Storia e geografia dei simboli

Lo sviluppo nel tempo dei luoghi simbolo rischia di frammentare le persone

 

di Gilberto Borghi

della Redazione di MC

 

Borghi 01Situazione prototipo

«L’uomo è un animale simbolico». Mi è tornata in mente pochi giorni fa questa espressione del filosofo Ernst Cassirer, mentre osservavo un gruppo di ragazzi seduti per terra nell’ingresso di un ipermercato. Erano sei e stavano “armeggiando” tutti e sei coi propri telefonini, senza nessuna comunicazione apparente tra di loro. Ad un certo punto, una di loro si è alzata di scatto, e con rabbia ha urlato ad uno degli altri: «Sei uno stronzo!». Poi è uscita quasi di corsa dall’iper. Una sua amica ha detto verso lo stesso ragazzo: «Potevi fare a meno di scriverlo!». L’ipotesi che ho fatto è che fossero su WhatsApp (o robe simili) e stessero chattando tra loro, pur essendo fisicamente in presenza l’uno dell’altro.

Un frammento di realtà che dice bene come l’uomo sia in grado di assegnare un significato a dei segni grafici che un altro ha tracciato su una superficie accessibile ad entrambi. Nessun animale lo potrebbe fare. Ma dice anche come questa capacità umana si realizzi in forme molto diverse tra loro, nelle varie epoche e culture che l’uomo attraversa.

Nell’epoca “agricola” degli anni Cinquanta, una “questione” come quella dell’iper avrebbe visto protagonisti, forme espressive ed esiti molto diversi. Perché diversi erano i luoghi sociali simbolici in cui sarebbe potuta accadere. Due in particolare: uno più pubblico e ufficiale, la chiesa e i suoi spazi, ed uno più intimo e famigliare, il focolare domestico. In essi una “questione” come quella dell’iper avrebbe visto i genitori, il prete e forse qualche persona di riferimento della comunità essere protagonisti a pieno titolo. E le forme di espressione emozionali sarebbero state molto più contenute socialmente. Ma soprattutto i tempi e gli spazi avrebbero giocato diversamente sull’esito finale. Allora gli spazi erano reali, fisicamente era più difficile comunicare e i tempi erano virtuali, cioè molto più dilatati. E questo dava modo di riflettere di più e condividere di più socialmente il fatto. Il che avrebbe dato peso maggiore al fatto stesso e una soluzione che, in qualsiasi caso, avrebbe coinvolto di più tutta la comunità e avrebbe permesso di mantenere in piedi l’individuo in causa, appoggiato sulla comunità.

 

Borghi 02Situazioni parallele

In un’epoca “industriale” come gli anni Settanta-Ottanta i luoghi sociali simbolici cambiano e quindi cambiano le forme di una scena del genere. Il luogo pubblico, anche se meno ufficiale, diventa il bar, il circolo, mentre il luogo famigliare diventa la televisione, meno intimo, ma più individuale. La “questione” dell’iper avrebbe trovato nel bar il luogo di discussione privilegiato, allargandolo a degli spettatori non protagonisti come gli altri avventori o il barista stesso. E nei programmi e nei protagonisti della tv, avrebbe individuato le forme espressive e le soluzioni più facilmente utilizzabili. Gli spazi sarebbero stati ancora reali, ma con una possibilità comunicativa maggiore. I tempi meno virtuali, ma comunque ancora capaci di offrire “riflessione”. Perciò la questione avrebbe avuto forse meno peso comunitario e la soluzione avrebbe avuto due caratteri diversi: più individualizzazione, con il conseguente “allentamento” del tessuto sociale, e più ideologizzazione, con un aumento del tasso di scontro sociale tra le varie opinioni in campo. E ciò avrebbe destabilizzato di più la persona in questione, costringendola ad un cambiamento interno, seppur piccolo, per recuperare il suo equilibrio.

