Parliamo di povertà, dello stato grave di indigenza e di come esso incida pesantemente sul nostro umore, sul nostro agire e sulle scelte che ne conseguono. Al di fuori di ogni falsa retorica, gettiamo uno sguardo realistico, quasi impietoso, su una situazione che ci illudiamo di conoscere, ma che solo sfioriamo lontanamente, tanto è distante dalla nostra realtà, piena di sicurezze. Lo facciamo analizzando i film “Re della terra selvaggia” di Benh Zeitlin e “Un gelido inverno” di Debra Granik.

Alessandro Casadio

 

 

PERIFERICHE Re della terra selvaggiaRe della terra selvaggia


un film di Benh Zeitlin

distribuito da 20th Century Fox (2012)

Hushpuppy ha sei anni e vive con il padre nelle paludi del sud della Louisiana, in una zona chiamata la Grande Vasca, per gli allagamenti a cui va incontro in occasione dei cicloni. Mentre lo spettro di un terribile uragano spaventa la comunità del luogo, mettendo in fuga molti, il padre Wink scopre di essere gravemente malato e di dover preparare la figlia a cavarsela da sola. Il suo desiderio è che Hushpuppy non abbandoni la sua terra, ma ne diventi un giorno il re, la creatura più forte. Re della terra selvaggia è un film nel quale accade una magia, un piccolo e ristretto panorama, con un orizzonte ristretto, che ha però il pathos della grande avventura, l’estetica della grande parabola mitologica sulla fine e l’inizio del mondo. Eppure non esonda mai, non si ha mai la sensazione che sia sovraccarico o pretenzioso: la sua superficie è fatta di piccole cose, dialoghi brevi, sguardi più testardi che tristi, ma, sotto, si percepisce la presenza di un mondo sommerso, un discorso profondo sulla paura della perdita. Si dice che nella vita il destino ci riservi ciò che siamo in grado di sopportare ed è un pensiero che si addice alla perfezione al personaggio di Hushpuppy, ma anche al film nella sua globalità. Il regista ha trovato in Quvenzhané Wallis un’interprete straordinaria, viatico ideale per percorrere una storia che sovrappone realtà e immaginazione. All’interno di un quadro quasi documentaristico, che il regista ha conosciuto così bene da poter restituire con una naturalezza e una verità rare, Hushpuppy è infatti una bambina che ha paura e, come tutti i bambini che provano un’emozione forte, ha bisogno di illustrarla con delle immagini. In quei momenti, il regista passa dunque a lei il testimone del film ed ecco apparire le “creature selvagge”, del tutto simili ai bisonti delle prime pitture rupestri e infatti protagoniste del racconto di sé che la bambina sta lasciando ai posteri (per gli scienziati che arriveranno nella Grande Vasca «tra un milione di anni»). Il passaggio all’età adulta qui assume i toni insoliti e le proporzioni mitiche della lotta per la sopravvivenza alla povertà e della strenua resistenza alla normalizzazione. «Chi è l’uomo?» urla Wink, «Io sono l’uomo» risponde Hushpuppy. Il bambino interiore se ne andrà, e così il padre, ma lei sarà in grado di affrontare la vita.