EditorialeUna comunicazione che fa ardere i cuori

di Dino Dozzi

Direttore di MC

Incomincia un nuovo anno. Ancora di crisi. Anche MC ne risente e, da mensile quale era diventato nel 2006, ritorna bimestrale: sei numeri all’anno più “Frate Tempo” che verrà spedito agli abbonati con il numero di ottobre. Il numero di pagine resta invariato, come pure l’abbonamento, che ci permette di mantenere in vita questo strumento di dialogo, di informazione e di comunicazione cristiana e francescana. E alla comunicazione vogliamo dedicare il primo editoriale del 2014.

Essenzialità, immagine, corporeità: queste, secondo il cardinale Gianfranco Ravasi, debbono essere le caratteristiche di una comunicazione efficace. Gesù stesso pare aver anticipato l’incisività del tweet, tipo «date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», decalogo dei rapporti Chiesa-Stato. Papa Francesco si sta dimostrando un maestro di comunicazione, con il suo sorriso, il suo parlare a braccio, le sue parole magiche come “periferie”, “misericordia”, “porte aperte”, “odore delle pecore”.

La recente esortazione apostolica Evangelii gaudium dedica ben 18 pagine all’omelia e alla sua preparazione, perché «molti sono i reclami»: l’omelia è parte integrante della liturgia eucaristica e uno strumento straordinario di evangelizzazione, ma è utilizzato poco e male. Papa Francesco sta dando il buon esempio anche in questo: le sue omelie quotidiane a Santa Marta sono un modo nuovo, gradito ed efficace di esprimere il suo magistero universale. Brevi, efficaci, semplici, immaginifiche, comprensibili da tutti, espressioni del «dialogo di Dio col suo popolo».

Le omelie non sono conferenze o lezioni e neppure, peggio ancora, prediche scritte decenni fa e frettolosamente lette o sciattamente improvvisate. La preparazione dell’omelia esige studio, preghiera, riflessione, creatività pastorale e soprattutto tanto amore: «chi voglia predicare, prima deve essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne della sua esistenza». È la spiegazione della lettera d’amore che Dio ha inviato ai suoi figli.

Chi fa l’omelia - ma la cosa vale anche per chi fa catechismo e per ogni forma di evangelizzazione - deve prima porsi in ascolto della Parola biblica (che cosa dice questo testo in se stesso? che cosa dice a me? leggendolo, che cosa mi piace e che cosa mi disturba?). E poi deve porsi in ascolto dei fedeli, dei loro problemi, delle loro gioie e delle loro sofferenze. E infine: non basta sapere che cosa dire, è importante anche il come viene detto. Il sacerdote che predica deve essere un contemplativo della Parola e del popolo, con il cuore di una madre che parla al figlio.

Alla fine dell’omelia e all’uscita dalla messa le persone debbono essere più serene e sorridenti rispetto a come erano entrate, perché è stata loro annunciata la gioia del vangelo. Se così non avviene, è segno che qualcosa non è stato fatto bene. Bisogna poi anche far opportuno discernimento tra la gioia autenticamente evangelica e quella più terra terra frutto della sospirata fine di un faticoso dovere domenicale assolto. Il grande modello resta Gesù, che si fa compagno di viaggio dei due discepoli di Emmaus scoraggiati e delusi. Ripensando a quel tratto di strada fatto con lui, essi si dicono l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore, mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32).

Si è parlato qui della comunicazione nell’omelia. Ma quanto detto vale per ogni comunicazione umana che voglia essere costruttiva, in chiesa e in famiglia, tra amici e tra colleghi, tra conoscenti e sconosciuti. Perché la crisi non riguarda solo l’economia, ma anche le relazioni. E le relazioni si nutrono anche di comunicazione. Buona comunicazione a tutti, dunque. Non solo dall’altare. MC continuerà a fare la sua parte se voi, con il vostro abbonamento, glielo permetterete.