Qualcosa oltre l’immagine che appare

La sacralità del cinema colta nel suo linguaggio più che nei temi che affronta


di Dante Albonetti

sacerdote di Faenza, esperto di cinematografia

 

Albonetti 01Eccedenza di senso

Forse è una strada in salita mettersi a pensare oggi al cinema come simbolico. Eppure, teoricamente, essendo narrazione per immagini, il cinema è sempre stato ritenuto anche veicolo per l’infinito. Il valore delle immagini, simboli dell’invisibile, fu sancito al secondo concilio di Nicea del 787, mettendo fine all’iconoclastia. Ma i prodromi aleggiavano già al primo concilio di Nicea del 325 con i Padri alessandrini che, condannando Ario, riconoscevano l’interpretazione allegorica della sacra Scrittura. Significava carpire un senso ulteriore al di là della immagine-parola letterale. E così l’icona, soprattutto bizantina, la si contempla in ciò che appare, sapendo che l’immagine non esaurisce il senso. Nicea con un ossimoro affermava che il visibile è immagine dell’invisibile.

Quindi il simbolico è una rappresentazione, come le espressioni artistiche, con una eccedenza di senso. Il simbolico è una struttura di rinvio e la rappresentazione la si può definire la restituzione del mondo in immagini. Seguo in questa introduzione, non esaustiva, il pensiero di un teorico contemporaneo, Elio Franzini. Con Kant si può ritenere che il simbolico nell’arte è rappresentazione sensibile. Il simbolico è importante anche per la dimensione emotiva ed è valido perché al suo interno vi si legge sempre una narrazione, trasmette un raccontare che «ci fa pensare molto». Conserva un aspetto di ambiguità: un’alleanza che evoca forza di unità e sancisce differenza e alterità. Purtroppo oggi si ritorna all’iconoclastia più che all’iconofilia. Secondo studiosi come Jean Baudrillard e prima Regis Debray, siamo sommersi dall’invasione delle immagini, soprattutto di pubblicità. Esse esauriscono il loro senso nell’autoreferenzialità, annunciando se stesse, senza rinvio “ulteriore” e quindi con una materialità banale che «non fa pensare».

 

Cinema e sacralità

E il cinema sacro o religioso? A questo punto una scorciatoia risolverebbe il tema, presentando lunghe compilazioni di film ritenuti religiosi. Ma si richiederebbe l’analisi dei criteri di scelta e si ritorna al capolinea. Fin dall’inizio della sua storia il cinema si è interessato a raccontare storie sacre, eventi biblici, con grandi produzioni anche hollywoodiane, che appartengono all’immaginario collettivo del secolo scorso. Ci restano monumentali opere di divulgazione popolare e di nobile artigianato, magari con una sottesa passione di fede.

Albonetti 02Tuttavia gli approfondimenti si sono rivolti altrove. Il rapporto tra cinema e sacro, declinato nelle varianti che chiamiamo, per comodità, spiritualità, religione, fede, mi sembra che oggi venga supportato dagli esperti, con l’aiuto di varie discipline. Fenomenologia religiosa, antropologia, psicologia e comunque scienze umane, possono offrire validi contributi, ma forse è ineludibile tenere presente il dato teologico come l’altro polo del confronto. Studi germinali, ora ritenuti classici, furono quelli di Paul Schrader e André Bazin. Il primo è americano di matrice protestante calvinista, sceneggiatore speciale di Martin Scorsese in film come Taxi Driver e L’ultima tentazione di Cristo, a sua volta regista di film come, tra i tanti, Affliction e The Canyons. Il secondo, il francese André Bazin, di ascendenza cattolica, fondatore dei Cahiers du Cinéma, presentava una concezione teologica della grazia divina più incarnata nel mondo. Paul Schrader, elaborando la tesi di dottorato, pubblicava negli anni Settanta il testo sulla trascendenza nel cinema, acuta analisi delle opere di tre giganti come Ozu, Bresson e Dreyer.

Quale la problematica? Schrader partiva dalla constatazione che il cinema poteva essere la più grande fabbrica di illusioni, magari in stile hollywoodiano. Niente di più facile con la magia del cinema rappresentare miracoli spettacolari e rendere visibile così il sacro. Ma forse non si otteneva l’effetto opposto? Cioè di rendere evanescente la dimensione del religioso, della spiritualità, proprio materializzando il sacro? Non conveniva, più che considerare i contenuti, orientarsi sul proprium del cinema, cioè il suo linguaggio? Non era meglio, secondo i due autori, valorizzare lo stile cinematografico? E così il regista americano elaborò la categoria del cosiddetto stile trascendentale, con le linee metodologiche come quelle di Bresson, cioè di narrare sviscerando l’immagine, spogliandola di orpelli, ridurla all’essenza, costruendo un cinema scarno, asciutto, diretto, ma con un linguaggio capace di ‘dire’ l’allusione e l’oltre.

 

Il miracolo dello spettatore

Nella storia del cristianesimo è presente la teologia dell’‘assenza’ per svelare la presenza del divino. Non è che il Deus absconditus biblico pascaliano suggerisca l’umilissima e impervia strada di vedere con occhi contemplativi?

André Bazin, oltre alla forma, invita a ‘guardare’ la realtà, a scavare in profondità e cita un film lontano e oggi forse sconosciuto, ma emblematico. Si tratta di Cielo sulla Palude, di Augusto Genina, degli anni Cinquanta. La storia di santa Maria Goretti è tanto più evocativa, quanto meno è sacralizzata. Scrive Gabriele Pedullà: «Per Bazin, Genina è riuscito ad elaborare una fenomenologia religiosa della santità non soltanto perché ha rifiutato gli abbellimenti di circostanza e il simbolismo dell’iconografia tradizionale, ma perché non è caduto nella trappola dell’agiografia». Commenta Bazin: «Per questo Cielo sulla Palude sembrerà agli spettatori abituati ad una apologetica che confonde il retorico con l’arte e le effusioni sentimentali con la grazia, un film disorientante. In un certo senso Genina si fa avvocato del diavolo diventando il servitore della sola realtà cinematografica possibile. […]. Genina insomma ci dice: “Ecco Maria Goretti, guardatela vivere e morire, d’altra parte sapete che è una santa. Che quelli che hanno occhi per vedere leggano in filigrana l’evidenza della grazia così come dovete farlo ad ogni istante della vostra vita… I segni che Dio fa ai suoi non sono sempre soprannaturali. Una biscia in un cespuglio non è il diavolo, ma il diavolo è lì come dovunque”».

Continua Pedullà: «Cosa significa? Che è sufficiente la realtà di tutti i giorni per manifestare la presenza del Trascendente? Innanzitutto significa che per Bazin la spiritualità del cinema non è la negazione del mondo. […] Fotografia e cinema hanno il potere di insegnarci ad amare il mondo e a guardarlo con occhi completamente nuovi: in definitiva a riappropriarcene una volta per tutte. E che il miracolo deve avvenire nello spettatore, non nello spettacolo, nelle coscienze e non sullo schermo. […] L’idea cristiana di un Dio che assume le più modeste fattezze umane per condividerne le sofferenze sembra pensata apposta per un’arte dell’immanenza come il cinema. […]. Almeno potenzialmente il Completamente Altro è già tra noi, disperso in mille rivoli, frainteso e misconosciuto».