Così come vai in bicicletta

La spiegazione della liturgia contestuale ad essa ne vanifica il valore simbolico

di Andrea Grillo

professore ordinario di Teologia Sacramentaria presso la Facoltà Teologica del Pontificio Ateneo “Sant’Anselmo” di Roma

 

Grillo 01Vita da abitare

I simboli liturgici non hanno bisogno di essere spiegati: per comprendere il senso di questa affermazione può essere utile una prima considerazione di carattere assolutamente generale. I simboli, nella loro verità, non sono anzitutto messaggi da comunicare, ma forme di vita da abitare. Per questo bisogna scoprire che il significato di un simbolo deve essere appreso non mediante una definizione, ma attraverso il suo uso. Nell’orizzonte delineato da queste due prime e fondamentali affermazioni, appaiono subito evidenti alcune conseguenze della massima importanza per una concezione adeguata dei simboli liturgici e per il loro corretto esercizio.

La liturgia è azione simbolico-rituale di Cristo e della Chiesa, mediante la quale il Signore e la sua comunità di fedeli si incontrano per pregare, far memoria, lodare, rendere grazie, benedire e a cui si accede per iniziazione. Essere iniziati è precisamente entrare in una forma di vita, iniziare a usare con competenza e con esperienza una serie di linguaggi. Bisogna aggiungere immediatamente che i linguaggi di cui è composta l’azione simbolico-rituale della liturgia sono molteplici: accanto al linguaggio verbale vi sono molteplici e preziosissimi linguaggi non verbali: lo spazio, il tempo, il movimento, la musica, le immagini, le vesti, i profumi, l’ascolto, il tatto… Su tutti questi livelli occorre un cammino di iniziazione, che non si può mai ridurre alla mera spiegazione.

Questo è evidente già sul piano del linguaggio verbale. Le singole parole del culto rituale cristiano non si possono trattare, semplicemente, come termini tecnici. La parola biblica, la parola della confessione, la parola della lode, la parola dell’intercessione, la parola della supplica non si lasciano tradurre in definizioni da spiegare. Ancor più questo vale per quelle forme espressive - i linguaggi non verbali - che non hanno un contenuto specifico (tipico invece delle parole) come le immagini, il movimento, la musica o i colori delle vesti. In questi casi, in modo ancora più lampante, la spiegazione è spesso un vero tradimento, uno snaturamento di quel linguaggio simbolico-rituale.

 

La spiegazione ostacolo all’iniziazione

Ecco allora definito il quadro della nostra questione. Se i simboli liturgici, nella loro qualità di simboli rituali, hanno le caratteristiche iniziatiche che abbiano qui richiamato, è evidente che la loro spiegazione deve essere subordinata alla loro natura e alla forma di vita cui debbono introdurre. Pertanto ne deduciamo una serie di evidenze importanti. Spiegare è solo una piccola parte dell’iniziare: i simboli liturgici richiedono che il soggetto che accede ad essi sia stato iniziato. La spiegazione è solo una piccola parte dell’iniziazione e normalmente non è compatibile con l’esercizio del simbolo. Mi spiego meglio. Da un lato dobbiamo riconoscere che la spiegazione - ossia la traduzione del simbolo in una definizione concettuale - è possibile e anche necessaria, ma in un momento e con una funzione accessoria rispetto all’insegnamento mediante l’uso. In secondo luogo, anche quando riconosciamo questo ambito di spiegazione, dobbiamo mantenerlo accuratamente distinto dall’esercizio rituale e celebrativo del simbolo, nel quale la spiegazione diventa addirittura un ostacolo per l’iniziazione.

Grillo 02Vorrei fare un esempio, prendendolo dall’esterno dell’esperienza rituale. Se la liturgia è un’azione, proviamo a pensare in che modo veniamo iniziati alle azioni. Mangiare con la forchetta, salire le scale o andare in bicicletta quali spiegazioni permettono? Si fa l’azione insieme e si viene iniziati da questo uso comune. Tipico è il caso della bicicletta. Nessuno impara con spiegazioni. Certo alcune parole di chiarimento su come tenere i piedi, le mani, il corpo non sono inutili, ma il punto chiave è un esercizio dell’equilibrio e della fiducia che misteriosamente, in un certo momento imprevedibile, determina in ognuno il saper andare in bicicletta.

Se la liturgia è questa azione rituale, che ha Cristo e la Chiesa come soggetti primari, è evidente che ognuno ha bisogno di essere iniziato a far parte di questa azione, a parteciparvi secondo i diversi linguaggi che essa comporta. Per tale iniziazione avrà anche bisogno di spiegazioni. Ma esse non dovranno mai interferire con l’azione che si compie durante la celebrazione. Si potrà spiegare, prima e dopo la celebrazione. Ma non si dovrà mai spiegare durante la celebrazione. Questo è chiaro, però, soltanto se si riesce a capire che la liturgia e i suoi simboli sono forme di vita della comunione con Dio in Cristo, che non sopportano di essere definite da una spiegazione.

 

Riti capaci di entrare nella vita

Per capire questo secondo punto possiamo brevemente soffermarci sul caso serio della pubblicità. Essa procede simbolicamente (anche se con esito non sim-bolico, ma dia-bolico). La pubblicità non ci vende cose, ma forme di vita. Non ci vende sostanze, ma circostanze. Per farlo essa usa quasi soltanto linguaggi simbolici che associano un caffè al relax, uno shampoo al successo nella vita, un biscotto alla famiglia felice. C’è un solo modo per infrangere il simbolo pubblicitario: spiegare il suo significato. Se trovi che cosa ti si vende in verità, non compri più il prodotto! Questo, mutatis mutandis, vale anche per il simbolo liturgico. Esso ha bisogno di non essere infranto da una inopportuna spiegazione. Nell’esercizio dell’azione rituale, la spiegazione deve essere affidata ai molteplici linguaggi che sono convocati nel rito.

Non posso dimenticare, tuttavia, che questa mania di spiegare tutto ci viene, in larga parte, da un particolare stile catechistico, che pensa l’atto di catechismo come imparare la dottrina. Questa impostazione rischia di distorcere totalmente il nostro rapporto con la tradizione rituale della Chiesa e di rendere impossibile qualsiasi azione celebrativa. Quando il recente Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica pone domande sul battesimo che suonano “qual è il rito essenziale del battesimo?”, impone a noi il gravoso compito di non rispondere. Infatti, per le ragioni che ho illustrato, non esistono riti essenziali. I riti sono simbolici, ossia non riducibili mai al loro contenuto di dottrina, ma capaci di entrare nella vita e di trasformarla, con tutti i loro linguaggi.

L’esito di questo nostro percorso è l’apertura di un grande cantiere: il rinnovamento delle forme con cui iniziare i soggetti alla fede. Lo spazio della spiegazione deve essere messo al servizio dell’iniziazione e non deve interferire con l’azione rituale. Ecco il compito che troviamo oggi davanti a noi. In questo compito, tuttavia, scopriamo un grande dono di novità e di autenticità per la fede comune.

 

Segnaliamo il volume:

S. BIANCU-A. GRILLO

Il simbolo. Una sfida per la filosofia e per la teologia

San Paolo, Roma 2013, pp. 168