Maggi 01Abitatori del tempo


Ciò che conta è la qualità della vita, trascorsa in presenza di Dio


di Lidia Maggi

teologa e pastora della Chiesa battista in servizio a Varese


Tempo ciclico e tempo lineare

La Bibbia mette in scena una religione del tempo, non del tempio. Dio, infatti, lo si incontra nella storia, perché in essa Egli si fa trovare. Il suo nome, rivelato a Mosè, esprime questa presenza a fianco dell’umanità, nel tempo (io ci sono).

Con un protagonista simile, la trama del Libro diviene per forza di cose la narrazione di una storia della salvezza. Non solo: nella Bibbia troviamo anche una densa riflessione sul senso del tempo. A questo riguardo, c’è chi ha proposto di cogliere lo specifico apporto biblico nella concezione “lineare” del tempo, a differenza delle culture antiche, portatrici di una concezione “ciclica”. In realtà si tratta di una semplificazione, dal momento che entrambi sono presenti nel racconto biblico. E di entrambi possiamo cogliere sia il carattere promettente sia il limite.

Se pensiamo al tempo ciclico, quello delle stagioni e delle azioni liturgiche, possiamo facilmente intuire il senso della “ripresa” che esso comunica, l’intensità di uno sguardo che non va a caccia di novità ma ricerca il significato di un quotidiano spesso ripetitivo. I sapienti hanno riflettuto a lungo su questo tempo. Ma lo sguardo penetrante, che prova a discernere il senso, rischia anche di impietrire, come la moglie di Lot, incapace di guardare avanti, di accorgersi della novità di Dio.

Se, invece, riflettiamo sul tempo lineare, proteso verso il futuro, vediamo che, in positivo, esprime la tensione verso il compimento delle promesse - i tempi messianici, per il popolo ebraico; il ritorno di Gesù, per i cristiani - ed in questo modo scioglie il tempo dalle catene di una ripetitività ossessiva. Ma rischia anche di diventare un fiume che scorre incessantemente, inghiottendo la memoria del passato e togliendo valore al presente.

Maggi 02Il tracciato di Qohelet

Ma lasciamo la postazione ad alta quota, che offre una panoramica generale sul testo biblico, ed inoltriamoci lungo alcuni sentieri particolari che percorrono i territori del Libro.

Ne scelgo due, per niente esaustivi della ricca riflessione sul tempo, ma, a mio giudizio, significativi per il lettore contemporaneo.

Il primo è quello tracciato da Qohelet. Al capitolo tre di quel libro, leggiamo questa riflessione sul tempo: Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: / un tempo per nascere e un tempo per morire; / un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato; / un tempo per uccidere e un tempo per guarire; / un tempo per demolire e un tempo per costruire; / un tempo per piangere e un tempo per ridere; / un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare; / un tempo per gettar via pietre e un tempo per raccoglierle; / un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci; / un tempo per cercare e un tempo per perdere; / un tempo per conservare e un tempo per buttar via; / un tempo per strappare e un tempo per cucire; / un tempo per tacere e un tempo per parlare; / un tempo per amare e un tempo per odiare; / un tempo per la guerra e un tempo per la pace (3,1-8).

Ci viene detto che il sapiente sa discernere il tempo in cui agire. Che l’esperienza credente non può essere sempre uguale a se stessa, valida per tutte le stagioni, come se si dovesse recitare un copione, indifferente alla scena in cui l’azione si svolge. Il fattore tempo risulta decisivo nella configurazione della propria esistenza come anche del nostro rapporto con Dio. Interpretare il proprio tempo è compito prioritario per il credente. Lo ribadirà con forza Gesù: Quando si fa sera, voi dite: “Bel tempo, perché il cielo rosseggia!” e la mattina dite: “Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!” L’aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli? (Mt 16,2-3).

Perché oggi è importante battere questo sentiero? Perché, più che in altre stagioni, rischiamo di farci affascinare da una fede che si disinteressa del proprio tempo. La religiosità emozionale vive di attimi, consumati unicamente in un’interiorità blindata. Il fascino per una tradizione sempre uguale attrae quanti cercano un salvagente per affrontare le acque caotiche del nostro mondo complesso. Il saggio Qoelet ci invita a fare nostra quella sapienza che nasce dal saper “contare i nostri giorni” (Sal 90,12).

Senza lamenti e fughe spiritualistiche

Eccoci, allora, al secondo sentiero: quello suggerito dal Salmo 90. Al versetto 4, leggiamo: Ai tuoi occhi, mille anni sono come un giorno di ieri che è passato. Evidentemente, il senso primo di questa affermazione riguarda la differenza tra la vita breve dei mortali e l’eternità di Dio. Ma sono possibili anche altre letture. Quella suggerita dal filosofo ebreo Franz Rosenzweig mi sembra molto intrigante. Secondo costui il tempo breve della vita umana può essere vissuto come un succedersi di momenti, intesi ognuno come “passerella verso il successivo”, oppure come “trampolino verso l’eternità”. Nel primo caso il tempo è un fiume che scorre inesorabilmente ed in fretta; nel secondo caso, invece, l’attenzione si volge al singolo attimo, vissuto come breccia nel muro compatto, feritoia che fa intravvedere la redenzione. L’istante, agli occhi umani insignificante, agli occhi di Dio può avere il peso di mille anni, può significare un kairos, ovvero un tempo decisivo, in cui ci giochiamo la salvezza (cf. 2Cor 6,2). Come dire: conta la qualità e non la quantità del tempo. Nei racconti evangelici, contenuti nella biblioteca biblica, le svolte decisive avvengono nel quotidiano: mentre si sta lavorando (i discepoli che pescano) o quando, per pura curiosità, si osserva una scena che pensiamo non ci riguardi (Zaccheo). Risulta determinante il presente, nel quale l’attesa di cieli nuovi e di una nuova terra diventa attenzione per quei dettagli che nascondono niente meno che Dio.

La voce del tempo è “voce di silenzio sottile”: se aspetti i suoni imponenti e gli effetti speciali corri il rischio di non accorgerti dell’essenziale.

Percorrendo il sentiero che conduce a discernere il proprio tempo e quello che illumina di intensità il nostro presente, possiamo diventare sapienti abitatori del tempo, in grado di smarcarci dagli sterili lamenti per i tempi bui in cui ci è dato di vivere, come anche dalle fughe spiritualistiche che allontanano Dio dalla storia.