Firma tattoo per corpi in vibrazione

I tatuaggi evidenziano agli altri limmagine che voglio offrire di me

di Giovanni Salonia

frate cappuccino psicologo e psicoterapeuta

 

Salonia 01Corpo che trovi, rivincita che prendi

Il tatuaggio, o tattoo, sta segnando intensamente il corpo postmoderno. Antica prassi giocosa, creativa e simbolica di molte tribù, il tatuaggio nell’Occidente postmoderno viene riscoperto come linguaggio nuovo per comunicare inedite sensazioni e percezioni sulla corporeità come luogo della soggettività e della relazione, della sensualità e della sessualità, della creatività e della trasgressione. Il tatuaggio è diventato in Occidente una scienza (e un business). I manuali svelano il significato di ogni tattoo rilevandolo dai suoi dettagli: forma e fogge, immagini, colori, dimensioni, visibilità…

La domanda che, comunque, rimane sempre aperta e richiede nuove esplorazioni è la più ovvia: perché una persona decide di sottoporsi alle fatiche del tatuarsi? È la domanda che pone il genitore preoccupato al figlio che chiede il permesso del tattoo; è la domanda incuriosita che (si) pone chi vede un corpo tatuato. Scartiamo la risposta scontata sul condizionamento sociale (non mi voglio sentire escluso dal gruppo), perché anche questa rilancia la domanda di fondo: che cosa porta una persona a compiere la scelta di scrivere e disegnare sul proprio corpo? Chiaramente è in gioco il corpo o, meglio, il modo di vivere e sentire il proprio corpo. Dal corpo si deve ripartire.

Non molto tempo fa il corpo era percepito prevalentemente come strumento di salute o di malattia, di guerra o di fatica, di generazione e di peccato. Un corpo usato più che curato, produttivo più che significativo, consumato più che vissuto. Solo nel periodo postbellico il corpo ha assunto un interesse primario nel mondo dei valori e delle riflessioni della cultura postmoderna. Il corpo percepito come un mondo inesplorato nelle sue molteplici potenzialità: identità e relazione, arte e danza, creatività e gioco, fitness e bellezza, sensualità e sessualità. Il corpo si impone come protagonista nei territori della meditazione, della psicoterapia, della palestra, della chirurgia estetica, del fitness, delle arti. Anche la religione riscopre che caro cardo salutis, che, liberamente tradotto, suona come «ogni salvezza parte dal e si compie nel corpo». Il primo senso che emerge è quello del tatuaggio come firma sul proprio corpo. Possiamo liberamente pensare ad una sorta di intima rivincita sulla condizione umana che impone al soggetto un corpo senza una precedente consultazione. Con la scelta del tatuaggio si recupera la libertà di porre il segno del nostro potere proprio sul corpo che ha preso forma senza il nostro consenso: una firma che riscatta la nostra inevitabile creaturalità. Come se il senso ultimo fosse imporre all’altro il modo in cui deve vedere il mio corpo visto che a me è stato imposto questo corpo!

 

Differenziarsi per riconoscersi

A volte, i tattoo hanno il compito di riempire un vuoto: se la percezione di essere un corpo-tra-tanti-corpi crea l’angoscia dell’insignificanza, emerge prepotente la spinta a differenziarsi, a segnare in modo personale quel corpo che ci rende massa di corpi. Attraverso il tattoo da me scelto sarò notato nella mia individualità, con i colori e le forme che io ho deciso. È nel registro visivo - il vedersi e il sentirsi visto dal mondo - che si inscrive il senso e la scelta del tatuaggio. I tattoo, infatti, hanno l’obiettivo di fondo di attrarre lo sguardo dell’altro, di rendersi all’altro interessante ed evitare la fatica del presentarsi all’altro: il tattoo è una presentazione di sé immediata, graffiante, inevitabile. Chi sceglie parti del corpo meno visibili o intime Salonia 02comunica che vuole imporre la sua presentazione tatuata unicamente allo sguardo di altri da lui scelti. C’è anche -ci ricorda la canzone - il tatuaggio che fa memoria a sé e agli altri. Toccante il petto di un padre che aveva tatuato il volto del figlio piccolo morto in un incidente stradale. Estremo lacerante tentativo di mantenere anche visibile il volto di colui che nel suo cuore rimaneva sempre vivo.

Il tatuaggio, a questo punto, si declina su due orizzonti di segno opposto: può essere il vestito che copre una nudità insopportabile o il vestito per rendere ancora più luminosa e creativa una nudità vissuta come regale. Se l’esperienza che si ha del proprio corpo si limita al suo apparire o alle sue funzioni, il vestito viene indossato con l’angoscia di coprire un manichino, di colmare un vuoto, di resettare un’immagine difettosa. Se si conosce il vibrare intimo e caldo del corpo vissuto, se si vive il respiro come onda di calore e di vita che attraversa e riempie tutto il corpo, se la danza è generata dal corpo e non dalla mente, allora il tatuaggio diventa il gioco di luci e di forme che i corpi creano quando si incontrano. Non entriamo nel merito dell’altro intervento che si connette al tatuaggio ossia il piercing: quest’ultimo apre territori corporei altri dove l’allargamento delle potenzialità e delle forme corporee si incontra con il vibrare creativo o provocatorio del dolore.

 

Svegliare corpi senza vita

Ritornando al tatuaggio, la lezione gestaltica ci ricorda che, nel momento in cui una persona decide di inscrivere nel proprio corpo il tattoo, in realtà cerca di scegliere una forma propria alla visibilità: intende provocare una gestalt nuova nel gioco relazionale. La domanda che presiede la dimensione relazionale della scelta del tatuaggio così risuona: come voglio presentarmi all’altro? Come voglio essere visto dell’altro? In effetti, si tratta di introdurre un elemento nuovo ma scelto nella dinamica della percezione che, inevitabilmente, il proprio corpo attiva nell’altro. È dentro le risposte a queste domande che si individuano i significati più intimi di ogni scelta di tatuarsi. In questo voler determinare e prefigurarsi reazioni che in tanti altri susciterà il proprio tatuaggio. Come reagiranno le persone care? e quelle che stimo? e quelle da cui voglio essere stimato? e l’altro, i tanti altri che incontrerò?

A questo punto, i tattoo aprono nella postmodernità precisi percorsi antropologici e suggestivi orizzonti educativi. Essi hanno il compito di svegliare i corpi senza vita che vengono fusi nell’invisibilità dell’essere folla, i corpi che non vibrano e si consumano nell’apparire, i corpi svuotati da un fitness che si esaurisce nella tecnica. I tattoo ricordano che il corpo è il luogo del calore e dei colori, delle forme vibranti e cangianti, della vitalità e della luce: il corpo diventa mio e mi differenzia come identità relazionale solo se abitato. Ed ecco, infine, il senso profondo dei tatuaggi nella postmodernità: donare e imporre agli occhi che li (am)mirano la domanda delle domande, quella che ci riporta alla nostra corporeità: con o senza i tattoo, senti il calore e la luce, la provocazione e la creatività, la vibrazione e l’unicità del tuo corpo?

 

Segnaliamo il volume:

G. SALONIA-V. CONTE-P. ARGENTINO

Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica

Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2013, pp. 176