, alla corazza della giustizia; dai calzari dell’evangelo, allo scudo della fede; dall’elmo della salvezza, alla spada della parola di Dio. Anche il Cristo-Cavaliere dell’Apocalisse giudica e combatte «con la spada», che non è un’arma tenuta nella destra, ma la parola evangelica della sua bocca (19,15.21). Perché le armi della nostra battaglia non sono carnali (2Cor 10,3) e la nostra battaglia non è contro carne e sangue, ma contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti (Ef 6,12).

 

Dell’Autore segnaliamo:

Il vangelo dei segni

Paideia, Brescia 2014, pp. 160