Casadio 01Oggi è un bel giorno per morire


Resa definitiva ad un’idea di futuro in compagnia di sorella morte

 

di Alessandro Casadio

della Redazione di MC

 

Dio di cartapesta

Le medicine cominciavano ad accatastarsi sul comodino, nonostante il ripiano suppletivo apprestato per l’emergenza. Del resto, facevo visita quasi quotidianamente alla farmacia del quartiere, sempre riempiendo le capaci sportine di plastica, ora biodegradabili, in distribuzione al dispensario. In certi casi, alcuni amici medici rimpinguavano il nostro parco farmaci con qualche omaggio avuto dai rappresentanti.

La mia parte razionale piegava meticolosamente le bustine, ben sapendo che qualsiasi deroga a quella pratica rigorosa avrebbe potuto rappresentare un pericoloso cedimento; così come la disposizione delle diverse scatole sui ripiani, poste in modo da fornire il minimo ingombro, considerando le variabili del tipo di farmaco, del modo e dell’ora di somministrazione. Era una procedura quasi maniacale, che introduceva nel nostro futuro imminente, mio e di mia moglie, la nostra indesiderata ma ineluttabile novità: la sua morte per cancro allo stomaco.

Sull’altro comodino, arginate da una pila di messali, messalini e agendine per appunti e riflessioni, una nutrita schiera di bottiglie e bottigliette di acqua, quasi tutte sagomate sull’effige della Madonna di Lourdes, dono di pellegrini amici che, come noi, le tentavano tutte per lucrare guarigioni fuori dai canali ufficiali della scienza.

Sei proprio un Dio di cartapesta, se non ti basta questo sacco di persone imploranti per riuscire ad operare un miracolo così banale. Se non ti basta il nostro incessante combattimento, sincero anche se imperfetto, contro la logica del mondo per esaudire questa semplice preghiera. Così pensano coloro a cui la grazia richiesta, per qualche ragione imperscrutabile, di fatto non viene concessa. Così pensavo anch’io, assillato dall’urgenza del momento, esausto per la necessità impellente di costruire serenità, fiducia nel futuro, senso religioso dal nulla.


Casadio 02Considerazione n.1

Se c’è mai stato un momento, nella mia vita, in cui la fede, che comunque non ha mai raggiunto le dimensioni del granellino di senape, ha vacillato, è stato allora. Non tanto per la situazione difficile del momento, quanto per la convinzione, a cui venivamo istigati, che se avessimo resistito nella preghiera avremmo messo Dio con le spalle al muro, costringendolo a fare il miracolo: lettura in modalità testimoni di Geova del brano biblico “chiedete e vi sarà dato”. C’erano innumerevoli candele accese, da Fatima a Medjugorje, baluginanti nel tremolio della fiammella o tranquillizzanti nella sicurezza della corrente continua, a rassicurare il Padre Eterno sull’intenzione di affidargli le sorti dell’umanità, ma questi non si è nemmeno scomodato ad alterare i marker tumorali, confermando ripetutamente la sua lapidaria sentenza.


Considerazione n.2

Di tutte le ipotesi future che si possono formulare, la morte è quella che statisticamente è la più probabile, fino ad arrivare ad una percentuale così elevata da potersi scientificamente considerare certezza. In qualità di passaggio ineludibile, viene allora da considerarla parte integrante del kit “vita, morte e miracoli”, che ci viene consegnato alla nascita, ma progettato con ampio anticipo, prima di tutti i secoli, dalla mente creatrice. Il fatto poi che anche Gesù ha voluto/dovuto accogliere questa realtà nella sua esperienza umana, la dice lunga sul fatto che sicuramente la morte suggella la nostra esistenza, insegnandoci qualcosa.


Ma veniamo ai miracoli

Il tempo o l’esperienza, e probabilmente anche il vedersela a fianco impotenti, ha consacrato in me questa presenza, sorella un po’ difficile da capire, a volte consolatrice e a volte invadente, come capita non raramente anche ai parenti più stretti. Monito inalienabile dei miei limiti, che riduce progressivamente le mie potenzialità fisiche, lasciandomi il retrogusto delle piccole conquiste. Facendomi sprofondare ogni notte in un sonno sereno, mentre mi congratulo con me stesso per avercela fatta anche oggi.

Ho sempre pensato che i veri miracoli della nostra vita avvengono nella più totale incoscienza o quasi. Il difficile dei miracoli non è che si avverino, ma riuscire a capire quali siano e che cosa significhino per noi. Chiamiamo miracolo, con banalità sconcertante, il verificarsi di un avvenimento altamente improbabile, che ci appaghi e gratifichi, mentre essi quotidianamente si srotolano sul nostro cammino, offrendoci opportunità incalcolabili di entrare nel merito delle situazioni e di approfondire il senso della vita.

Il mio miracolo, oggi, si chiama “adattamento”: la facoltà di ammortizzare l’impatto emotivo dei segnali che la caducità umana e i miei limiti soggettivi mi inviano con sistematica periodicità, modificando di volta in volta il mio standard di vita e, di conseguenza, le sue aspettative. Accettando l’idea, che sommessamente serpeggia sempre dentro di noi, di non essere Dio e di non avere soluzioni per tutto; assuefacendomi al concetto che il mondo perpetuerà comunque tutti i sui movimenti di rotazione, rivoluzione e moto conico dell’asse anche dopo la mia dipartita, imminente o lontana che sia, e non è detto che non possa pure cavarsela meglio di così. Consapevolezza del limite, anche temporale, che non inficia minimamente né la capacità progettuale, né l’applicazione fantasiosa di rendere originali tali progetti. Non siamo chiamati a tirare i remi in barca, ma a investire fino all’ultimo talento, puntando con fiducia su ciò che ancora deve venire.

Consapevole di non poter decidere della sorte di nessuno dei miei capelli, altrimenti non sarei così calvo, smaliziato relativamente alle trame non sempre favorevoli dell’universo, preferisco concentrare la mia attenzione più sulla buona volontà che riuscirò ad esprimere, che non sulle scaramanzie esoteriche travestite da fede, accompagnato per ogni passo da sorella morte, che sul più bello saprà recidere l’ennesimo progetto in costruzione, trasformandolo in una mirabile incompiuta. Non è così che nascono anche i grandi capolavori? Citerò allora, è una vita che lo aspetto, le fatidiche parole di Cavallo Pazzo, pronunciate all’inizio di ogni buona battaglia, trionfo o disfatta che fosse: «Oggi è un bel giorno per morire».