Dio e Cesare senza barricate

Chiesa e Stato sviluppano tra loro una dialettica infinita

di Giorgio Campanini
sociologo

Image 068Da duemila anni in qua

Sono ormai duemila anni che è in atto una persistente dialettica fra Chiesa e Stato. A partire dalle notissime parole di Matteo «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22,21), detto significativamente presente, pressoché con le stesse parole, anche in Marco e in Luca, il cristianesimo ha introdotto una categoria ignota a tutto il mondo antico ed ancora oggi a gran parte del mondo, e cioè il concetto della distinzione, e dunque della separazione, tra religione e politica. Da allora in poi ogni uomo, ed ogni cristiano, è tenuto a due diverse obbedienze.
Ogni tentativo di unificare l’una e l’altra porta o alla teocrazia (tentazione cui non è stata estranea in passato la stessa Chiesa) o al totalitarismo (la ricorrente minaccia del potere assoluto, fattasi particolarmente seria nel Novecento).
Acquisita, dopo duemila anni di cristianesimo, almeno in Occidente, questa distinzione, ricorrenti sono invece le tensioni e talvolta le dure contrapposizioni fra piano politico e piano religioso. La storia italiana è, anche sotto questo aspetto, in qualche modo esemplare.
Occorre per altro dare atto alla migliore modernità di avere fornito un serio contributo alla soluzione del problema. La stessa storia italiana, ampiamente ripercorsa in occasione del 150° dell’Unità, appare sotto questo aspetto esemplare in quanto ha segnato il passaggio dalla dura conflittualità dell’Otttocento al modus vivendi del 1929 sino a quello che può essere chiamato il vero momento della conciliazione fra Stato e Chiesa, quell’art. 7 della Costituzione repubblicana - frutto di un felice incontro fra laici e cattolici - in virtù del quale «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Gli Accordi di revisione stipulati nel 1984 hanno dato corpo e sostanza a questo principio.
Nessun problema, dunque? Non è così perché rimane aperto (e storicamente sempre riproponentesi) il problema di stabilire quali sono le cose di Cesare, e rispettivamente le cose di Dio, e quali realtà appartengano all’ordine ora della Chiesa ora dello Stato: alla soluzione teorica non corrispondono sempre agevoli e puntuali soluzioni pratiche, come dimostrano le antiche e ricorrenti querelles sul matrimonio, sulla scuola, sul rispetto della vita.
A chi “pertiene” questo insieme di realtà e chi deve pronunziare, nell’uno o nell’altro ambito, l’ultima parola? Di qui un ricorrente, ed inevitabile, “contenzioso”, la cui soluzione è affidata al senso di responsabilità e di misura delle parti.

Alcune questioni aperte

Vi è, fortunatamente, un ampio insieme di problemi in ordine ai quali i Patti Lateranensi del 1929 e gli Accordi del 1984 hanno detto una parola definitiva (anche se, in verità, per piccole e sparute frange radicali ecclesiali e laiciste il problema dovrebbe rimanere aperto): quali il riconoscimento della “sovranità” del minuscolo Stato della Città del Vaticano, la piena autonomia del pontefice, la libera esplicazione del ministero della Chiesa, e così via. Ma restano e resteranno aperte alcune questioni di frontiera. Tre appaiono in particolare (dopo che il lungo contenzioso sul matrimonio è stato superato con l’attuale “doppio regime” e con il riconoscimento degli effettivi civili del matrimonio canonico) i terreni di conflittualità: i beni ecclesiastici, la scuola, il principio del rispetto della vita.
Sui beni ecclesiastici e, in generale, sull’insieme di funzioni anche economiche ed amministrative di una grande “organizzazione” quale è di fatto la Chiesa, vi è chi pone in discussione le intese del 1984 e vorrebbe eliminare quelli che vengono considerati ingiustificabili privilegi. Rimane tuttavia il fatto che - dando per acquisito il principio che è dovere di tutti pagare le tasse - già la legislazione generale prevede condizioni di favore (non per ragioni religiose ma per motivazioni sociali) per chi promuove attività socialmente utili: né si comprenderebbe per quali ragioni si debba tassare un campo sportivo parrocchiale ed esentare un analogo campo sportivo di un circolo ricreativo. È bene, tuttavia, che in questo campo vi sia una grande trasparenza nell’uso dei beni ecclesiastici, con l’assoluto rispetto delle leggi, anche quando appaiono ingiuste.
Quanto alla scuola, il principio in ordine al quale essa dovrebbe essere sostenuta dallo Stato non fa riferimento a chi la promuova ma alla funzione sociale che essa svolge: contribuire, seppure in piccola parte, ad una scuola pubblica non statale non rappresenta una forma di finanziamento ad una Chiesa (ma anche ad un’istituzione culturale o a una moschea) ma il puro e semplice riconoscimento, dopo adeguati controlli, di una utile funzione sociale. Nel caso italiano ciò implica fra l’altro un’intelligente e non faziosa lettura dell’art. 33 (“Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”: norma che non esclude, per le scuole giù istituite, ad esempio, misure in favore degli studenti in condizioni disagiate, anche se iscritti a scuole non statali).
Circa, infine, le ampie problematiche che attengono al rispetto della vita, non vi è in alcun modo da parte della Chiesa la pretesa di uniformare pedissequamente la legislazione civile all’etica cristiana, ma vi è una fondamentale preoccupazione per l’uomo di cui la comunità cristiana si fa interprete. Nel momento in cui essa, in positivo, attiva tutte le proprie energie per la tutela della vita, da quella iniziale a quella terminale, denunzia in negativo quegli interventi - dalla soppressione della vita nascente alle disinvolte manipolazioni genetiche - che ledono l’immagine di uomo (non semplicemente l’immagine del “cristiano”). Anche sotto questo aspetto la matura coscienza cristiana costituisce un potenziale, e salutare, limite alla “onnipotenza” dello Stato.
Si riuscirà, in questa prospettiva, a rimuovere del tutto la conflittualità fra Chiesa e Stato? È lecito sperarlo, ma nella consapevolezza che, fino a quando continuerà la storia, la dialettica fra Chiesa e Stato sarà un dato permanente: occorre realisticamente accettarlo, senza farne un dramma e senza erigere barricate.