Laudato si’, mi Signore, per frate Francesco

San Francesco, simbolo polivalente dell’uomo che cerca Dio incarnato

di Fabrizio Zaccarini

maestro dei postulanti cappuccini a S. Margherita Ligure

 

Zaccarini 01Il simbolo polisemico

«Perché a te, perché a te, perché a te?». «Che è quello che tu vuoi dire?» (cf. Fior X: FF 1839). Dico, Francesco, perché il mondo ti tira per il cingolo e per il saio?

Seraficamente ti strattonano e ti appiccicano sulla schiena, quasi fossero pesci d’aprile, i segni di un’appartenenza multipla e disorientante. Smaniano per averti dalla loro parte come una bandiera senza padrone e disponibile ad essere sventolata per molte (troppe?) cause. Tu sei diventato un simbolopolisemico, la personificazione di una quantità molteplice di contenuti vitali per molti uomini e donne. Certo, i biografi antichi ti hanno dipinto in multicolor. Alle persone del tuo tempo, a quelle che sono venute dopo, fino al mio tempo, di cose nuove ed antiche, tu ne hai dette e ne hai fatte dire, ne dici e ne fai dire, davvero tante! Oggi, nella Chiesa e fuori da essa, tra chi crede diversamente e chi non crede affatto, tra chi è impegnato socialmente e chi si dedica a contemplare il mistero di Dio, non c’è nessuno, la generalizzazione qui è d’obbligo, che non avverta simpatia per te. Superficiale, se vuoi, ma simpatia chiaramente confermata dalla densità degli eventi che fanno la storia.

Quali eventi? Te ne rammento un paio.

Primo. Anno Domini 1986. Giovanni Paolo II invita i capi di tutte le religioni mondiali a pregare per la pace. Dove? Ad Assisi! Nell’alleanza condivisa con te sfumano i contrasti generati dalle molte differenze e l’invito è accolto.

Secondo. Anno Domini 2013. Per la prima volta nella storia della Chiesa il vescovo di Roma porta il tuo nome e questa scelta, insieme a molte altre cose, gli consente un balzo da canguro olimpionico nella hit parade della stima universale. Non lo dico mica per idolatrarti… certo, hai ragione ad arricciare il naso: noi francescani incensiamo te, Francesco, nella speranza che qualche refolo di vento casualmente (?) induca il fumo odoroso a posarsi su di noi… io ci provo ad astenermi da questo vizio, ma, d’altra parte, sarebbe contro l’umiltà non rendere grazie a Dio che in te ci ha parlato! Lui ha creato «bellu e radiante frate sole» perché «di Lui, Altissimo, porti significatione» e ha reso te significativo davanti a noi uomini. Lodo, ringrazio e chiedo: attraverso quale cammino lo Spirito di Dio ha fatto di te un simbolo vivente? Beh, sì, a questa domanda hai già risposto nel Testamento, facendo memoria della tua avventura di povero cristiano.

 

Il cammino di ritorno all’uomo

«Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi…». Ciò che precede l’inizio è l’incapacità di accogliere la realtà come essa è, in quanto ombra, in quanto morte. Amarezza insopportabile davanti allo specchio/carne piagata di un uomo che ti avverte, non resterai per sempre nell’Eden della giovinezza e della gloria gratificante a basso prezzo. Prologo: Dio lotta perché tu senta tutto il sapore amaro del disperato tentativo di cui ancora sei schiavo, rimuovere un aspetto non rimovibile dell’esistere dell’uomo e di ogni cosa creata.

«…e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia». Dio ti porta in mezzo ai caduti nell’oblio antifraterno, tra i morti alla vita prima di morire. E qui il nuovo inizio, perché all’inizio, vedendo nell’uomo il volto del Figlio donato in forma di fratello, il Padre esclamò pieno di gioia “è cosa molto bella/buona”. Facendo misericordia con i lebbrosi, donando cioè il cuore ai miseri, iniziava quel cammino di ritorno ai fratelli e al Padre che tu chiami «penitenza». Capitolo primo: Dio restaura in te la sua immagine e somiglianza restaurando le relazioni interumane, sognate fraterne da Lui, rese oppressive ed escludenti dal peccato che lacera il corpo fraterno e solidale dell’umanità.