Oggi, in un’epoca “postindustriale”, il luogo sociale simbolico pubblico è il centro commerciale, senza più nessuna ufficialità (ma per questo ancora più socialmente vincolante e obbligatorio). Non a caso la scena è lì. E quello famigliare è il web, senza più intimità, e radicalmente individuale (e perciò divenuto anche lui vincolante e obbligatorio). Non a caso i ragazzi sono lì. I processi di modifica della percezione dello spazio e del tempo sono compiuti. Lo spazio è diventato virtuale e la comunicazione tra i ragazzi è costante, ma fisicamente sono assenti gli uni agli altri. Perciò la dimensione sociale del fatto è ridotta quasi a zero, se non nell’espressione finale della rabbia della ragazza e della sua amica. Il tempo è diventato reale e perciò non c’è modo di riflettere, e le reazioni sono immediate e non seguono forme linguistiche contenute. Perciò la soluzione è radicalmente individuale e il peso comunitario quasi nullo. Oggi la persona in questione non cerca nemmeno più un equilibrio; semplicemente si lascia vivere attraversata dall’emozione senza che questo possa generare di per sé una “ricucitura” interna con le altre dimensioni del sé. Per rovescio, però, il tasso di violenza sociale aumenta, perché l’emozione non è più contenuta dentro a strutture sociali riconosciute.

 

Interamente amati

È evidente che la natura umana, in sé, non è cambiata. Ma le forme della sua potenzialità simbolica sì. E con essa cambia anche il modo con cui la persona si relaziona con gli altri e con il senso della sua esistenza. La capacità simbolica dell’uomo nasce proprio dalla sua dimensione sociale e genera a sua volta la necessità di un senso alla vita. Perciò i luoghi sociali simbolici sono una parte rilevante della condizione storica in cui questa socialità e questo senso sono possibili.

Nella società agricola, la stabilità e la strutturazione sociale consentivano una socializzazione ordinata per ruoli chiari e definiti, in cui il senso della vita veniva scoperto proprio stando dentro a ciò che la società offriva. Ma questo andava a scapito della libertà personale e della possibilità di un cambiamento sociale. Una condizione garantita e chiusa al tempo stesso.

Nella società industriale la mobilitazione dei ruoli sociali e l’iniziale destrutturazione della società tradizionale consentiva spazi per una socializzazione meno rigida, ma anche meno ordinata, in cui il senso della vita era creato dalla persona che ritagliava il suo ruolo individuale, ridefinendo al tempo stesso il ruolo sociale che andava ad occupare. Si salvava la libertà, ma si suggeriva all’uomo l’idea della sua onnipotenza nel creare la propria identità.

Oggi, nella società postindustriale, la frammentazione del tessuto sociale offre una socializzazione sempre parziale e momentanea, in cui il senso della vita può essere solo atteso come “eccezione” di un sistema che non lascia più spazio alla persona intera, ma solo alle sue parti disaggregate. Si salva il senso del mistero e della possibilità sempre creativa della vita, a scapito dell’identità della persona che fatica a ritrovarsi.

Ecco perché ha senso, per i ragazzi di oggi, chattare pur in presenza fisica dell’altro. Ecco perché ha senso, per loro, mantenere appartenenze ideali parziali, contraddittorie, mai definitive. Oggi tutto è mercanteggiabile, anche la relazione con gli altri e il senso della vita, purtroppo. Per questo ci si trova all’iper e ci si “ritrova” sul web, come luogo della relazione parziale e “artificiale”, e per questo più smascherata e sincera, come nella scena iniziale dell’iper.

Allora però, per rovescio, i luoghi sociali simbolici di oggi ci indicano le condizioni per continuare a salvare “l’umano” in questa società. Servono esperienze di gratuità. In cui cioè la relazione non sia secondo le logiche “mercantili” dello scambio economico dell’ipermercato, ma secondo quelle evangeliche del dono. Servono esperienze di relazioni “integrali” in cui la persona sia coinvolta dalla testa ai piedi, passando per il cuore e il corpo, in cui la logica della frammentazione tipica del web, generata dal bisogno di controllo sull’altro, lasci il posto a quella dell’innamoramento per l’altro, generata dalla consapevolezza evangelica di essere amati eternamente e interamente.