Convinti dalle stranezze dei profeti

Il simbolismo nella Bibbia collega l’intervento di Dio alla vita dell’uomo

di Giuseppe De Carlo

della Redazione di MC

 

De Carlo 01Segni reali e incisivi

Chi legge i libri biblici dei profeti si trova davanti a scene davvero sorprendenti: Isaia riceve il comando di salire, nudo come mamma l’aveva fatto, sulle mura della città. Mentre provava le angustie dell’esilio in terra di Babilonia, Ezechiele deve prendere un mattone di terra ancora non del tutto seccata, su quella tavoletta deve incidere la pianta o il profilo di una città, e poi, girando attorno al mattone, deve mimare i gesti dell’assediante e del feroce conquistatore. Osea è forse quello trattato peggio dall’ispirazione profetica, perché deve prendersi come moglie una donna di strada.

Non è tutto, perché Isaia proveniva dalla nobiltà gerosolimitana e avrebbe dovuto esporre la sua nudità sulle mura, stando in alto, dove tutti potessero vederlo bene e fare i loro maliziosi commenti. Ezechiele aveva ben altre priorità che quella di inscenare un teatrino e di fare il saltimbanco e Osea doveva mettere in gioco la sua rispettabilità prendendosi una donna con cui vergognosamente molti altri erano stati a pagamento.

Tutto perché, nelle intenzioni di Dio che chiama i profeti, certi insegnamenti dovevano essere non deboli, come sarebbe stato il trasmetterli a parole, perché, si sa, le parole volano, entrano da un orecchio ed escono dall’altro. Il teatrino no: coinvolge anche gli occhi, oltre che le orecchie. Tutto diventa più espressivo, più coinvolgente, perché diventa un pezzo di vita vissuta, perché chi assiste allo spettacolo poi si sentirà in dovere di chiedere al profeta cosa ha voluto rappresentare, che significato ha, per raccontarlo, commentarlo e farlo entrare nelle cronache e nella vita della città. In quei tre casi il Signore voleva che i gerosolimitani si rendessero conto che era inutile tentare di ribellarsi ai potenti assiri, i quali denudavano di tutto e portavano esuli in Assiria ogni popolo vassallo ribelle. E voleva che i compagni di esilio di Ezechiele non si illudessero circa un pronto ritorno in patria, pensando che ad essere assediata e vinta sarebbe stata Babilonia, ma per la seconda volta lo sarà Gerusalemme e questa volta non più risparmiata come dieci anni addietro, ma distrutta e incendiata, con il tempio, pupilla del loro occhio. E, infine, tutti dovevano sapere, attraverso l’insensato innamoramento di Osea per una sgualdrina, che Dio si sentiva offeso, calpestato nel suo amore: «perché il paese non fa che prostituirsi, allontanandosi dal Signore».

 

Il linguaggio analogico di Dio

Da questi esempi, è facile capire che ai profeti Dio chiede di compiere azioni simboliche per trasmettere al popolo quello che lui vuole; cosicché nella Bibbia, anche se non esclusivamente, sono i profeti a sfruttare al massimo il linguaggio del simbolismo. Perché?

Perché i profeti sono gli uomini della Parola di Dio ascoltata e trasmessa. Ma la Parola di Dio per essere intelligibile all’uomo deve assumere la forma della parola umana. Nello stesso tempo però deve poter esprimere realtà che superano di gran lunga le possibilità del linguaggio umano. La Parola di Dio in parole umane deve essere in grado di rivelare il volto e il cuore di Dio nel suo agire nella storia dell’uomo. Non potrà allora servirsi di un linguaggio descrittivo, ma di un linguaggio analogico, simbolico. Partendo da realtà ed esperienze conosciute, rimanderà a realtà ed esperienze inaudite e ineffabili. Il Vocabolario Treccani definisce il «simbolo»: «oggetto atto a suscitare nella mente un’idea o un significato diversi da quelli corrispondenti al suo immediato aspetto sensibile, e capace di evocarli attraverso connessioni, reali o metaforiche».

De Carlo 02Il linguaggio religioso in genere, e quello biblico in particolare, non potrà dunque che essere un linguaggio simbolico. Tornando ai profeti biblici, c’è da chiedersi anzitutto come ricevevano il messaggio divino da trasmettere. Semplicisticamente si potrebbe pensare che Dio parlasse loro come un essere umano parla al suo simile. Più realisticamente però si deve pensare ad una mozione interiore oppure ad una affinata capacità intuitiva concessa da Dio al profeta di leggere in profondità la realtà anche quella più quotidiana, per scoprirvi i segni della presenza e del parlare di Dio. Un oracolo di Geremia può aiutare a capire. Forse vedendo un mandorlo fiorito in tempo quasi invernale, il profeta scrive: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla”» (Ger 1,11-12). Dato che in ebraico le parole «mandorlo» e «vigilante» hanno un suono e una forma molto simili, dalla presenza del ramo del mandorlo il profeta può aver ricavato la certezza della vigilanza del Signore.

Così, quando i profeti trasmettono il messaggio di Dio, che rimane sempre al di là della immediata prospettiva dell’uomo, si servono di immagini, azioni, parole ben conosciute dai propri ascoltatori.

Non solo la predicazione profetica, ma anche le narrazioni del Pentateuco e dei libri storici fanno ampio uso della simbologia. In particolare questo avviene quando si narrano gli interventi di Dio, sia nella sua attività creatrice che nella sua azione a favore dell’uomo. Ricche di simbologia sono poi naturalmente le feste religiose, come la Pasqua, la festa delle Capanne... Quasi tutte le feste erano all’origine legate al lavoro pastorizio o agricolo, in seguito sono state storicizzate in senso religioso così che i gesti e i riti di ciascuna festa hanno assunto simbologia religiosa.

 

Identificazione col giusto

Anche la preghiera, come dialogo interpersonale tra l’uomo e Dio, fa necessariamente appello alla simbologia. L’uomo si pone di fronte a Dio, gli narra la propria esistenza, chiede il suo aiuto, lo ringrazia... ricorrendo alla simbologia per esprimere la presenza reale e operante nella sua vita del Dio inaccessibile e trascendente. Dio è descritto come un pastore che amorevolmente segue e protegge da ogni tipo di pericoli i suoi fedeli. Gli avversari assumono le forme disumanizzate di animali feroci che accerchiano il malcapitato salmista. Salmista che ben volentieri identifica se stesso col «giusto», che il Salmo 1 definisce come colui «che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti». È interessante notare che le tre posture, muoversi stare fermi e sedersi, richiamate dal salmo sono indicate dagli studiosi del simbolo come i grandi assi simbolici che riassumono l’intera avventura umana. Il salmista dice allora che l’uomo giusto o la donna giusta non si fanno in nessun modo o maniera coinvolgere dai malvagi, dai peccatori e dagli arroganti. Ha detto tutto perché con quei tre riferimenti ha coperto tutte le dimensioni dell’azione umana.

Ricco di simbologia naturalmente è anche il Nuovo Testamento. Basti pensare che Gesù ha fatto di se stesso un vero e proprio concentrato simbolico definendosi di volta in volta pastore o porta dell’ovile, pane o legno verde, re che giudica buoni e malvagi o pietra scartata dai costruttori.