Zaniboni 01Percezioni da un presente dilatato


La rarefazione del tempo, determinata dalla nostra capacità di viverlo


di Claudio Zaniboni

ingegnere, per due anni e mezzo volontario in Centrafrica


Nella sua essenza, il tempo non è ciò che è mostrato da un orologio; è invece la parola che indica un contenitore. Il contenuto del tempo è la vita: nell’estensione quasi nulla del presente si dà vita, si ricrea il passato nei ricordi, e si guarda al futuro nelle speranze.

Il quasi che precede il “nulla” è essenziale: il presente non è propriamente l’attimo fuggente, anzi, ha una durata. Scrive Edoardo Boncinelli (Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell’anima, Ed. Laterza, 2003, pag. 116): «Si è visto che il presente vissuto non si configura come un confine netto fra il passato che non c’è più e il futuro che non c’è ancora. È anzi opportuno in questo ambito introdurre il concetto di presente dinamico, inteso come collezione di episodi di vissuto interiore. Ciascuno di questi episodi è un atomo di tempo interno, racchiuso entro i limiti di una breve finestra temporale dai confini abbastanza sfumati che dura da un decimo di secondo a circa mezzo minuto».

Mi è successo di trovarmi in una condizione di vita in cui la mia percezione del tempo è mutata in modo radicale. Ho vissuto l’esperienza del tempo rallentato, in cui il presente si è espanso in modo abnorme, senza più subire la pressione di passato e futuro.


Altrove…

Mi è successo in Africa.

Sono arrivato a Gofo il 6 settembre 2010. Gofo è un villaggio nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana, a circa 400 chilometri da Bangui, la capitale, chilometri da percorrere perlopiù su piste maltenute. Risultato: mi sono ritrovato fuori dal mondo, almeno per come lo intende un europeo. A Gofo, da più di quarant’anni, c’è una missione di frati cappuccini; quella stava per diventare la mia nuova famiglia, e lo sarebbe stata fino a che … ma questo deve aspettare.

Con il mio bagaglio culturale di mezzo secolo di vita, aggiunto di una conoscenza approssimata della lingua locale, sono piombato nella più profonda Africa, nel bel mezzo della savana, per restarci non sapevo quanto tempo: sarebbe stata la Provvidenza a stabilire questo dettaglio.

Il fatto di non avere una data di rientro mi ha costretto ad affrontare a mente aperta la nuova situazione di vita. Il 29 settembre annotavo sul mio diario:

«Le mie giornate sono sempre più strane: mancano di una routine, allo steso tempo si ripetono tutte simili. La misura delle esperienze e delle emozioni è bassa. L’unica cosa grandiosa è la bellezza delle piante, della luce, del cielo; queste cose riempiono il cuore di gioia».

Poi ancora il 6 ottobre: «Adesso il fuoco brucia [l’erba della savana] fuori dalla missione, con il suo rumore grasso. Oggi sono in clima di fine settimana, ma non c’è nessun viaggio che mi attende. Sono già nel luogo del fine settimana. Lascerò che il tempo scorra. E il tempo scorre lentamente. Quando sarà abbastanza lento da poter essere afferrato?».

 

Zaniboni 02…il ritmo delle cose

La percezione del tempo era mutata in modo radicale. Il presente si era espanso in modo abnorme.

In Europa il presente era schiacciato dall’immediato futuro, dall’apprensione del fare la cosa successiva. Ogni giorno c’è una lunga lista di cose da fare, piccole o grandi che siano. In Africa ci si alza, e normalmente ci aspetta un solo compito da eseguire nella giornata che sta nascendo, con tutte le incertezze del caso, sia sui mezzi per eseguirlo sia sugli eventi che ne permetteranno o meno il successo.

In Europa c’è un continuo bombardamento di stimoli, informazioni e comunicazioni, che non lasciano molto spazio al fermarsi a pensare: è già buono non restare travolti dal ritmo delle percezioni. Di fronte ad un nuovo incalzante e spesso sfuggente, è difficile dare solidità al passato. In Africa, dove ero io, tutto è povero: non solo le condizioni di vita sono misere, ma è scarsa anche la quantità di stimoli che si ricevono. Spesso le giornate lasciano solo piccoli ricordi di eventi che altrove sono insignificanti: un incontro, un gesto, un albero, una sfilata di formiche nere.

 
…e il ritmo degli uomini

I centrafricani vivono nel loro lento ritmo, e anche la loro vita è un ripetersi di abitudini, e così molti loro comportamenti diventano prevedibili. Vedevo la gente arrivare alla missione, aspettare per ore nella capanna all’ingresso per incontrare il tale missionario, convincerlo sulla necessità di avere un determinato aiuto, vera o falsa che fosse questa necessità.

Vedevo uomini seduti giorno dopo giorno davanti alle loro capanne a parlare o dormire. Vedevo tutte le mattine bambini giocare, donne spazzare il cortile polveroso, dove cani, capre e porci partecipano dello stesso ritmo di vita apparentemente indolente.

Vedevo gruppi di uomini raccolti sotto un mango bere fino alla completa ubriacatura. Solo nel periodo delle piogge la necessità di seminare e poi difendere il raccolto dai ladri li obbligava ad andare nei loro campi. Nelle mie passeggiate fuori dalla missione incontravo contadini, cacciatori, donne che andavano al fiume per prendere acqua, bambini che raccoglievano legna.

 

Laggiù tutto è possibile: donare…

Nello spazio-tempo del presente centrafricano, l’accoglienza è ancora una cosa sacra. Le relazioni sociali dettano il modo e il prezzo dell’accoglienza: si appartiene a una famiglia, a una etnia, a un villaggio; questo caratterizza le persone e le definisce nel contesto sociale.

C’è famiglia. Ho visto un catechista con nove figli adottarne un altro, e poi ancora accogliere il figlio di un parente; nella sua capanna, spoglia di tutto, c’era spazio per tutti … anche per la famiglia della chioccia.

C’è condivisione. Ho visto bambini dividere con altri bambini il bottino delle loro incursioni sugli alberi da frutto della missione.

C’è allegria. Ho visto ridere per cose insignificanti, un riso contagioso che si espande a grandi e piccini, che crea festa dove apparentemente non c’è nulla da festeggiare.

 

…e depredare

La comunità dei frati era la mia nuova famiglia, e lo è stata fino a che, una notte, dei ribelli mi hanno puntato contro un fucile per appropriarsi di un’automobile e rubare un poco di denaro. Erano contro il governo ingiusto, per un governo che non sarebbe stato migliore. Da lì una crescita di atti criminosi, verso i missionari e ancor di più verso la popolazione civile.

Adesso la missione di Gofo è vuota, forse solo provvisoriamente, almeno si spera. Nella Repubblica Centrafricana c’è un presente che porta alla sua gente ricordi di dolore, e speranze sempre più flebili.


Nel presente…

La risposta alla domanda: “Schiavi o padroni del tempo?” la costruiamo noi, giorno per giorno, in qualunque parte del mondo. In Europa e in Africa le condizioni sono diverse, ma resta in nostro potere come appropriarci del presente, con quale vita. Accade ciò in cui noi, soli o insieme, crediamo.