«E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo». Ti allontanasti sapendo che in quell’incontro tu eri stato guarito! Te ne andavi col palato rovesciato, le papille gustative, trasfigurate, ora erano capaci di gustare l’incontro umano nonostante il fetore proveniente dalla pelle piagata. La riconciliazione era piena e, anzi, gustosa nella totalità della tua persona, anima e corpo. Capitolo secondo: Dio fa unità in te, intorno alla tua e all’altrui umanità. L’incontro interumano, libero dalla paura della sofferenza altrui e dell’umana impotenza tua, diventa motivo di gioia, così come esso è.

Zaccarini 02«E di poi stetti un poco e uscii dal mondo». Eri uscito dal mondo di cui tu eri il centro per muoverti verso la fraternità delle relazioni etero e perciò teo-centriche. Capitolo terzo: Dio lotta per tenerti fuori dal mondo, spazio e tempo, strutturati in relazioni di potere.

«E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: “Ti adoriamo Signore Gesù Cristo”…». L’uomo-Dio, crocifisso e risorto, diventa chiave di lettura del cosmo e di ogni micro/macro-storia, il fondamento della vita e della gioia autentica. Epilogo: In Cristo, epifania filiale dell’onnipotente e ferita debolezza amante del Padre, ormai potevi autenticamente dimorare, gioire e, fraternamente, adorare.

 

Nella gioia, più vicini a Cristo

Ecco così lo Spirito in te ha fatto cappotto: da lui ispirato hai riconosciuto in Cristo, e perciò nel fratello, il tuo tesoro. Il tuo sguardo ne è stato rigenerato, hai potuto guardare con fiducia fraterna sani e ammalati, poveri e ricchi, sorella Chiara e frate Jacopa, papi e vescovi, cristiani e non cristiani. E non solo l’uomo, ma ogni cosa creata. Perfino la nostra morte ti è parsa un’apertura relazionale verso la vita! Così sei diventato il simbolo vivente dell’uomo come essere di relazione integrale con Dio, con i fratelli e le sorelle, con il creato intero.

La conferma penetrante della vita si manifesta quando, come fratelli, ti sono stati restituiti i tuoi frati, figli che sentivi ormai come traditori: moltiplicati come le stelle del cielo, avrebbero voluto seguire regole nate da esperienze monastiche già consolidate… “Tanti e tali” com’erano, dicevano di non aver più bisogno di te, o almeno a te pareva che volessero dire così. La gioia vera, o la “perfetta letizia”, l’hai trovata rimanendo fuori, alla loro porta, da pellegrino e da forestiero, in pace nonostante il buio e il freddo della notte e dell’abbandono. Non hai messo mano al piede di porco per entrare di forza e decidere, con atteggiamento padronale, chi poteva stare tra i tuoi e chi no. Ma neanche hai subito passivamente gli eventi sfarevoli, maledicendo la malasorte e fuggendo lontano dal conflitto con i pochi fedelissimi della prima ora.

Con il racconto dell’inizio hai bussato, ti sei preso il lusso di dire «io voglio, io comando», perché il cammino dei fratelli che Dio ti aveva donato, per essere vero e profetico, non poteva prescindere dall’iniziativa dello Spirito dal quale era nato. I figli traditori erano diventati fratelli liberi di fare la loro parte di cammino. No, Francesco, abbi pazienza: noi francescani, noi uomini e donne del duemila, senza di te non possiamo stare… perciò, riconciliato con le nostre fratesche difficoltà a starti dietro, riconciliato con quanti assolutizzano elementi particolari della tua vita, io vorrei che anche oggi tu concludessi come facesti allora: «Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. Amen».

Sia lode a Dio che ha condotto me, e tanti come me, ad incontrarti. Come possiamo, ti amiamo e ti conosciamo. Nella tua bella e radiante prossimità sentiamo che l’uomo, e perciò il Cristo, è più vicino a noi. Anche a te siamo grati.