Abbiamo chiesto a frère John della comunità di Taizè quanto sia importante il rispetto del tempo dell’altro nel dialogo tra le chiese Cristiane. Tempo ed amicizia sono strettamente collegate: il tempo aiuta a conoscersi, conoscersi porta a stimarsi. La stima nell’altro conduce a quella comunione e unità cercate a volte un poco a tentoni nella nostra epoca storica.

Barbara Bonfiglioli

 

Diventiamo amici


I tempi e le strategie della riconciliazione

 

di frère John di Taizé

monaco della Comunità di Taizé


Rubrica Religioni in dialogo 01 (Comunita` di Taize`)La conquista della stima reciproca

Una delle più importanti caratteristiche della Chiesa cristiana nel XX secolo è stata la scoperta dello spazio ecumenico, cioè la ricerca dell’unità visibile fra tutti quelli che seguono Gesù Cristo. A poco a poco, in tutto il mondo cristiano, la convinzione che la credibilità del Vangelo passi per una comunione ritrovata fra tutti i discepoli di Cristo è diventata più palese.

Come può, infatti, una Chiesa frantumata in confessioni ostili o indifferenti le une alle altre testimoniare in maniera autentica un Dio d’amore? Gesù non aveva detto chiaramente: “Da questo sapranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35)?

La domanda su come questa comunione ritrovata possa realizzarsi è più discussa. Alcuni l’hanno vista essenzialmente come una questione istituzionale: i teologi e i responsabili delle varie confessioni dovrebbero mettersi d’accordo su una fede comune, almeno nei punti essenziali, che ci porterebbe in seguito a svolgere attività in comune e a creare strutture adatte per esprimere l’unità ritrovata. Questa visione ha dato luogo alle commissioni miste, ai dialoghi bilaterali e multilaterali per tentare di risolvere le differenze fra i credenti. Pur con tutto quello di positivo che questi tentativi hanno raggiunto nella comprensione reciproca e nella creazione di un clima di pace e di stima fra le comunità ecclesiastiche, bisogna ammettere che il modello “diplomatico”, da solo, non ha ottenuto i risultati sperati.

Forse per questo frère Roger, il fondatore della Comunità di Taizé, preferiva parlare non di “ecumenismo”, ma di “riconciliazione”. La riconciliazione è una realtà del Vangelo che ha i propri ritmi, evitando così il pericolo di voler raggiungere una realtà di fede - cioè la comunione - con mezzi che vi sono estranei. E ciò è vero innanzitutto per la questione del tempo: la riconciliazione evangelica, pur venendo da Dio in primo luogo, si innesta sui ritmi organici della natura umana e non può essere “forzata” secondo criteri esteriori.


Rubrica Religioni in dialogo 02 (Sabine Leutenegger)Il tempo della conoscenza

Per il vangelo, la riconciliazione è una realtà fondamentale e quindi urgente. “Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”, ci dice Gesù (Mt 5,24). Questa priorità assoluta della riconciliazione deve comunque entrare nei tempi dei rapporti umani, che sono tutt’altro rispetto al tempo meccanico/tecnologico dell’orologio o al “tempo=denaro” di una società basata sul rendimento economico.

Quando due persone o due gruppi vogliono (ri)stabilire un rapporto, cominciano con il tempo della conoscenza. Questo non è in primo luogo un processo intellettuale. Certo l’intelligenza ha il suo ruolo, ma è soprattutto frequentandosi, facendo delle cose insieme, vedendo l’altro nelle varie fasi della sua esistenza, che lentamente si riesce a conoscersi. I pregiudizi della prima ora scompaiono, si vede l’altro nel pieno contesto del suo cammino. Per quanto riguarda l’ecumenismo, questo è stato il risultato principale dei vari incontri fra cristiani divisi. Ora fra le varie Chiese c’è una conoscenza reciproca molto più profonda rispetto a 50 anni fa anche se, in molti casi, questa non è ancora penetrata a livello popolare. Siccome un gran numero di cristiani della nostra base sono ancora in questa fase di conoscenza delle altre tradizioni, è importante moltiplicare le occasioni per parlare, agire e soprattutto pregare insieme.

La semplice conoscenza è comunque solo l’inizio. Vi fa seguito una tappa ancora più importante: il tempo della conversione. Ciò che abbiamo imparato dell’altro non deve rimanere estraneo al nostro essere più profondo, anzi deve modificarlo. Si tratta di lasciarsi toccare in profondità dai valori dell’altro, integrarli nel nostro modo di percepire e di essere. Lì si vede l’insufficienza di un modello d’unità ecclesiale, dove si tratterebbe soltanto di difendere le proprie posizioni e di accettare dagli altri solo ciò che non disturba troppo l’equilibrio già raggiunto. In quel caso, l’incontro non ha cambiato nulla, l’altro non ha fatto breccia nel nostro intimo per approfondire la nostra comprensione della fede. Questa incapacità di passare dalla conoscenza alla conversione reciproca frena tutto il dinamismo della riconciliazione. Alla fine, rimaniamo sempre a due metri gli uni dagli altri. In poche parole, siamo ormai conoscenti, ma non amici.

Rubrica Religioni in dialogo 03 (Wiesia Klemens)Dietro questo blocco sta l’incapacità o perfino il rifiuto di capire che gli altri possiedono dei doni che possono arricchire il nostro modo di credere e di vivere la nostra fede. Pensiamo di avere già tutto e non capiamo che, anche se nella nostra tradizione si possono trovare tutti i valori essenziali della fede, siamo lontani dall’averli assimilati e vissuti in tutta la loro profondità, e per questo abbiamo bisogno degli altri. Due semplici esempi: la Chiesa cattolica ha da sempre venerato e meditato le Sacre Scritture, ma i cristiani evangelici ci fanno capire come la Parola di Dio possa animare in pienezza una vita interiore. Secondo: se tutti i cristiani mettono al centro della loro fede il mistero pasquale, il passaggio di Cristo dalla morte alla vita, le Chiese orientali, con l’accento posto sulla gioia della risurrezione già presente, offrono una correzione salutare all’Occidente, troppo spesso portato nel passato al dolorismo e al pessimismo.


Il tempo della concretizzazione

E alla fine, perché la riconciliazione si compia pienamente, ci dev’essere il tempo della concretizzazione. Bisogna che la comunione ritrovata conduca a delle espressioni vissute dell’unità, anche al livello delle strutture ecclesiali. Questa ricerca può comportare talvolta rinunce costose, come per dei novelli sposi che sono costretti ad abbandonare abitudini care del passato per rendere possibile una vita di coppia. Eppure, senza questa traduzione nel concreto della vita, il processo della riconciliazione non avrà ancora portato tutti i suoi frutti.

In poche parole, la ricostituzione della piena comunione fra i credenti in Gesù Cristo, lungi dall’essere una procedura meramente intellettuale o diplomatica, somiglia più alla rinascita dell’amicizia fra persone separate da una lunga storia di disguidi e allontanamenti. Ci vuole una volontà ferma, legata a una grande pazienza, perché si tratta di percorrere tutti i tempi della riconciliazione.

 

Rubrica Religioni in dialogo 04Dell’Autore segnaliamo:

Un’amicizia e i molti amici. Reimmaginare la Chiesa cristiana nel tempo della mondializzazione

EDB, Bologna 2012, pp. …